Terza predica d'Avvento di padre Cantalamessa: "Maria, Madre e modello del sacerdote".
Testo integrale
Maria, Madre e modello del sacerdote: è il tema sviluppato da padre Raniero Cantalamessa
nella terza ed ultima predica di Avvento alla presenza del Papa nella Cappella Redemptoris
Mater, in Vaticano. Il predicatore della Casa Pontificia si è soffermato sul legame
speciale che unisce Maria e i sacerdoti, chiamati a vivere e donare la fede in Cristo
con gioia. Ecco il testo integrale della predica: Nella lettera a tutti
i sacerdoti in occasione del Giovedì Santo del 1979, la prima della serie del suo
pontificato, Giovanni Paolo II scriveva: “C’è, nel nostro sacerdozio, ministeriale
la dimensione stupenda e penetrante della vicinanza della madre di Cristo”. In quest’ultima
meditazione di Avvento, vorremmo riflettere proprio su questa vicinanza tra Maria
e il sacerdote. Di Maria non si parla molto spesso nel Nuovo Testamento.
Tuttavia, se ci facciamo caso, notiamo che ella non è assente in nessuno dei tre momenti
costitutivi del mistero cristiano che sono: l'Incarnazione, il Mistero pasquale, e
la Pentecoste. Maria fu presente nell'Incarnazione perché essa è avvenuta in lei;
fu presente nel Mistero pasquale, perché è scritto che: “ presso la croce di Gesù
stava Maria sua madre” (cf Gv 19, 25); fu presente nella Pentecoste, perché è scritto
che gli apostoli erano “ assidui e concordi nella preghiera con Maria, la madre di
Gesù “ (cf At 1, 14). Ognuna di queste tre presenze ci rivela qualcosa
della misteriosa vicinanza tra Maria e il sacerdote, ma trovandoci nell’imminenza
del Natale, vorrei limitarmi alla prima di esse, a quello che Maria dice del sacerdote
e al sacerdote nel mistero dell’incarnazione. 1. Quale rapporto
tra Maria e il sacerdote? Vorrei anzitutto accennare alla questione del
titolo di sacerdote attribuito alla Vergine nella tradizione. Uno scrittore della
fine del V secolo chiama Maria “Vergine e allo stesso tempo sacerdote e altare che
ci ha dato Cristo pane del cielo per la remissione dei peccati”. Dopo di lui sono
frequenti i riferimenti al tema di Maria sacerdote che però divenne oggetto di sviluppi
teologici solo nel secolo XVII, nella scuola francese di San Sulpizio. In essa il
sacerdozio di Maria non viene messo tanto in rapporto con il sacerdozio ministeriale
quanto con quello di Cristo. Alla fine del secolo XIX si diffuse una vera
e propria devozione alla Vergine - sacerdote e san Pio X accordò anche una indulgenza
alla relativa pratica. Quando però si intravide il pericolo di confondere il sacerdozio
di Maria con quello ministeriale, il magistero della Chiesa divenne reticente e due
interventi del Santo Ufficio posero praticamente fine a tale devozione. Dopo
il concilio si continua a parlare del sacerdozio di Maria, collegandolo però non al
sacerdozio ministeriale, e neppure a quello supremo di Cristo, ma al sacerdozio universale
dei fedeli: ella possederebbe a titolo personale, come figura e primizia della Chiesa,
quel “sacerdozio regale” (1 Pt 2,9) che tutti i battezzati posseggono a titolo collettivo. Che
possiamo ritenere di questa lunga tradizione che associa Maria al sacerdote e che
senso dare alla “vicinanza” tra essi di cui parlava Giovanni Paolo II? Resta, a me
pare, la analogia o la corrispondenza dei piani, all’interno del mistero della salvezza.
Quello che Maria è stata sul piano della realtà storica, una volta per tutte, il sacerdote
lo è ogni volta di nuovo sul piano della realtà sacramentale. In questo
senso si possono intendere le parole di Paolo VI: “Quali relazioni e quali distinzioni
vi sono fra la maternità di Maria, resa universale dalla dignità e dalla carità della
posizione assegnatale da Dio nel piano della Redenzione, e il sacerdozio apostolico,
costituito dal Signore per essere strumento di comunicazione salvifica fra Dio e gli
uomini? Maria dà Cristo all’umanità; e anche il Sacerdozio dà Cristo all’umanità,
ma in modo diverso, com’è chiaro; Maria mediante l’Incarnazione e mediante l’effusione
della grazia, di cui Dio l’ha riempita; il Sacerdozio mediante i poteri dell’ordine
sacro. L’analogia tra Maria e il sacerdote si può esprimere così. Maria,
per opera dello Spirito Santo, ha concepito Cristo e, dopo averlo nutrito e portato
nel suo seno, lo ha dato alla luce a Betlemme; il sacerdote, unto e consacrato di
Spirito Santo nell’ordinazione, è chiamato anche lui a riempirsi di Cristo per poi
darlo alla luce e farlo nascere nelle anime mediante l’annuncio della parola, l’amministrazione
dei sacramenti. In questo senso il rapporto tra Maria e il sacerdote ha
una lunga tradizione dietro di sé, molto più autorevole di quella di Maria – sacerdote.
Riprendendo un pensiero di Agostino il Concilio Vaticano II scrive: “ La Chiesa...
diventa essa pure madre, poiché con la predicazione e il battesimo genera a una vita
nuova e immortale i figlioli, concepiti ad opera dello Spirito Santo e nati da Dio“
. Il battistero, dicevano i Padri, è il seno in cui la Chiesa dà alla luce
i suoi figli e la parola di Dio è il latte puro con cui li nutre: “O prodigio mistico!
Uno è il Padre di tutti, uno anche il Verbo di tutti, uno e identico dappertutto
è anche lo Spirito Santo e una sola è la Vergine Madre: così io amo chiamare la Chiesa.
Pura come vergine, amabile come madre, chiamando a raccolta i suoi figli, li nutre
con quel sacro latte che è la parola destinata ai bambini appena nati (cf 1 Pt 2,
2)”. Il beato Isacco della Stella, in una pagina che abbiamo letto nell’ufficio
delle letture di sabato scorso, ha fatto una sintesi di questa tradizione: “ Maria
e la Chiesa, scrive, sono una madre e più madri; una vergine e più vergini. L'una
e l'altra madre, l'una e l'altra vergine. L'una e l'altra concepisce senza concupiscenza
dallo stesso Spirito; l'una e l'altra dà a Dio Padre una prole senza peccato. Quella,
senza alcun peccato, partorì al corpo il Capo; questa, nella remissione di tutti i
peccati, partorisce il corpo al Capo”. Quello che in questi testi si dice
della Chiesa nel suo insieme, come sacramento di salvezza, va applicato in modo speciale
ai sacerdoti, perché, ministerialmente, sono essi che, in concreto, generano Cristo
nelle anime mediante la parola e i sacramenti. 2. Maria credette Fin
qui l’analogia tra Maria e il sacerdote sul piano, per così dire, oggettivo o della
grazia. Esiste però un’analogia anche sul piano soggettivo, cioè tra il contributo
personale che la Vergine ha dato alla grazia dell’elezione e il contributo che il
sacerdote è chiamato a dare alla grazia dell’ordinazione. Nessuno dei due è un puro
canale che lascia passare la grazia senza nulla apportarvi di proprio. Tertulliano
parla di una versione del docetismo gnostico, secondo cui Gesù era nato, sì, da Maria,
ma non concepito in lei e da lei; il corpo di Cristo, venuto dal cielo, sarebbe passato
attraverso la Vergine, ma non generato in lei e da lei; Maria sarebbe stata per Gesù
una via, non una madre, e Gesù per Maria un ospite, non un figlio.
Per non ripetere questa forma di docetismo nella sua vita, il sacerdote non può limitarsi
a trasmette agli altri un Cristo imparato dai libri che non è diventato prima carne
della sua carne e sangue del suo sangue. Come Maria (l’immagine è di San Bernardo)
egli deve essere un serbatoio che fa traboccare al di fuori ciò di cui è pieno dentro,
non un canale che si limita a far passare l’acqua senza nulla trattenerne. L’apporto
personale, comune a Maria e al sacerdote, si riassume nella fede. Maria, scrive Agostino,
“per fede concepì e per fede partorì” (fide concepit, fide peperit); anche il sacerdote
per fede porta Cristo nel suo cuore e mediante la fede lo comunica agli altri. Sarà
il centro della meditazione di oggi: cosa il sacerdote può imparare dalla fede di
Maria. Quando Maria giunse da Elisabetta, questa l'accolse con grande gioia
e, “piena di Spirito Santo “, esclamò: “Beata colei che ha creduto nell’adempimento
delle parole del Signore” (Lc l, 45). Non c'è dubbio che questo aver creduto si riferisce
alla risposta di Maria all'angelo: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di
me quello che hai detto” (Lc 1, 38). A prima vista, quello di Maria fu
un atto di fede facile e perfino scontato. Diventare madre di un re che avrebbe regnato
in eterno sulla casa di Giacobbe, madre del Messia! Non era quello che ogni fanciulla
ebrea sognava di essere? Ma questo è un modo di ragionare assai umano e carnale. Maria
viene a trovarsi in una totale solitudine. A chi può spiegare ciò che è avvenuto in
lei? Chi la crederà quando dirà che il bimbo che porta nel grembo è “opera dello Spirito
Santo “? Questa cosa non è avvenuta mai prima di lei e non avverrà mai dopo di lei.
Maria conosceva certamente ciò che era scritto nel libro della legge e
cioè che se la fanciulla, al momento delle nozze, non fosse stata trovata in stato
di verginità, doveva essere fatta uscire all'ingresso della casa del padre e lapidata
dalla gente del villaggio (cf Dt 22, 20 s). Noi parliamo volentieri oggigiorno del
rischio della fede, intendendo, in genere, con ciò, il rischio intellettuale; ma per
Maria si trattò di un rischio reale! Carlo Carretto, nel suo libretto sulla
Madonna, narra come giunse a scoprire la fede di Maria. Quando viveva nel deserto,
aveva saputo da alcuni suoi amici Tuareg che una ragazza dell'accampamento era stata
promessa sposa a un giovane, ma che non era andata ad abitare con lui, essendo troppo
giovane. Aveva collegato questo fatto con quello che Luca dice di Maria. Perciò ripassando,
dopo due anni, in quello stesso accampamento, chiese notizie della ragazza. Notò un
certo imbarazzo tra i suoi interlocutori e più tardi uno di loro, avvicinandosi con
grande segretezza, fece un segno: passò una mano sulla gola con il gesto caratteristico
degli arabi quando vogliono dire: “E stata sgozzata “. Si era scoperta incinta prima
del matrimonio e l'onore della famiglia esigeva quella fine. Allora ripensò a Maria,
agli sguardi impietosi della gente di Nazareth, agli ammiccamenti, capì la solitudine
di Maria, e quella notte stessa la scelse come compagna di viaggio e maestra della
sua fede . Dio non strappa mai alle creature dei consensi, nascondendo loro
le conseguenze, ciò cui andranno incontro. Lo vediamo in tutte le grandi chiamate
di Dio. A Geremia preannuncia: “Ti muoveranno guerra” (Ger l, 19) e di Saulo, dice
ad Anania: “Io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome2 (At 9, 16). Solo
con Maria, per una missione come la sua, avrebbe agito diversamente? Nella luce dello
Spirito Santo, che accompagna la chiamata di Dio, ella ha certamente intravisto che
anche il suo cammino non sarebbe stato diverso da quello di tutti gli altri chiamati.
Del resto, Simeone, ben presto, darà espressione a questo presentimento, quando le
dirà che una spada le avrebbe trapassato l'anima. Uno scrittore moderno,
Erri De Luca, ha descritto in modo poetico questo presentimento di Maria al momento
della nascita di Gesù. Ella è sola nella grotta, Giuseppe veglia all’esterno (per
legge nessun uomo può assistere al parto); ha appena dato alla luce il figlio, quando
delle strane associazioni le balenano nella mente: “Perché, figlio mio, nasci proprio
qui a Bet-Lehem, Casa del Pane? E perché dobbiamo chiamarti Ieshu?... Fa’ che questo
brivido salito sulla mia schiena, questo freddo venuto dal futuro sia lontano da lui”.
La madre presagisce che quel figlio le sarà tolto, allora ripete tra sé: “Fino alla
prima luce Ieshu è solamente mio. Voglio cantare una canzone con queste tre parole
e basta. Stanotte qui a Bet Lehem è solamente mio”. E, così dicendo, se lo porta al
seno per allattarlo. Maria è l'unica ad aver creduto “in situazione di contemporaneità”,
cioè mentre la cosa accadeva, prima di ogni conferma e di ogni convalida da parte
degli eventi e della storia 8.Gesù
disse a Tommaso: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo
visto crederanno!” (Gv 20, 29): Maria è la prima di coloro che hanno creduto senza
aver ancora visto. San Paolo dice che Dio ama chi dona con gioia (2 Cor
9, 7) e Maria ha detto a Dio il suo “sì “ con gioia. Il verbo con cui Maria esprime
il suo consenso, e che è tradotto con “fiat “ o con “si faccia “, nell'originale,
è all'ottativo (génoito), un modo verbale che in greco si usa per esprimere desiderio
e perfino gioiosa impazienza che una certa cosa avvenga. Come se la Vergine dicesse:
“Desidero anch'io, con tutto il mio essere, quello che Dio desidera; si compia presto
ciò che egli vuole “. Davvero, come diceva sant'Agostino, prima ancora che nel suo
corpo ella concepì Cristo nel suo cuore. Ma Maria non disse “fiat” perché
non parlava latino e non disse neppure “génoito “ che è parola greca. Che cosa disse
allora? Qual è la parola che, nella lingua parlata da Maria, corrisponde più ' da
vicino a questa espressione? Quando voleva dire a Dio “sì, così sia “, un ebreo diceva
“amen! “ Se è lecito cercare di risalire, con pia riflessione, all'ipsissima vox,
alla parola esatta uscita dalla bocca di Maria - o almeno alla parola che c'era, a
questo punto, nella fonte giudaica usata da Luca -, questa deve essere stata proprio
la parola “amen “. Ricordiamo i salmi che nella Volgata latina terminavano con l’espressione:
“fiat, fiat”?; nel testo greco dei LXX, a quel punto, c’è “genoito, genoito” e nell’originale
ebraico conosciuto da Maria c’è “amen, amen”. Amen è parola ebraica, la
cui radice significa solidità, certezza; era usata nella liturgia come risposta di
fede alla parola di Dio. Con l'“amen “ si riconosce quel che è stato detto come parola
ferma, stabile, valida e vincolante. La sua traduzione esatta, quando è risposta alla
parola di Dio, è questa: “Così è e così sia “. Indica fede e obbedienza insieme; riconosce
che quel che Dio dice è vero e vi si sottomette. E dire “sì “ a Dio. In questo senso
lo troviamo sulla bocca stessa di Gesù: “Sì, amen, Padre, perché così è piaciuto a
te... “ (cf Mt 11, 26). Egli anzi è l'Amen personificato: Così parla l’Amen... (Ap
3, 14) ed è per mezzo di lui che ogni altro “amen “ di fede pronunciato sulla terra
sale ormai a Dio (cf 2 Cor l, 20). Anche Maria, dopo il Figlio, è l’ amen a Dio fatto
persona. La fede di Maria è dunque un atto d'amore e di docilità, libero
anche se suscitato da Dio, misterioso come misterioso è ogni volta l'incontro tra
la grazia e la libertà. E questa la vera grandezza personale di Maria, la sua beatitudine
confermata da Cristo stesso. “Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai
preso il latte” (Lc 11, 27), dice una donna nel Vangelo. La donna proclama Maria beata
perché ha portato Gesù; Elisabetta la proclama beata perché ha creduto; la donna proclama
beato il portare Gesù nel grembo, Gesù proclama beato il portarlo nel cuore: “Beati
piuttosto - risponde Gesù - coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano”.
Egli aiuta, in tal modo, quella donna e tutti noi, a capire dove risiede la grandezza
personale di sua Madre. Chi è infatti che “custodiva“ le parole di Dio più di Maria,
della quale è detto due volte, dalla stessa Scrittura, che “custodiva tutte le parole
nel suo cuore “? (cf Lc 2, 19.51). Non dovremmo concludere il nostro sguardo
alla fede di Maria con l'impressione che Maria abbia creduto una volta e poi basta
nella sua vita; che ci sia stato un solo grande atto di fede nella vita della Madonna.
Quante volte, in seguito all'Annunciazione, Maria sarà stata martirizzata dall'apparente
contrasto della sua situazione con tutto ciò che era scritto e conosciuto, circa la
volontà di Dio, nell'Antico Testamento e circa la figura stessa del Messia! Il Concilio
Vaticano II ci ha fatto un grande dono, affermando che anche Maria ha camminato nella
fede, anzi che ha “progredito” nella fede, cioè è cresciuta e si è perfezionata in
essa . 3. Crediamo anche noi! Passiamo ora da Maria
al sacerdote. Sant'Agostino ha scritto: “Maria credette e in lei quel che credette
si avverò. Crediamo anche noi, perché quel che si avverò in lei possa giovare anche
a noi”. Crediamo anche noi! La contemplazione della fede di Maria ci spinge a rinnovare
anzitutto il nostro personale atto di fede e di abbandono a Dio. Tutti
devono e possono imitare Maria nella sua fede, ma in modo tutto speciale deve farlo
il sacerdote. “Il mio giusto - dice Dio - vivrà di fede “ (cf Abacuc 2, 4; Rm 1,
17): questo vale, a un titolo speciale, per il sacerdote. Egli è l'uomo della fede.
La fede è ciò che determina, per così dire, il suo “peso specifico” e l’efficacia
del suo ministero. Ciò che i fedeli colgono immediatamente in un sacerdote
e in un pastore, è se “ ci crede “, se crede in ciò che dice e in ciò che celebra.
Chi dal sacerdote cerca anzitutto Dio, se ne accorge subito; chi non cerca da lui
Dio, può essere facilmente tratto in inganno e indurre in inganno lo stesso sacerdote,
facendolo sentire importante, brillante, al passo coi tempi, mentre, in realtà, è
un “bronzo che tintinna e un cembalo squillante”. Perfino il non credente
che si accosta al sacerdote in uno spirito di ricerca, capisce subito la differenza.
Quello che lo provocherà e che potrà metterlo salutarmente in crisi, non sono in genere
le più dotte discussioni della fede, ma trovarsi davanti a uno che crede veramente
con tutto se stesso. La fede è contagiosa. Come non si contrae contagio, sentendo
solo parlare di un virus o studiandolo, ma venendone a contatto, così è con la fede. A
volte si soffre e magari ci si lamenta in preghiera con Dio, perché la gente abbandona
la Chiesa, non lascia il peccato, perché parliamo parliamo, e non succede niente.
Un giorno gli apostoli tentarono di cacciare il demonio da un povero ragazzo, ma senza
riuscirvi. Dopo che Gesù ebbe cacciato, lui, lo spirito cattivo dal ragazzo, si accostarono
a Gesù in disparte e gli chiesero: “Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo?” E Gesù
rispose: “Per la vostra poca fede” (Mi 17, 19-20). San Bonaventura racconta
come un giorno, mentre era sul monte della Verna, gli tornò in mente ciò che dicono
i santi Padri e cioè che l'anima devota, per grazia dello Spirito Santo e la potenza
dell'Altissimo, può spiritualmente concepire per fede il benedetto Verbo del Padre,
partorirlo, dargli il nome, cercarlo e adorarlo con i Magi e infine presentarlo felicemente
a Dio Padre nel suo tempio. Scrisse allora un opuscolo intitolato “Le cinque feste
di Gesù bambino”, per mostrare come il cristiano può rivivere in sé ognuno di questi
cinque momenti della vita di Gesù. Mi limito a ciò che san Bonaventura dice delle
due prime feste, la concezione e la nascita, applicandolo in particolare al sacerdote. Il
sacerdote concepisce Gesù quando, scontento della vita che conduce, stimolato da sante
ispirazioni e accendendosi di santo ardore, infine staccandosi risolutamente dalle
sue vecchie abitudini e difetti, è come fecondato spiritualmente dalla grazia dello
Spirito Santo e concepisce il proposito di una vita nuova. Una volta concepito,
il benedetto Figlio di Dio nasce nel cuore del sacerdote, allorché, dopo aver fatto
un sano discernimento, chiesto opportuno consiglio, invocato l'aiuto di Dio, mette
immediatamente in opera il suo santo proposito, cominciando a realizzare quello che
da tempo andava maturando, ma che aveva sempre rimandato per paura di non esserne
capace. Questo proposito di vita nuova deve, però, tradursi subito, senza
rinvii, in qualcosa di concreto, in un cambiamento, possibilmente anche esterno e
visibile, nella nostra vita e nelle nostre abitudini. Se il proposito non è messo
in atto, Gesù è concepito, ma non è partorito. Sarà uno dei tanti aborti spirituali
di cui è pieno purtroppo il mondo delle anime. Ci sono due brevissime parole
che Maria pronunciò al momento dell’Annunciazione e il sacerdote pronuncia nel momento
della sua ordinazione: “Eccomi!” e “Amen”, o “Sì”. Ricordo il momento in cui ero davanti
all’altare per l’ordinazione con una decina di miei compagni. A un certo punto venne
pronunciato il mio nome e io risposi emozionatissimo: “Eccomi!” Nel corso
del rito, ci furono rivolte alcune domande: “Vuoi esercitare il ministero sacerdotale
per tutta la vita?”, “Vuoi adempiere degnamente e fedelmente il ministero della parola
nella predicazione?”, “Vuoi celebrare con devozione e fedeltà i misteri di Cristo?”.
Ad ogni domanda rispondemmo: “Sì, lo voglio!” Il rinnovamento spirituale
del sacerdozio cattolico, auspicato dal Santo Padre, sarà proporzionato allo slancio
con cui ognuno di noi, sacerdoti o vescovi della Chiesa, saremo capaci di pronunciare
di nuovo un gioioso: “Eccomi!” e “Sì, lo voglio!”, facendo rivivere l’unzione ricevuta
nell’ordinazione. Gesù entrò nel mondo dicendo: “Ecco, io vengo, per fare, o Dio,
la tua volontà!” (Eb 10,7). Noi lo accogliamo, in questo Natale, con le stesse parole:
“Ecco, io vengo, Signore Gesù, a fare la tua volontà!”.