Vertice sul clima a Copenaghen: ancora lontano un accordo
Alla Conferenza sul clima di Copenaghen stanno arrivando tutti i principali leader
politici della terra per la fase saliente dei negoziati. Ma a due giorni dalla chiusura
dei lavori, appare sempre più lontana la possibilità di raggiungere un accordo vincolante
sulla riduzione delle emissioni dei gas serra. Intanto, per le strade della capitale
danese si registrano nuovi scontri tra manifestanti e forze dell’ordine. Oltre 200
i dimostranti fermati questa mattina. Il servizio del nostro inviato a Copenaghen
Salvatore Sabatino:
Dal vertice
della speranza a quello del pessimismo, qui al Bella Center: le 192 delegazioni presenti
ai negoziati si dicono deluse dalle trattative. Nessuna nuova bozza di accordo è stata
presentata, nonostante gli incontri siano proseguiti anche nella notte. Fonti vicine
ai negoziati parlano di alcuni progressi sui capitoli riguardanti agricoltura e deforestazione,
ma non sufficienti per giustificare un vertice tra capi di Stato e di governo. Un
segnale preoccupante, che conferma la storica contrapposizione tra Paesi ricchi e
Paesi poveri emergenti. Se da un lato, gli Stati Uniti e l’Europa cercano di andare
oltre il Protocollo di Kyoto e di stabilire obiettivi di riduzione più ambiziosi,
i Paesi del G77 vanno in senso diametralmente opposto e chiedono finanziamenti e tecnologie
per stare al passo con lo sviluppo. Si lavora come base attorno a due bozze: la prima
sul finanziamento all’economia in via di sviluppo per mitigare le conseguenze del
cambiamento climatico, nella quale non appaiono cifre, mentre un secondo testo contiene
le percentuali da negoziare sulle emissioni globali di CO2 fino
al 2080. Tutto questo complica la situazione, a 48 ore dalla fine dei lavori. In realtà,
il clima di preoccupazione si respirava già ieri, quando all’apertura della sessione
ministeriale, la presidente danese del summit, Connie Hedegaard, aveva detto che il
vertice era a rischio e che erano necessari dei compromessi. Sulla stessa lunghezza
d’onda anche il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, che ha lanciato un appello
a tutte le parti affinché si riesca a giungere ad un accordo entro venerdì, giornata
in cui arriveranno qui a Copenaghen oltre 120 tra capi di Stato e di governo. I primi
ospiti illustri sono già arrivati: il presidente venezuelano, Hugo Chavez, al quale
seguirà tra breve anche il suo omologo boliviano, Evo Morales. Intanto, fuori del
Bella Center, che riunisce i delegati e i leader della Terra, sale la tensione: no
global e movimenti ambientalisti sono scesi di nuovo in piazza e hanno tentato di
marciare verso il Centro congressi. Oltre 200 persone, riferisce la polizia, sono
state arrestate all’esterno della struttura. Copenaghen invece si prepara questa sera
ad un black-out volontario: un messaggio particolare ai grandi della Terra, affinché
si raggiunga l’accordo. E se a lanciarlo è la città più eco-compatibile del mondo
questo assume un valore ancora maggiore.
Russia-Nato-Usa Il
segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, oggi a Mosca ha parlato di
una “nuova tappa nei rapporti tra Russia e Nato”. Rasmussen, durante un colloquio
con il ministro degli esteri russo, Serghiei Lavrov, ha sottolineato che il suo obiettivo
è quello di costruire “un’autentica partnership con la Russia”. Intanto, il Dipartimento
di Stato americano ha annunciato che Stati Uniti e Russia sarebbero molto vicini ad
un accordo per un nuovo Trattato di riduzione degli armamenti nucleari, in sostituzione
del vecchio START-1. Russia e Usa hanno comunque concordato di estendere la validità
del vecchio accordo in attesa di firmare il nuovo, che non sembra essere in programma
al vertice sul clima di Copenaghen.
Iran Nuova fiammata di tensioni
tra Iran e Occidente, dopo che questa mattina Teheran ha testato un nuovo missile
a lungo raggio in grado di raggiungere Israele. Sullo sfondo, intanto, resta il controverso
programma nucleare e il duro scontro politico interno alla Repubblica islamica. Il
servizio di Marco Guerra:
Teheran ha
portato a termine con successo il test di Sejil-2, missile a lunga gittata
con un raggio d'azione maggiore dello Shahab, collaudato di recente e in grado di
raggiungere il territorio israeliano e le basi militari statunitensi nel Golfo. L’annuncio
dato dalla tv di stato iraniana ha raccolto l’immediata la reazione occidentale. Il
premier britannico, Gordon Brown, ha detto che il test spinge “verso nuove sanzioni”.
Sullo stesso tono Parigi, che parla di “un pessimo segnale rivolto alla comunità internazionale”.
Gli Stati Uniti sono intanto passati dalle parole ai fatti. Ieri sera, la Camera di
Washington ha approvato una misura per imporre sanzioni alle compagnie straniere che
forniscono benzina all'Iran. Teheran, a causa della mancanza di raffinerie interne,
è infatti costretta ad importare circa il 40% del suo fabbisogno di carburante. Sempre
più tesa anche la situazione nel Paese: il capo della magistratura iraniana, l'ayatollah
Sadeq Larijani, sostiene di poter provare che i leader dell'opposizione hanno
alimentato le proteste dopo le contestate elezioni presidenziali del 12 giugno, e
ha avvertito che il sistema giudiziario potrebbe decidere di agire in ogni
momento contro di loro.
Pakistan: attentato
in Punjab, bilancio sale a 34 morti Sono salite a 34 le vittime dell'attacco
suicida sferrato ieri in un mercato di Dera Ghazi Khan, popolosa città nella provincia
del Punjab pakistano. I feriti ricoverati in vari ospedali sono almeno 90, molti di
essi in gravi condizioni. Decine invece le persone di cui non si hanno notizie e che
probabilmente sono rimaste intrappolate sotto i negozi crollati. I soccorritori per
il momento sono riusciti a estrarre dalle macerie tre persone ancora vive. Intanto,
almeno 20 militanti islamici sono morti e altri sei sono rimasti feriti in un raid
dell'aviazione militare pakistana nella regione denominata Orakzai Agency, non lontano
dal confine con l'Afghanistan. Un'emittente locale ha precisato di aerei ed elicotteri
pakistani che hanno bombardato nascondigli dei talebani a Sultanzai e Stori Khel.
Afghanistan:
non si ferma l’ondata di attentati, 21 vittime nelle 24 ore Ieri sera, un rudimentale
ordigno collocato sul bordo di una strada nel distretto di Rubat-i-Sangin, provincia
occidentale di Herat, ha causato la morte di quattro agenti della polizia afghana,
che si trovavano a bordo della loro auto. Sale così a 21 il numero delle vittime
che in meno di ventiquattro ore sono morte per una serie di attentati dei talebani,
che ha interessato anche Kabul e le province di Helmand e Paktia. La Forza internazionale
di assistenza alla sicurezza in Afghanistan (Isaf) ha annunciato di avere arrestato
quattro comandanti talebani nella provincia di Kandahar insieme a numerosi altri militanti
islamici. L'Isaf ha anche confermato l’uccisione, avvenuta ieri, di due soldati britannici
e di uno estone.
Usa: Obama - Guantanamo Il presidente degli Stati
Uniti, Barak Obama, ha ordinato ieri la requisizione del carcere di massima sicurezza
di Thomson, nell’Illinois per agevolare la chiusura del centro di detenzione di Guantanamo.
La decisione s’inquadra nell’impegno di chiusura di quest’ultimo in tempi rapidi,
preso solennemente a inizio mandato da Obama. Attualmente, sono ancora 210 i prigionieri
detenuti nella base americana in territorio cubano con l’accusa di essere terroristi
internazionali.
Stati Uniti: riforma sanitaria Il capo della casa
Bianca, Obama, ha chiamato a raccolta i senatori democratici per esortarli al massimo
impegno in vista dell’approvazione finale della riforma della sanità che mira estendere
la copertura sanitaria a 30 milioni di americani che ne sono sprovvisti. A margine
dell’incontro, il presidente statunitense ha detto che esiste un "ampio consenso"
sugli obiettivi generali del provvedimento e ha rimarcato quella che secondo lui è
stata una cattiva informazione in merito al costo reale della manovra.
Italia
- Finanziaria Con 307 "sì" e 271 "no" e 2 astenuti, la Camera dei deputati
italiana ha approvato la fiducia che il governo ha posto sulla Finanziaria. Domani,
si svolgerà il voto finale sull'intero provvedimento che poi passerà al Senato per
l'approvazione definitiva.
Italia - Berlusconi C’è attesa per le
dimissioni del premier, Silvio Berlusconi, dall’ospedale San Raffaele di Milano, dove
si trova ricoverato dopo l’aggressione subito domenica scorsa. La scorsa notte, è
stato fermato un giovane torinese di 26 anni che si era introdotto nella struttura
sanitaria. Le autorità stanno cercando di capire le intenzioni dell’uomo, dopo che
nella sua auto sono state trovate alcune mazze da hockey. Intanto, il giudice per
le indagini preliminari ha confermato la custodia cautelare in carcere per l’aggressore
del premier, Massimo Tartaglia.
Myanmar In Myanmar, la Giunta militare
al potere ha concesso al leader dell’opposizione birmana, Aung Sang Suu Kyi, di incontrare
alcuni membri della direzione del suo partito, la Lega nazionale per la democrazia
(Lnd). Il Premio Nobel per la pace aveva ricevuto ieri nella sua residenza i suoi
legali, con i quali ha discusso dei progressi nella causa di appello contro la sua
recente condanna ad altri 18 mesi di reclusione. La Corte suprema birmana deciderà
lunedì 21 dicembre sull'appello. Aung Sang Suu Kyi è tuttora agli arresti domiciliari,
vissuti quasi senza interruzione da quando, nel 1990, la Lnd aveva vinto le ultime
elezioni libere nell’ex Birmania.
Libia L'ex agente libico, Abdelbaset
al-Megrahi, unico condannato per l'attentato di Lockerbie in cui morirono 270 persone
nel 1988, è scomparso. Secondo un indagine del quotidiano britannico The Times, l’uomo
- tornato da pochi mesi in patria dopo essere stato scarcerato dalla Scozia per motivi
di salute - non è né a casa né al Tripoli Medical Center, dove ha fatto la sua ultima
apparizione pubblica lo scorso 9 settembre. Il giornale spiega che se l'ex terrorista
non verrà rintracciato potrebbe aprirsi una nuova crisi con il governo scozzese.
Russia.
Scomparso Iegor Gaidar, padre di storiche riforme economiche E’ scomparso
stanotte alle porte di Mosca, Iegor Gaidar, economista e studioso russo, considerato
l'architetto delle riforme economiche del libero mercato avviate nei primi anni Novanta
in Russia dall'allora presidente, Boris Ieltsin. Aveva 53 anni. La morte è avvenuta
improvvisamente per una trombosi cerebrale. Sulla sua cosiddetta "terapia shock" in
economia, Giada Aquilino ha intervistato l’economista Alberto Quadrio Curzio,
preside della Facoltà di Scienze politiche all’Università Cattolica del Sacro Cuore
di Milano:
R. - Si trattò
di una terapia di passaggio molto rapido, in tempi acceleratissimi, da un’economia
collettivista ad un’economia di mercato: il che significa procedere molto rapidamente
con processi di privatizzazione, con processi di smantellamento dei controlli di natura
amministrativa, pubblica e collettivista dell’economia e passare a quella che è l’economia
di mercato nel senso più tipico del termine. Certamente, fu una decisione di natura
molto, molto forte, radicale, anche perché il passaggio alla democrazia può essere
accompagnato in economia da un passaggio graduale al meccanismo di mercato.
D.
- Questa rapidità, di fatto, che effetti provocò?
R.
- Sono di natura composita, perché in taluni casi ci sono stati dei fenomeni di accentramento
del potere economico nelle mani di grandi monopolisti e si è, perciò, passati dal
monopolio di Stato - dal monopolio collettivista - a delle forme di oligarchie private,
che hanno enormemente arricchito talune categorie e ceti denominati “gli oligarchi”.
Poi, da un altro lato, si sono create anche delle grandi ondate di disordine nei mercati
della Russia.
D. - Ma dopo il crollo del Muro di
Berlino, la caduta della cortina di ferro, era un passaggio in un certo senso dovuto,
oppure poteva essere adottata qualche altra misura?
R.
- Credo che una maggiore gradualità, intendo dal punto di vista economico, soprattutto
considerata le dimensioni dell’Unione Sovietica, sarebbe stata probabilmente più opportuna.
Naturalmente, bisogna anche tener conto che l’evento di per sé era un "unicum": non
c’erano esperimenti antecedenti e, quindi, si può anche mettere in conto una certa
quantità di errori che sono stati compiuti. In Paesi più piccoli, transitati dall’economia
di comando, dall’economia collettivista, all’economia di mercato, il processo è stato
certamente più facile proprio per la loro piccola dimensione: anche laddove sono state
attuate delle privatizzazioni rapide, la ridotta dimensione non ha creato quegli squilibri
tipici del capitalismo estremo e delle oligarchie di capitalismo, che si sono invece
verificati nella Russia.(Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra
e Chiara Pileri) Bollettino
del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIII no. 350 E'
possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del
Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del
sito www.radiovaticana.org/italiano.