Il vescovo di Terni: la nascita di Gesù deve essere l’inizio di una nuova solidarietà
Il tempo di Avvento per il vescovo di Terni-Narni-Amelia, mons. Vincenzo Paglia, è
scandito dagli incontri con gli studenti e gli insegnanti di una scuola, con gli operai
dell’acciaieria Thyssen Krupp, con i detenuti della casa circondariale di Vocabolo
Sabbione e con i malati, i medici e gli operatori sanitari dell’ospedale Santa Maria.
Seguirà poi il pranzo di Natale con i poveri, gli anziani e le persone sole. Ma quale
significato hanno questi incontri? Ascoltiamo lo stesso mons. Vincenzo Paglia
intervistato da Fabio Colagrande:
R. – Tutto
questo sta ad indicare la riscoperta di quell’amore gratuito che a Natale ci viene
manifestato. In fondo il Natale non è altro che la discesa tra gli uomini di un Amore
impensabile e sconosciuto. Quell’amore che non richiede reciprocità, che non vede
se stesso ma, anzitutto, gli altri. Noi abbiamo bisogno di cogliere, da questo mistero,
almeno alcune gocce di quest’amore che devono riversarsi – almeno per me – tra i carcerati,
i malati, i bambini e tra tutti coloro che aspettano una vita migliore e più serena.
I tempi non sono facili. Anzi sono molto difficili. Il rischio è quello di ripiegarsi
su se stessi, oppure di accontentarsi di qualche luccichìo di festa ma che non tocca
il cuore. Ecco perché sento l’urgenza di rendere vero questo Natale, di renderlo un
momento di rinascita interiore, nel cuore. D. – La Conferenza
episcopale umbra, nei giorni scorsi, ha posto l’attenzione sulla grave situazione
occupazionale determinata dalla crisi economica ma anche da particolari casi di criticità… R.
– Noi crediamo che la prima preoccupazione della Chiesa sia quella di portare una
parola di speranza nel cuore stesso della società nella quale vive. Proprio adesso
facciamo un piccolo convegno anche sulla condizione della regione: una regione che
sta invecchiando, che vede i suoi giovani cercare lavoro fuori dal territorio. Una
regione colpita da una crisi occupazionale e che stenta ad impegnarsi nell’innovazione.
Tutto questo deve preoccupare le otto diocesi dell’Umbria proprio perché è loro compito
ridare speranza. La “Gaudium et Spes” non a caso inizia dicendo appunto che le gioie
e le speranze, i dolori e le sofferenze della società sono le nostre gioie e le nostre
sofferenze. Per questo la Chiesa non deve affermare principi astratti. La Chiesa è
chiamata a consolare, a confortare e a spingere affinché anche la società diventi
più umana, più giusta e più solidale per tutti. E’ quella preoccupazione per il bene
comune che Papa Benedetto ci ha richiamato con grande chiarezza nell’enciclica “Caritas
in veritate”. Ecco perché tutto quello che angustia la nostra società è parte delle
nostre preoccupazioni. D. – Che significato può assumere la
festa cristiana del Natale per chi vive queste situazioni di incertezza e di sofferenza? R.
– Credo che la festa cristiana del Natale in questi momenti così difficili debba significare
appunto un sussulto di vicinanza, di preoccupazione per chi vive situazioni difficili.
In questo senso la nascita di Gesù non può essere un rito astratto o puramente esteriore.
Deve significare la nascita di una nuova solidarietà, di un nuovo impegno, la nascita
di una nuova responsabilità, soprattutto nei confronti di coloro che vivono in situazioni
difficili. (Montaggio a cura di Maria Brigini)