Il sacerdote sia "il buon profumo di Cristo nel mondo!": così padre Cantalamessa nella
seconda predica d'Avvento. Testo integrale
“Questo dovrebbe essere il sacerdote: il buon profumo di Cristo nel mondo!”: è quanto
ha detto stamani padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, nella
sua seconda predica dell’Avvento dedicata all’Anno sacerdotale, tenuta nella Cappella
Redemptoris Mater, alla presenza del Papa e della Famiglia pontificia. Il religioso
ha ricordato quindi l’avvertimento di San Paolo: ‘Abbiamo questo tesoro in vasi di
terra’ (2 Cor 4,7). “Sappiamo fin troppo bene, dalla dolorosa e umiliante esperienza
recente – ha aggiunto - cosa tutto questo significa. Gesù diceva agli apostoli: ‘Voi
siete il sale della terra; ma, se il sale diventa insipido, con che lo si salerà?
Non è più buono a nulla se non a essere gettato via e calpestato dagli uomini’ (Mt
5,13). La verità di questa parola di Cristo è dolorosamente sotto i nostri occhi.
Anche l’unguento se perde l’odore e si guasta, si trasforma nel suo contrario, in
lezzo, e anziché attirare a Cristo, allontana da lui”. Ecco il testo integrale
della predica di padre Cantalamessa:
Ministri della nuova alleanza
dello Spirito 1. Il servizio dello Spirito La volta
scorsa abbiamo commentato la definizione che Paolo dà dei sacerdoti come “servitori
di Cristo”. Nella Seconda Lettera ai Corinzi troviamo un’affermazione apparentemente
diversa: Scrive: “Egli ci ha anche resi idonei a essere ministri di un nuovo patto,
non di lettera, ma di Spirito; perché la lettera uccide, ma lo Spirito vivifica.
Or se il ministero della morte, scolpito in lettere su pietre, fu glorioso, al punto
che i figli d'Israele non potevano fissare lo sguardo sul volto di Mosè a motivo della
gloria, che pur svaniva, del volto di lui, quanto più sarà glorioso il ministero
dello Spirito?” (2 Cor 6-8). Paolo definisce se stesso e i suoi collaboratori “ministri
dello Spirito” e il ministero apostolico un “servizio dello Spirito”. Il confronto
con Mosè e il culto dell’antica alleanza, non lascia dubbio infatti che in questo
passo, come in molti altri della stessa Lettera, egli parli del ruolo delle guide
nella comunità cristiana, cioè degli apostoli e dei loro collaboratori. Chi
conosce il rapporto che c’è per Paolo tra Cristo e lo Spirito sa che non c’è contraddizione
tra l’essere servitori di Cristo e l’essere ministri dello Spirito, ma continuità
perfetta. Lo Spirito di cui si parla qui è infatti lo Spirito di Cristo. Gesù stesso
spiega il ruolo del Paraclito nei suoi confronti, quando dice agli apostoli: egli
prenderà del mio e ve lo annunzierà, egli vi farà ricordare ciò che vi ho detto, egli
mi darà testimonianza… La definizione completa del ministero
apostolico e sacerdotale è: servitori di Cristo nello Spirito Santo. Lo Spirito indica
la qualità o la natura del nostro servizio che è un servizio “spirituale” nel senso
forte del termine; non solo cioè nel senso che ha per oggetto lo spirito dell’uomo,
la sua anima, ma anche nel senso che ha per soggetto, o per “agente principale”, come
diceva Paolo VI, lo Spirito Santo. Sant’Ireneo dice che lo Spirito Santo è “la nostra
stessa comunione con Cristo” . Poco sopra, nella stessa Seconda Lettera
ai Corinzi, l’Apostolo aveva illustrato l’azione dello Spirito Santo nei ministri
della nuova alleanza con il simbolo dell’unzione: “Or colui che con voi ci fortifica
in Cristo e che ci ha unti, è Dio; egli ci ha pure segnati con il proprio sigillo
e ha messo la caparra dello Spirito nei nostri cuori” (2 Cor 1, 21 s.). Tutti
i cristiani sono “unti”; il loro stesso nome non significa altro che questo: “unti”,
a somiglianza di Cristo, che è l’Unto per eccellenza (cf. 1 Gv 2, 20.27). Paolo però
sta parlando qui dell’ opera sua e di Timoteo (“noi”) nei confronti della comunità
(“voi”); è evidente perciò che si riferisce in particolare all’unzione e al sigillo
dello Spirito ricevuti al momento di essere consacrati al ministero apostolico, per
Timoteo mediante l’imposizione delle mani dell’Apostolo (cf. 2 Tim 1,6). Dobbiamo
assolutamente riscoprire l’importanza dell’unzione dello Spirito perché in essa, sono
convinto, è racchiuso il segreto dell’efficacia del ministero episcopale e presbiterale.
I sacerdoti sono essenzialmente dei consacrati, cioè degli unti. “Nostro Signore Gesù
-si legge nella Presbyterorum ordinis - che il Padre santificò e inviò nel mondo (Gv
10,36), ha reso partecipe tutto il suo corpo mistico di quella unzione dello Spirito
che egli ha ricevuto”. Lo stesso decreto conciliare si premura però di mettere subito
in luce la specificità dell’unzione conferita dal sacramento dell’Ordine. Per esso,
dice, “ i sacerdoti, in virtù dell’unzione dello Spirito Santo, sono marcati da una
speciale carattere che li configura a Cristo Sacerdote, in modo da poter agire in
nome di Cristo Capo”. 2. L’unzione: figura, evento e sacramento L’unzione,
come l’Eucaristia e la Pasqua, è una di quelle realtà che sono presenti in tutte e
tre le fasi della storia della salvezza. È presente infatti nell’Antico Testamento
come figura, nel Nuovo Testamento come evento e nel tempo della Chiesa come sacramento.
Nel nostro caso, la figura è data dalle varie unzioni praticate nell’Antico Testamento;
l’evento è costituito dall’unzione di Cristo, il Messia, l’Unto, a cui tutte le figure
tendevano come al loro compimento; il sacramento, è rappresentato da quell’insieme
di segni sacramentali che prevedono un’unzione come rito principale o complementare.
Nell’Antico Testamento si parla di tre tipi di unzione: l’unzione regale, sacerdotale
e profetica e cioè unzione dei re, dei sacerdoti e dei profeti. In ognuna di queste
tre unzioni, si delinea un orizzonte messianico, cioè l’attesa di un re, di un sacerdote
e di un profeta che sarà l’Unto per antonomasia, il Messia. Insieme con l’investitura
ufficiale e giuridica, l’unzione conferisce anche un reale potere interiore che viene
sempre più chiaramente identificato con lo Spirito Santo. Nell’ungere Saul come re
Samuele dice: “Ecco: il Signore ti ha unto capo sopra Israele suo popolo. Tu avrai
potere sul popolo...Lo Spirito del Signore investirà anche te e ti metterai a fare
il profeta e sarai trasformato in un altro uomo” (1 Sam 10, 1.6). Il legame tra l’unzione
e lo Spirito è soprattutto messo in luce nel noto testo di Isaia: “Lo Spirito del
Signore è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione” (Is. 61, 1). Il
Nuovo Testamento non ha esitazioni nel presentare Gesù come l’Unto di Dio, nel quale
tutte le unzioni antiche hanno trovato il loro compimento. Il titolo di Messia, o
Cristo, che significa, appunto, Unto, è la prova più chiara di ciò. L’evento storico
a cui si fa risalire questo compimento è il battesimo di Gesù nel Giordano. L’effetto
di questa unzione è lo Spirito Santo: “Dio ha unto di Spirito Santo e potenza Gesù
di Nazareth” (At 10, 38); Gesù stesso, subito il suo battesimo, nella sinagoga di
Nazareth dichiarerà: “Lo Spirito del Signore è su di me; mi ha consacrato con l’unzione”
(Lc 4, 18). Gesù era certamente pieno di Spirito Santo fin dal momento dell’incarnazione,
ma si trattava di una grazia personale, legata all’unione ipostatica, e perciò incomunicabile.
Ora, nell’unzione, riceve quella pienezza di Spirito Santo che, come capo, potrà trasmettere
al suo corpo. La Chiesa vive di questa grazia cosiddetta capitale (gratia capitis).
Gli effetti della triplice unzione sono grandiosi e immediati nel ministero
di Gesù. In forza dell’unzione regale, egli abbatte il regno di satana e instaura
il regno di Dio: “Se è con l'aiuto dello Spirito di Dio che io scaccio i demòni, è
dunque giunto fino a voi il regno di Dio” (Mt 12.28); in forza dell’unzione profetica,
egli “annuncia la buona novella ai poveri”; in forza dell’unzione sacerdotale, offre
preghiere e lacrime durante la sua vita terrena e alla fine offre se stresso sulla
croce. Dopo essere stata presente nell’Antico Testamento come
figura e nel Nuovo Testamento come evento, l’unzione è presente ora nella Chiesa come
sacramento. Più che un sacramento unico, l’unzione è presente nella Chiesa come un
insieme di riti sacramentali. Come sacramenti a se stanti, abbiamo la cresima (che
attraverso tutte le trasformazioni subite, risale, come attesta il nome, all’antico
rito dell’unzione con il crisma) e l’unzione degli infermi; come parte di altri sacramenti
abbiamo: l’unzione battesimale e l’unzione nel sacramento dell’ordine. La preghiera
che accompagna l’unzione che segue il battesimo, fa riferimento esplicito alla triplice
unzione di Cristo, dicendo: “Egli stesso vi consacra con il crisma di salvezza; inseriti
in Cristo sacerdote, re e profeta, siate sempre membra del suo corpo per la vita eterna”.
Di tutte queste unzioni, a noi interessa in questo momento
quella che accompagna il conferimento dell’Ordine sacro. Nel momento in cui unge
con il sacro crisma le palme di ciascuno ordinato inginocchiato davanti a lui, il
vescovo pronuncia queste parole: "Il Signore Gesù Cristo che il Padre ha consacrato
in Spirito Santo e potenza, ti custodisca per la santificazione del suo popolo e per
l'offerta del sacrificio". Ancora più esplicito il riferimento all’unzione di Cristo
nella consacrazione episcopale. Ungendo di olio profumato il capo del nuovo vescovo
il vescovo ordinante dice: “Dio, che ti ha fatto partecipe del sommo sacerdozio di
Cristo, effonda su di te la sua mistica unzione e con l’abbondanza della sua benedizione
dia fecondità al tuo ministero”. 3. L’unzione spirituale C’è
però un rischio, che è comune, del resto, a tutti i sacramenti: quello di fermarsi
all’aspetto rituale e canonico dell’ordinazione, alla sua validità e liceità, e non
dare abbastanza importanza alla “res sacramenti”, all’effetto spirituale, alla grazia
propria del sacramento, in questo caso al frutto dell’unzione nella vita del sacerdote.
L’unzione sacramentale ci abilita a compiere certe azioni sacre, come governare, predicare,
istruire; ci dà, per così dire, l’autorizzazione a fare certe cose, non necessariamente
l’autorità o autorevolezza nel farle; assicura la successione apostolica, non necessariamente
il successo apostolico! L’unzione sacramentale, con il carattere
indelebile (il “sigillo”!) che imprime nel sacerdote, è una risorsa dalla quale possiamo
attingere ogni volta che ne sentiamo il bisogno, che possiamo, per così dire, attivare
in ogni momento del nostro ministero. Si attua anche qui quella che in teologia si
chiama la “reviviscenza” del sacramento. Il sacramento, ricevuto in passato, “reviviscit”,
torna a rivivere e a sprigionare la sua grazia: nei casi estremi perché viene tolto
l’ostacolo del peccato (l’obex), in altri casi perché viene rimossa la patina dell’abitudine
e si intensifica la fede nel sacramento. Succede come con un flacone di profumo. Noi
possiamo tenerlo in tasca o stringerlo nella mano finché vogliamo, ma se non lo apriamo
il profumo non si effonde, è come se non ci fosse. Come è nata
questa idea di una unzione attuale? Una tappa importante è costituita, ancora una
volta, da Agostino. Giovanni nella Prima lettera scrive: “L'unzione che avete ricevuta
da lui rimane in voi, e non avete bisogno dell'insegnamento di nessuno; ma siccome
la sua unzione vi insegna ogni cosa ed è veritiera, e non è menzogna, rimanete in
lui come essa vi ha insegnato” (1 Gv 2,27). Agostino interpreta queste parole nel
senso di un’unzione continuata, grazie alla quale lo Spirito Santo, maestro interiore,
ci permette di comprendere dentro ciò che ascoltiamo all’esterno. A lui risale l’espressione
“unzione spirituale”, spiritalis unctio, accolta nell’inno Veni creator. Una
nuova fase nello sviluppo del tema dell’unzione si apre con san Bernardo e san Bonaventura.
Con essi si afferma la nuova accezione, spirituale e moderna di unzione, non legata
tanto al tema della conoscenza della verità, quanto a quello dell’esperienza della
realtà divina. Iniziando a commentare il Cantico dei cantici, san Bernardo dice: “Un
siffatto cantico, solo l’unzione lo insegna, solo l‘esperienza lo fa comprendere”
. San Bonaventura identifica l’unzione con la devozione, concepita da lui come “un
sentimento soave d’amore verso Dio suscitato dal ricordo dei benefici di Cristo”.
Essa non dipende dalla natura, né dalla scienza, né dalle parole o dai libri, ma “dal
dono di Dio che è lo Spirito Santo”. Ai nostri giorni, si usano
sempre più spesso i termini unto e unzione (anointed, anointing) per descrivere l’agire
di una persona, la qualità di un discorso, di una predica, ma con una differenza di
accento. Nel linguaggio tradizionale, l’unzione suggerisce, come si è visto, soprattutto
l’idea di soavità e dolcezza, tanto da dar luogo, nell’uso profano, all’accezione
negativa di “eloquio o atteggiamento mellifluo e insinuante, spesso ipocrita”, e all’aggettivo
“untuoso”, nel senso di “persona o atteggiamento sgradevolmente cerimonioso e servile”.
Nell’uso moderno, più vicino a quello biblico, essa suggerisce
piuttosto l’idea di potere e forza di persuasione. Una predica piena di unzione è
una predica in cui si percepisce, per così dire, il fremito dello Spirito; un annuncio
che scuote, che convince di peccato, che arriva al cuore della gente. Si tratta di
una componente squisitamente biblica del termine, presente per esempio nel testo degli
Atti, in cui si dice che Gesù “fu unto in Spirito e potenza” (At 10, 38). L’unzione,
in questa accezione, appare più un atto che uno stato. È qualcosa che la persona non
possiede stabilmente, ma che sopraggiunge su di essa, la “investe” sul momento, nell’esercizio
di un certo ministero o nella preghiera. Se l’unzione è data dalla presenza dello
Spirito ed è dono suo, che possiamo fare noi per averla? Anzitutto pregare. C’è una
promessa esplicita di Gesù: “Il Padre celeste donerà lo Spirito Santo a coloro che
glielo chiedono!” (Lc 11,13). Poi rompere anche noi il vaso di alabastro come la peccatrice
in casa di Simone. Il vaso è il nostro io, talvolta il nostro arido intellettualismo.
Romperlo, significa rinnegare se stessi, cedere a Dio, con un atto esplicito, le redini
della nostra vita. Dio non può consegnare il suo Spirito a chi non si consegna interamente
a lui. 4. Come ottenere l’unzione dello Spirito Applichiamo
ora alla vita del sacerdote questo ricchissimo contenuto biblico e teologico legato
al tema dell’unzione. San Basilio dice che lo Spirito Santo “fu sempre presente nella
vita del Signore, divenendone l’unzione e il compagno inseparabile”, così che “tutta
l’attività di Cristo si svolse nello Spirito”. Avere l’unzione significa, dunque,
avere lo Spirito Santo come “compagno inseparabile” nella vita, fare tutto “nello
Spirito”, alla sua presenza, con la sua guida. Essa comporta una certa passività,
un essere agiti, mossi, o, come dice Paolo, un “lasciarsi guidare dallo Spirito”
(cf. Gal 5,18). Tutto questo si traduce, all’esterno, ora in soavità, calma,
pace, dolcezza, devozione, commozione, ora in autorità, forza, potere, autorevolezza,
a seconda delle circostanze, del carattere di ognuno e anche dell’ufficio che ricopre.
È una condizione caratterizzata da una certa luminosità interiore che dà facilità
e padronanza nel fare le cose. Un po’ come è la “forma” per l’atleta e l’ispirazione
per il poeta: uno stato in cui si riesce a dare il meglio di sé. Noi
sacerdoti dovremmo abituarci a chiedere l’unzione dello Spirito prima di accingerci
a un’azione importante a servizio del regno: una decisione da prendere, una nomina
da fare, un documento da scrivere, una commissione da presiedere, una predica da preparare.
Io l’ho appreso a mie spese. Mi sono trovato a volte a dover parlare a un vasto uditorio,
in una lingua straniera, magari appena arrivato da un lungo viaggio. Buio totale.
La lingua in cui dovevo parlare mi sembrava di non averla mai conosciuta, incapacità
di concentrarmi su uno schema, un tema. E il canto iniziale stava per finire…Allora
mi sono ricordato dell’unzione e in fretta ho fatto una breve preghiera: “Padre, nel
nome di Cristo, ti chiedo l’unzione dello Spirito!” A volte,
l’effetto è immediato. Si sperimenta quasi fisicamente la venuta su di sé dell’unzione.
Una certa commozione attraversa il corpo, chiarezza nella mente, serenità nell’anima;
scompare la stanchezza, il nervosismo, ogni paura e ogni timidezza; si sperimenta
qualcosa della calma e dell’autorità stessa di Dio. Molte mie preghiere, come, penso,
quelle di ogni cristiano, sono rimaste inascoltate, quasi mai però questa per l’unzione.
Pare che davanti a Dio abbiamo una specie di diritto di reclamarla. 5.
Unti per diffondere nel mondo il buon odore di Cristo Nello stesso contesto
della 2 Corinzi, l’Apostolo, sempre riferendosi al ministero apostolico, sviluppa
la metafora dell’unzione con quella del profumo che ne è l’effetto; scrive: “Siano
rese grazie a Dio che sempre ci fa trionfare in Cristo e che per mezzo nostro spande
dappertutto il profumo della sua conoscenza. Noi siamo infatti davanti a Dio il profumo
di Cristo” ( 2 Cor 2, 14-15). Questo dovrebbe essere il sacerdote: il buon profumo
di Cristo nel mondo! Ma l’Apostolo ci mette sull’avviso, aggiungendo subito dopo:
“Abbiamo questo tesoro in vasi di terra” (2 Cor 4,7). Sappiamo fin troppo bene, dalla
dolorosa e umiliante esperienza recente, cosa tutto questo significa. Gesù diceva
agli apostoli: “Voi siete il sale della terra; ma, se il sale diventa insipido, con
che lo si salerà? Non è più buono a nulla se non a essere gettato via e calpestato
dagli uomini” (Mt 5,13). La verità di questa parola di Cristo è dolorosamente sotto
i nostri occhi. Anche l’unguento se perde l’odore e si guasta, si trasforma nel suo
contrario, in lezzo, e anziché attirare a Cristo, allontana da lui. Anche per rispondere
a questa situazione il Santo Padre ha indetto il presente anno sacerdotale. Lo dice
apertamente nella lettera di indizione: “ Ci sono purtroppo anche situazioni, mai
abbastanza deplorate, in cui è la Chiesa stessa a soffrire per l’infedeltà dei alcuni
suoi ministri. È il mondo a trarre allora motivo di scandalo e di rifiuto”. La lettera
del papa non si ferma però a questa costatazione; aggiunge infatti: “Ciò che massimamente
può giovare in tali casi alla Chiesa non è tanto la puntigliosa rilevazione delle
debolezze dei suoi ministri, quanto una rinnovata e lieta coscienza della grandezza
del dono di Dio, concretizzato in splendide figure di generosi pastori, di Religiosi,
ardenti di amore per Dio e per le anime” . La rilevazione delle
debolezze va fatta, naturalmente, anch’essa, per rendere giustizia alle vittime e
la Chiesa ora lo riconosce e la attua come meglio può, ma va fatta in altra sede e,
in ogni caso, non è da essa che verrà lo slancio per un rinnovamento del ministero
sacerdotale. Io ho pensato a questo ciclo di meditazioni sul sacerdozio proprio come
un piccolo contributo nel senso auspicato dal Santo Padre. Vorrei, al posto mio, far
parlare il mio Serafico Padre san Francesco. In un tempo in cui la situazione morale
del clero non era certo migliore di quella di oggi, egli, nel suo Testamento, scrive:
“Il Signore mi dette e mi dà tanta fede nei sacerdoti che vivono
secondo la forma della santa Chiesa Romana, a causa del loro ordine, che se mi dovessero
perseguitare voglio ricorrere ad essi. E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe
Salomone, e mi incontrassi in sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie
dove abitano, non voglio predicare contro la loro volontà. E questi e tutti gli altri
voglio temere, amare e onorare come miei signori, e non voglio in loro considerare
il peccato, poiché in essi io vedo il Figlio di Dio e sono miei signori. E faccio
questo perché, dell’altissimo Figlio di Dio nient’altro io vedo corporalmente, in
questo mondo, se non il santissimo corpo e il sangue suo che essi soli consacrano
ed essi soli amministrano agli altri”. Paolo parlava della
“gloria” dei ministri della Nuova Alleanza dello Spirito, immensamente più alta di
quella antica. Questa gloria non viene dagli uomini e non può essere distrutta dagli
uomini. Il Santo Curato d’Ars diffondeva certamente intorno a sé il buon odore di
Cristo; più vicino a noi, Padre Pio da Petrelcina diffondeva il profumo di Cristo,
a volte un profumo anche fisico, come è attestato da innumerevoli persone degne di
fede. Tanti sacerdoti, ignorati dal mondo, sono nel loro ambiente il buon odore di
Cristo e del vangelo. Il Padre Lacordaire ha tracciato un profilo
del sacerdote cattolico, che può apparire oggi un po’ troppo ottimistico e idealizzato,
ma ritrovare l’ideale e l’entusiasmo per ministero sacerdotale è precisamente la cosa
che ci occorre in questo momento e perciò lo riascoltiamo a conclusione della presente
meditazione: “Vivere in mezzo al mondo senza alcun desiderio
per i suoi piaceri; essere membro di ogni famiglia, senza appartenere ad alcuna di
esse; condividere ogni sofferenza, essere messo a parte di ogni segreto, guarire ogni
ferita; andare ogni giorno dagli uomini a Dio per offrirgli la loro devozione e le
loro preghiere, e tornare da Dio agli uomini per portare a essi il suo perdono e la
sua speranza; avere un cuore di acciaio per la castità e un cuore di carne per la
carità; insegnare e perdonare, consolare e benedire ed essere benedetto per sempre.
O Dio, che genere di vita è mai questo? È la tua vita, o sacerdote di Gesù Cristo!”.