La Rete dei gesuiti africani contro l'Aids: puntare sulla formazione della persona
“La Chiesa non è seconda a nessuno nell’affrontare l’Hiv in Africa e nel prendersi
cura delle persone sieropositive malate di Aids”: è quanto sottolineato dai vescovi
africani in messaggio per la Giornata Mondiale contro l’Aids celebrata martedì scorso.
Per una riflessione sulle diverse dimensioni della lotta contro questa pandemia, Fabio
Colagrande ha intervistato padre Michael Czerny, coordinatore della Rete
gesuita africana contro l’Aids:
R. – Una
persona che ha contratto l’Hiv è molto probabile che perderà il lavoro. La perdita
del lavoro, in un certo senso, è più drammatica e drastica per la persona e la famiglia
perfino rispetto al prendere o non prendere una medicina. La medicina aiuta, ma se
la persona non può lavorare a causa della stigmatizzazione, ciò diventa una condanna
a morte. D. – Quindi voi sottolineate che oltre all’atteggiamento
sessuale ci sono anche altre cause che contribuiscono al diffondersi del virus Hiv
e dell’Aids: cause anche di tipo sociale che non vanno sottovalutate, che bisogna
affrontare … R. – L’Aids è una finestra che si apre su tutte
le dimensioni della vita in Africa. Lottare contro l’Aids, contro la povertà, contro
la violenza diventa una sola lotta e in questo senso mi sembra che la nostra pastorale
nel campo dell’Aids sia un contributo importante allo sviluppo e all’avvenire dell’Africa
come continente, come popolo e come cultura. D. – In sette anni
di attività vedete già dei risultati concreti? R. – Ciò che
abbiamo fatto è incorporare la lotta contro l’Aids all’interno di quelle opere tipiche
della Compagnia di Gesù in Africa: parrocchie, scuole, centri di spiritualità e di
ricerca, centri d’insegnamento. L’Hiv non è un’emergenza a parte, ma è parte della
vita, anzi è una delle sfide della vita qui in Africa, e vogliamo affrontare quest’aspetto
come gli altri grandi aspetti della problematica africana. D.
– Con il Papa, i vescovi africani del Secam hanno riaffermato che il problema non
può essere risolto solo affidandosi esclusivamente, o anche in prima battuta, alla
distribuzione dei profilattici. Voi siete d’accordo? R. – Hanno
pienamente ragione. Mi sembra evidente che il problema siano le decisioni prese o
non prese rispetto a se stessi, all’altra persona e con la fede in Dio. Questo è il
punto centrale. D. – Diciamo quindi che nel vostro approccio
l’educazione, la formazione sono al primo posto? R. – Certo.
La Chiesa non ha soluzioni tecniche da proporre. La Chiesa è una comunità di persone
alla ricerca di Dio e di se stessi, della propria vocazione. Noi sottolineiamo la
formazione e la preparazione per la vita – che è un aspetto tipico della Chiesa –
e la cosa bella è che siamo già presenti, la Chiesa è qui e accompagna la gente. (Montaggio
a cura di Maria Brigini)