Tensioni al Vertice di Copenaghen sul clima tra Paesi ricchi e Stati africani
Dopo una settimana di lavori tecnici, a Copenhagen si entra nell’ufficialità, con
l’arrivo al Bella Center dei ministri dei Paesi partecipanti, impegnati a produrre
una bozza d’accordo da sottoporre all’attenzione dei “grandi” della Terra, che giungeranno
nella capitale danese tra il 17 ed il 18 dicembre. Il servizio è di Salvatore Sabatino.
Una seconda
fase ricca di tensione. In mattinata, infatti, si è consumata una prima vera rottura:
diverse nazioni africane hanno abbandonato i gruppi di lavoro, accusando i
Paesi ricchi di voler far naufragare il Protocollo di Kyoto. “Una rottura sul processo
e sul metodo” - la definisce il ministro australiano per la Lotta al cambiamento climatico,
Penny Wong - “ ma non sulla sostanza”, lasciando intendere che, comunque, l’obiettivo
comune resta il “salvare il pianeta dal riscaldamento globale”. E’ invece sul
taglio delle emissioni di gas serra che si gioca la battaglia di Copenhagen, ossia
sulle cifre degli impegni economici da assumere nei confronti delle economie emergenti.
E le delegazioni, in testa quella danese, sono tutte al lavoro per far rientrare lo
strappo. L’impasse potrebbe essere, dunque, superata a breve. Ed oggi sono
arrivati alla grande platea del Bella Center anche i principi etici e la voce della
fede: una manifestazione di Caritas Internationalis e del Consiglio Ecumenico delle
Chiese, che prende in esame le varie prospettive a dimensione confessionale, concernenti
politiche e strategie orientate alla giustizia climatica. Giancarlo La Vella
ne ha parlato con Paolo Beccegato, responsabile del settore internazionale
della Caritas Italiana: R. - Quello che si chiede, al di là
delle aspettative politiche, è che questo vertice abbia la capacità di lungimiranza:
cioè, non guardare solamente ai costi immediati che vengono richiesti ai governi,
e a tutti in fin dei conti, pcosì da non considerare il beneficio che si avrà nel
medio e lungo periodo. Quindi, la prima considerazione di carattere generale è quella
di una sorta di saggezza politica e complessiva che viene chiesta a tutti i leaders
che sono in un momento di svolta epocale nella storia dell’umanità, possiamo definirla
così. D. - Secondo lei, ci deve essere una ricaduta importante
anche sul semplice cittadino in questo impegno che non può essere delegato soltanto
ai governi dei grandi del mondo? E come si potrebbe manifestarlo? R.
- Bisogna prendere delle decisioni politiche che non siano solo, appunto, lo stanziare
porzioni di badget pubblici per compiere determinate azioni in merito alla produzione
di energia o alle grandi questioni che in qualche modo ci sovrastano. Queste decisioni
pubbliche devono avere poi degli orientamenti, delle indicazioni precise anche per
i consumi e per i comportamenti personali. Quando, per esempio, si è proceduto al
cambiamento di tutti i liquidi - faccio l’esempio dei frigoferi per capirci e per
parlare un linguaggio comprensibile a tutti - per ridurre il famoso buco dell’ozono,
si è data un’indicazione all’industria. Alla fine, questa indicazione si è trasformata
in produzione, in commercializzazione e nell’acquisto dei cittadini che poi piano,
piano, hanno rinnovato i propri frigoferi che hanno poi permesso di ottenere dei risultati
abbastanza buoni su quel fronte.