2009-12-16 15:12:53

Vertice sul clima a Copenaghen: ancora lontano un accordo


Alla Conferenza sul clima di Copenaghen stanno arrivando tutti i principali leader politici della terra per la fase saliente dei negoziati. Ma a due giorni dalla chiusura dei lavori, appare sempre più lontana la possibilità di raggiungere un accordo vincolante sulla riduzione delle emissioni dei gas serra. Intanto, per le strade della capitale danese si registrano nuovi scontri tra manifestanti e forze dell’ordine. Oltre 200 i dimostranti fermati questa mattina. Il servizio del nostro inviato a Copenaghen Salvatore Sabatino:RealAudioMP3

Dal vertice della speranza a quello del pessimismo, qui al Bella Center: le 192 delegazioni presenti ai negoziati si dicono deluse dalle trattative. Nessuna nuova bozza di accordo è stata presentata, nonostante gli incontri siano proseguiti anche nella notte. Fonti vicine ai negoziati parlano di alcuni progressi sui capitoli riguardanti agricoltura e deforestazione, ma non sufficienti per giustificare un vertice tra capi di Stato e di governo. Un segnale preoccupante, che conferma la storica contrapposizione tra Paesi ricchi e Paesi poveri emergenti. Se da un lato, gli Stati Uniti e l’Europa cercano di andare oltre il Protocollo di Kyoto e di stabilire obiettivi di riduzione più ambiziosi, i Paesi del G77 vanno in senso diametralmente opposto e chiedono finanziamenti e tecnologie per stare al passo con lo sviluppo. Si lavora come base attorno a due bozze: la prima sul finanziamento all’economia in via di sviluppo per mitigare le conseguenze del cambiamento climatico, nella quale non appaiono cifre, mentre un secondo testo contiene le percentuali da negoziare sulle emissioni globali di CO2 fino al 2080. Tutto questo complica la situazione, a 48 ore dalla fine dei lavori. In realtà, il clima di preoccupazione si respirava già ieri, quando all’apertura della sessione ministeriale, la presidente danese del summit, Connie Hedegaard, aveva detto che il vertice era a rischio e che erano necessari dei compromessi. Sulla stessa lunghezza d’onda anche il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, che ha lanciato un appello a tutte le parti affinché si riesca a giungere ad un accordo entro venerdì, giornata in cui arriveranno qui a Copenaghen oltre 120 tra capi di Stato e di governo. I primi ospiti illustri sono già arrivati: il presidente venezuelano, Hugo Chavez, al quale seguirà tra breve anche il suo omologo boliviano, Evo Morales. Intanto, fuori del Bella Center, che riunisce i delegati e i leader della Terra, sale la tensione: no global e movimenti ambientalisti sono scesi di nuovo in piazza e hanno tentato di marciare verso il Centro congressi. Oltre 200 persone, riferisce la polizia, sono state arrestate all’esterno della struttura. Copenaghen invece si prepara questa sera ad un black-out volontario: un messaggio particolare ai grandi della Terra, affinché si raggiunga l’accordo. E se a lanciarlo è la città più eco-compatibile del mondo questo assume un valore ancora maggiore.

 
Russia-Nato-Usa
Il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, oggi a Mosca ha parlato di una “nuova tappa nei rapporti tra Russia e Nato”. Rasmussen, durante un colloquio con il ministro degli esteri russo, Serghiei Lavrov, ha sottolineato che il suo obiettivo è quello di costruire “un’autentica partnership con la Russia”. Intanto, il Dipartimento di Stato americano ha annunciato che Stati Uniti e Russia sarebbero molto vicini ad un accordo per un nuovo Trattato di riduzione degli armamenti nucleari, in sostituzione del vecchio START-1. Russia e Usa hanno comunque concordato di estendere la validità del vecchio accordo in attesa di firmare il nuovo, che non sembra essere in programma al vertice sul clima di Copenaghen.

Iran
Nuova fiammata di tensioni tra Iran e Occidente, dopo che questa mattina Teheran ha testato un nuovo missile a lungo raggio in grado di raggiungere Israele. Sullo sfondo, intanto, resta il controverso programma nucleare e il duro scontro politico interno alla Repubblica islamica. Il servizio di Marco Guerra:RealAudioMP3

Teheran ha portato a termine con successo il test di Sejil-2, missile a lunga gittata con un raggio d'azione maggiore dello Shahab, collaudato di recente e in grado di raggiungere il territorio israeliano e le basi militari statunitensi nel Golfo. L’annuncio dato dalla tv di stato iraniana ha raccolto l’immediata la reazione occidentale. Il premier britannico, Gordon Brown, ha detto che il test spinge “verso nuove sanzioni”. Sullo stesso tono Parigi, che parla di “un pessimo segnale rivolto alla comunità internazionale”. Gli Stati Uniti sono intanto passati dalle parole ai fatti. Ieri sera, la Camera di Washington ha approvato una misura per imporre sanzioni alle compagnie straniere che forniscono benzina all'Iran. Teheran, a causa della mancanza di raffinerie interne, è infatti costretta ad importare circa il 40% del suo fabbisogno di carburante. Sempre più tesa anche la situazione nel Paese: il capo della magistratura iraniana, l'ayatollah Sadeq Larijani, sostiene di poter provare che i leader dell'opposizione hanno alimentato le proteste dopo le contestate elezioni presidenziali del 12 giugno, e ha avvertito che il sistema giudiziario potrebbe decidere di agire in ogni momento contro di loro.

 
Pakistan: attentato in Punjab, bilancio sale a 34 morti
Sono salite a 34 le vittime dell'attacco suicida sferrato ieri in un mercato di Dera Ghazi Khan, popolosa città nella provincia del Punjab pakistano. I feriti ricoverati in vari ospedali sono almeno 90, molti di essi in gravi condizioni. Decine invece le persone di cui non si hanno notizie e che probabilmente sono rimaste intrappolate sotto i negozi crollati. I soccorritori per il momento sono riusciti a estrarre dalle macerie tre persone ancora vive. Intanto, almeno 20 militanti islamici sono morti e altri sei sono rimasti feriti in un raid dell'aviazione militare pakistana nella regione denominata Orakzai Agency, non lontano dal confine con l'Afghanistan. Un'emittente locale ha precisato di aerei ed elicotteri pakistani che hanno bombardato nascondigli dei talebani a Sultanzai e Stori Khel.

Afghanistan: non si ferma l’ondata di attentati, 21 vittime nelle 24 ore
Ieri sera, un rudimentale ordigno collocato sul bordo di una strada nel distretto di Rubat-i-Sangin, provincia occidentale di Herat, ha causato la morte di quattro agenti della polizia afghana, che si trovavano a bordo della loro auto. Sale così a 21 il numero delle vittime che in meno di ventiquattro ore sono morte per una serie di attentati dei talebani, che ha interessato anche Kabul e le province di Helmand e Paktia. La Forza internazionale di assistenza alla sicurezza in Afghanistan (Isaf) ha annunciato di avere arrestato quattro comandanti talebani nella provincia di Kandahar insieme a numerosi altri militanti islamici. L'Isaf ha anche confermato l’uccisione, avvenuta ieri, di due soldati britannici e di uno estone.

Usa: Obama - Guantanamo
Il presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, ha ordinato ieri la requisizione del carcere di massima sicurezza di Thomson, nell’Illinois per agevolare la chiusura del centro di detenzione di Guantanamo. La decisione s’inquadra nell’impegno di chiusura di quest’ultimo in tempi rapidi, preso solennemente a inizio mandato da Obama. Attualmente, sono ancora 210 i prigionieri detenuti nella base americana in territorio cubano con l’accusa di essere terroristi internazionali.

Stati Uniti: riforma sanitaria
Il capo della casa Bianca, Obama, ha chiamato a raccolta i senatori democratici per esortarli al massimo impegno in vista dell’approvazione finale della riforma della sanità che mira estendere la copertura sanitaria a 30 milioni di americani che ne sono sprovvisti. A margine dell’incontro, il presidente statunitense ha detto che esiste un "ampio consenso" sugli obiettivi generali del provvedimento e ha rimarcato quella che secondo lui è stata una cattiva informazione in merito al costo reale della manovra.

Italia - Finanziaria
Con 307 "sì" e 271 "no" e 2 astenuti, la Camera dei deputati italiana ha approvato la fiducia che il governo ha posto sulla Finanziaria. Domani, si svolgerà il voto finale sull'intero provvedimento che poi passerà al Senato per l'approvazione definitiva.

Italia - Berlusconi
C’è attesa per le dimissioni del premier, Silvio Berlusconi, dall’ospedale San Raffaele di Milano, dove si trova ricoverato dopo l’aggressione subito domenica scorsa. La scorsa notte, è stato fermato un giovane torinese di 26 anni che si era introdotto nella struttura sanitaria. Le autorità stanno cercando di capire le intenzioni dell’uomo, dopo che nella sua auto sono state trovate alcune mazze da hockey. Intanto, il giudice per le indagini preliminari ha confermato la custodia cautelare in carcere per l’aggressore del premier, Massimo Tartaglia.

Myanmar
In Myanmar, la Giunta militare al potere ha concesso al leader dell’opposizione birmana, Aung Sang Suu Kyi, di incontrare alcuni membri della direzione del suo partito, la Lega nazionale per la democrazia (Lnd). Il Premio Nobel per la pace aveva ricevuto ieri nella sua residenza i suoi legali, con i quali ha discusso dei progressi nella causa di appello contro la sua recente condanna ad altri 18 mesi di reclusione. La Corte suprema birmana deciderà lunedì 21 dicembre sull'appello. Aung Sang Suu Kyi è tuttora agli arresti domiciliari, vissuti quasi senza interruzione da quando, nel 1990, la Lnd aveva vinto le ultime elezioni libere nell’ex Birmania.

Libia
L'ex agente libico, Abdelbaset al-Megrahi, unico condannato per l'attentato di Lockerbie in cui morirono 270 persone nel 1988, è scomparso. Secondo un indagine del quotidiano britannico The Times, l’uomo - tornato da pochi mesi in patria dopo essere stato scarcerato dalla Scozia per motivi di salute - non è né a casa né al Tripoli Medical Center, dove ha fatto la sua ultima apparizione pubblica lo scorso 9 settembre. Il giornale spiega che se l'ex terrorista non verrà rintracciato potrebbe aprirsi una nuova crisi con il governo scozzese.

Russia. Scomparso Iegor Gaidar, padre di storiche riforme economiche
E’ scomparso stanotte alle porte di Mosca, Iegor Gaidar, economista e studioso russo, considerato l'architetto delle riforme economiche del libero mercato avviate nei primi anni Novanta in Russia dall'allora presidente, Boris Ieltsin. Aveva 53 anni. La morte è avvenuta improvvisamente per una trombosi cerebrale. Sulla sua cosiddetta "terapia shock" in economia, Giada Aquilino ha intervistato l’economista Alberto Quadrio Curzio, preside della Facoltà di Scienze politiche all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano:RealAudioMP3

R. - Si trattò di una terapia di passaggio molto rapido, in tempi acceleratissimi, da un’economia collettivista ad un’economia di mercato: il che significa procedere molto rapidamente con processi di privatizzazione, con processi di smantellamento dei controlli di natura amministrativa, pubblica e collettivista dell’economia e passare a quella che è l’economia di mercato nel senso più tipico del termine. Certamente, fu una decisione di natura molto, molto forte, radicale, anche perché il passaggio alla democrazia può essere accompagnato in economia da un passaggio graduale al meccanismo di mercato.

 
D. - Questa rapidità, di fatto, che effetti provocò?

 
R. - Sono di natura composita, perché in taluni casi ci sono stati dei fenomeni di accentramento del potere economico nelle mani di grandi monopolisti e si è, perciò, passati dal monopolio di Stato - dal monopolio collettivista - a delle forme di oligarchie private, che hanno enormemente arricchito talune categorie e ceti denominati “gli oligarchi”. Poi, da un altro lato, si sono create anche delle grandi ondate di disordine nei mercati della Russia.

 
D. - Ma dopo il crollo del Muro di Berlino, la caduta della cortina di ferro, era un passaggio in un certo senso dovuto, oppure poteva essere adottata qualche altra misura?

 
R. - Credo che una maggiore gradualità, intendo dal punto di vista economico, soprattutto considerata le dimensioni dell’Unione Sovietica, sarebbe stata probabilmente più opportuna. Naturalmente, bisogna anche tener conto che l’evento di per sé era un "unicum": non c’erano esperimenti antecedenti e, quindi, si può anche mettere in conto una certa quantità di errori che sono stati compiuti. In Paesi più piccoli, transitati dall’economia di comando, dall’economia collettivista, all’economia di mercato, il processo è stato certamente più facile proprio per la loro piccola dimensione: anche laddove sono state attuate delle privatizzazioni rapide, la ridotta dimensione non ha creato quegli squilibri tipici del capitalismo estremo e delle oligarchie di capitalismo, che si sono invece verificati nella Russia. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra e Chiara Pileri)

 
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIII no. 350

 
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