2009-12-09 14:25:30

Conferenza di Copenaghen sul clima, si lavora per definire gli accordi


Prosegue a Copenhagen il vertice Onu sul clima, giunto al suo terzo giorno. Messi da parte gli entusiasmi iniziali, i delegati dei 192 Paesi presenti sono al lavoro per mettere in piedi una piattaforma di accordo che al termine dell’evento i leader mondiali dovrebbero firmare. E intanto è stato comunicato che sarà l’Africa del Sud ad ospitare nel 2011 il prossimo summit dedicato ai cambiamenti climatici. Il servizio è di Salvatore Sabatino:RealAudioMP3

Non c’è ottimismo al "Bella Center" di Copenhagen, ma non c’è neppure sfiducia. I 192 Paesi presenti sanno che il percorso è ancora lungo, ma sanno anche che bisogna creare almeno una piattaforma sulla quale costruire un accordo. Anche perché - come ha detto ieri il segretario generale dell’Onu, Ban Ki Moon - “non c’è tempo da perdere”. L'attenzione di tutti è puntata ora sui “grandi inquinatori”, Usa e Cina che, come sottolineato dal presidente della Commissione Ue, Josè Manuel Barroso, “non sono ancora pronti”. Pechino, da parte sua, dopo le iniziali aperture, ha chiesto ai “Paesi sviluppati” di andare avanti dando l'esempio e “dimostrare la loro volontà politica” con “impegni concreti e trasferimenti di tecnologia'' ai Paesi più poveri, seguendo i principi stabiliti dal protocollo di Kyoto e dalla riunione di Bali”. Intanto, dal G77 dei Paesi in via di sviluppo giunge la proposta di un testo alternativo, preparato dalla Danimarca, che riprende l'obiettivo di limitare l'aumento del riscaldamento globale a 2 gradi, punta ad una riduzione del 50% delle emissioni mondiali entro il 2050 rispetto al 1990 o del 58% rispetto al livello del 2005, e impegna i Paesi ricchi a ridurre dell'80% le loro emissioni. Contrapposizioni, quelle di Copenhagen, che accendono gli animi degli attivisti impegnati nella causa ambientalista. A Roma, questa mattina, otto manifestanti di Greenpeace sono saliti sul Colosseo, aprendo uno striscione di 300 metri quadrati, su cui campeggia la scritta: Copenhagen, accordo storico adesso. Ma quanto costa ad un Paese attuare una politica di rispetto ambientale? Ugo Bertone, direttore di Finanza e Mercati:  R. - Può costare moltissimo. Di sicuro, andiamo a valutare la manovra in miliardi di dollari per ciascun Paese, soprattutto se parliamo di economie delle dimensioni di India, Cina o Brasile. In un caso come questo, però, sarebbe forse meglio parlare di costi globali, perché la questione del clima non si ferma di fronte alle frontiere e ai confini di nessuno. Questa, direi, deve essere la lezione principale in arrivo da un grande summit internazionale come quello di Copenaghen. Questo è davvero un problema che non conosce passaporto.
 
D. - Si è parlato proprio in questi giorni e nei giorni precedenti a Copenaghen di aiuti concreti di almeno 30 miliardi di dollari per i Paesi in via di sviluppo per i prossimi tre anni, mentre altri parlano di 50 miliardi di dollari. Qual è la cifra giusta?
 
R. - Più che di cifre, in questi casi occorre parlare di una certa volontà, di una certa efficacia nello spendere. In realtà, questa Conferenza deve soprattutto superare il problema delle delusioni legate alla precedente di Kyoto: anche allora si fecero degli annunci estremamente roboanti, si parlò di grandi cifre e poi alla resa dei conti avvenne veramente poco. Si parla di cifre che sono legate a vari meccanismi: ci sono aiuti diretti, ci sono degli sgravi fiscali, ci sono degli incentivi, ci sono delle formule legate sullo scambio. Noi parliamo di aiuti, intorno ai 30 miliardi di dollari, da parte del fronte europeo. Ma la cosa più importante è che si inneschi un circuito virtuoso per cui, accanto all’aiuto diretto dei governi, ci sia un forte stimolo, un forte incentivo perché tutte le economie si convincano che produrre "verde" ed essere meno inquinanti conviene. Diciamo che a quel punto i 30 miliardi potrebbero avviare un circuito virtuoso per centinaia di miliardi. E questo è l’importante.







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