Il cardinale Saraiva Martins: necessaria un'ecologia dello sport
“Possa il gioco del calcio essere sempre più veicolo di educazione ai valori dell’onestà,
della solidarietà e della fraternità, specialmente fra le giovani generazioni”: queste
parole di Benedetto XVI sono state al centro dell’incontro “Calcio, valori in gioco”
promosso nei giorni scorsi a Roma. Presente, tra gli altri, il cardinale José Saraiva
Martins, prefetto emerito della Congregazione delle Cause dei Santi, appassionato
di calcio. Luca Collodi gli ha chiesto se l’etica sia ancora praticabile nelle
attività sportive oggi:
R. – Non
soltanto è possibile ma è anche necessario perché lo richiede la stessa natura dello
sport, di ogni sport. Io penso che si possa anche parlare di un’ecologia sportiva,
cioè il rispetto dei vari valori etici richiesti dallo sport. Si guarda più al commercio
nello sport che non all’etica dello sport. Quest’ecologia sportiva, naturalmente,
avrebbe come scopo eliminare certi difetti, ad esempio il doping o anche lo scandalo
delle scommesse, che pongono seri interrogativi sulla realtà sportiva. Io direi che
doping e scandali non sono solo episodi collaterali; al contrario, hanno la capacità
di deformare la natura e la finalità della pratica sportiva, riducendola a puro interesse
economico o a episodi di violenza. D. – C’è il rischio che il
giornalismo sportivo veicoli un certo individualismo? R. – C’è
certamente il rischio, molto forte, di cadere in un certo individualismo, guardare
più ai singoli giocatori che al gruppo come tale. Questo è concepire il calcio e lo
sport in generale in un modo totalmente contrario alla sua natura, perché – parliamo
adesso del calcio – è chiaro che ci sono 11 giocatori, però c’è soprattutto un gruppo.
Le unità, i singoli, sono in funzione del gruppo ed una squadra vince o perde se agisce,
lavora e gioca come un gruppo e non come singoli. Il calcio – e lo sport in generale
– è un’ottima occasione d’incontro e di dialogo, ha un grande potere educativo: giocando
come gruppo i giovani imparano a considerarsi veramente come parte di un gruppo e
non soltanto come singole persone. Poi ovviamente hanno anche una grande responsabilità
i mezzi d’informazione, direi in particolare la tv, che oggi si trova in tutte le
case: essere fedeli ai fatti, non dare un’interpretazione soggettiva che è la negazione
della vera realtà dello sport. Questa è perciò una grande, immensa responsabilità
della televisione e degli altri mezzi di comunicazione. Il loro compito è quello di
informare. D. – Eminenza, il calcio può essere uno strumento
di unione tra i popoli? R. – Certamente. Il calcio dev’essere
un’ottima occasione d’incontro e di dialogo, al di là di ogni barriera di lingua,
razza e cultura. Lo sport può e deve recare un valido apporto alla pacifica intesa
fra i popoli e contribuire all’affermarsi nel mondo della nuova civiltà dell’amore.
Giovanni Paolo II ha espresso questo concetto molte volte durante il suo Pontificato. D.
– Lei ha citato Giovanni Paolo II che era un grande amante dello sport… R.
– Lui è stato un vero sportivo. Ha capito in profondità il valore dello sport e lo
ha praticato. E’ un bel modello di sportivo. Chissà se un giorno, magari, diventerà
il patrono degli sportivi. D. – Quindi, Giovanni Paolo II protettore
del mondo dello sport… R. – Dico soltanto che lui, come amante
dello sport, rappresenta il vero concetto di sport dal punto di vista umano e cristiano,
e per questo potrebbe eventualmente diventare - se Dio così volesse - patrono dello
sport. (Montaggio a cura di Maria Brigini)