Un invito a percorrere un cammino di verità: il commento di mons. Bruno Forte al
discorso del Papa alla Curia Romana
“Dobbiamo scuoterci di dosso l’illusione di essere innocenti”, dobbiamo “farci donare
da Dio il coraggio” della conversione e del rinnovamento: è uno dei passaggi forti
del discorso rivolto ieri dal Papa alla Curia Romana per gli auguri natalizi. Il Papa
ha dunque messo l’accento sulla necessità per ognuno di noi di riconoscere la colpa
e di far penitenza. Un cammino di verità e di amore, quello indicato da Benedetto
XVI. A sottolinearlo è il teologo Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto,
intervistato da Alessandro Gisotti:
R. – Il richiamo
a prendere coscienza della propria colpa è semplicemente l’espressione di questa esigenza
profonda di verità davanti a Dio e davanti agli altri, che è condizione di autenticità
umana e di libertà. Qui il Papa si ricollega a quello che è stato il grande atto di
Giovanni Paolo II della richiesta di perdono in occasione del Giubileo del 2000 per
le colpe dei figli della Chiesa. Quella richiesta di perdono, motivata con il testo
“Memoria e riconciliazione” prodotto dalla Commissione teologica internazionale quando
era presidente della Commissione stessa il cardinale Ratzinger: ebbene, in quel testo
si richiamava il principio evangelico “La verità vi farà liberi”, per ricordare l’urgenza
di essere come Chiesa e come singoli discepoli, sempre “veri”: veri davanti a Dio
e agli altri perché è questa verità, anche nel riconoscimento delle nostre colpe,
della nostra fallibilità, che ci rende più umani, più autentici, più discepoli del
Signore Gesù.
D. – Un riconoscimento della colpa,
della propria limitatezza, che non rende il cristiano triste, come a volte – anzi,
spesso nel tempo – è stato detto: in realtà, questo riconoscimento è proprio il segno
della propria umanità, dell’essere un vero uomo …
R.
– Ma … secondo Gesù, è il segno della nostra libertà! “La verità vi farà liberi”:
chi riconosce nella verità i propri limiti, sfuggendo ad ogni forma di vittimismo,
perché il vittimismo non è verità, e quindi anche ad ogni forma di autoflagellazione,
che parimenti non sarebbe verità; chi semplicemente è “vero” davanti a Dio, davanti
alla propria coscienza e davanti agli altri, è libero e la libertà è il dono prezioso
che rende la vita piena, autentica, gioiosa. Ecco perché non ha nulla di vittimistico,
questo richiamo al riconoscimento delle proprie colpe è semplicemente un itinerario
di libertà, di verità, quello che il Papa propone, nella sequela di Gesù.
D.
– Dal Papa anche un invito a riscoprire il Sacramento della Riconciliazione…
R.
– L’urgenza di questo Sacramento non può essere compresa se non si fa esattamente
il ragionamento che il Papa ha fatto: cioè, solo lì dove c’è un cammino di verità
e quindi di libertà, si comprende quanto abbiamo bisogno del perdono di Dio, del suo
giudizio, della sua verità su di noi, di quella verità che – appunto – ci renderà
liberi. Il luogo in cui noi incontriamo in pienezza questo giudizio di Dio è esattamente
il Sacramento della riconciliazione.
D. – Il Papa
ha anche rilanciato il dialogo con i lontani, ha esortato alla creazione di uno spazio
per i non credenti …
R. – In realtà, nel momento
in cui si compie un cammino di verità, il credente scopre di essere un ateo che ogni
giorno ha bisogno di incominciare a credere, cioè scopre di essere in un’esigenza
di continua conversione. Il non credente, che non sia negligente, ma pensoso e inquieto,
scopre di aver bisogno di interrogarsi non semplicemente “etsi Deus non daretur” –
come se Dio non ci fosse – ma anche nell’ipotesi “velut si Deus daretur”, come se
Dio ci fosse. Credo che su questo confine di verità e di libertà, credenti e non credenti
hanno degli spazi straordinari di incontro e di dialogo, rispettoso dell’altro, ma
anche aperto al passo in avanti che la luce della verità può suscitare nel cuore di
tutti.