2009-12-06 08:43:40

Anno Sacerdotale: la testimonianza di don Luca Ravaglia, maratoneta del Vangelo


Bibbia, scarponi e silenzio: è quanto porta nello zaino don Luca Ravaglia, sacerdote della diocesi di Faenza-Modigliana. Quarantacinque anni, biblista, assistente diocesano dell’Azione Cattolica locale, don Luca è un appassionato camminatore fra i monti: per lui, infatti, “il camminare è un esercizio spirituale”. Quest’anno, questa sua passione lo ha portato a partecipare alla 100 km del Passatore, la maratona Firenze-Faenza. Una gara che don Luca ha corso in memoria dell’Apostolo Paolo, come spiega al microfono di Isabella Piro:RealAudioMP3

R. – Mi piace camminare. Trovo che la formula scarponi-Bibbia-natura sia valida per rinfrancare lo spirito e quindi, ogni tanto, faccio qualche camminata. Quest’anno, poi, l’occasione è nata dall’Anno Paolino. Leggendo i testi di San Paolo si vede che spesso lui usa la metafora della corsa per parlare della sua vita. E’ un Apostolo che ha percorso più di 15 mila chilometri a piedi per annunciare il Vangelo e così mi è venuta voglia di fare 100 chilometri con San Paolo. Mi sono fermato davanti alle chiese e ai luoghi significativi del percorso tra Firenze e Faenza e sette-otto volte mi sono appunto fermato a pregare con i testi di San Paolo più adatti al luogo in cui stavo passando.

 
D. – Lei è un appassionato camminatore fra i monti. Cosa impara dalla fatica fisica del camminare?

 
R. – Imparo la perseveranza nel cammino, a far silenzio e a guardarmi attorno, ad ammirare il silenzio della natura. Impari anche a tenere il passo dell’ultimo, di chi fa più fatica e a rallentare il tuo per cercare di arrivare insieme. Impari anche la gioia dell’accoglienza: quando arrivi in un rifugio e trovi un po’ d’acqua fresca o un ambiente confortevole, gente che ti accoglie dopo la fatica.

 
D. – Tra i suoi incarichi c’è anche quello d’insegnante di religione presso un istituto tecnico commerciale. E’ difficile, oggi, portare avanti questa missione?

 
R. – Partirei in positivo dicendo che è bello e che è una delle più grosse fortune che possa capitare: stare con i giovani. Stando con loro, stando vicino alla loro vita che cresce e stando anche un po’ attenti alle loro domande e ai loro perché, credo che ci si mantenga giovani. Le difficoltà, invece, sono legate alla nostra povera umanità, a volte per la mia stanchezza o per quella dei ragazzi. Si vede che la lezione non riesce o magari non si crea quell’interesse attorno alla materia. L’impegno bello – ed anche difficile – credo sia quello di tenere unito “l’aspetto-lezione”, quindi con riferimento alla Scrittura, al magistero e alla storia della Chiesa, e “l’aspetto-incontro”, cioè l’attenzione alla vita dei giovani, alle loro domande come anche ai linguaggi che gli stessi ragazzi oggi usano.

 
D. – Ci racconta com’è nata in lei la vocazione?

 
R. – La parrocchia e l’Azione cattolica, da giovane, mi hanno fatto capire che la vita è vocazione, che non siamo nel mondo a caso ma che c’è un disegno di Dio su di noi. Tra le tante vocazioni, poi, magari una persona ti parla di quella sacerdotale e tu dici: “Perché no?” e senti che questa vita potrebbe essere adatta per te. Ci sono tante parole che ascoltiamo e che passano; quella Parola che ho sentito quel giorno non mi è passata.

 
D. – Ci sono stati momenti particolarmente difficili?

 
R. – Chiaramente ci sono dei momenti in cui uno sente la stanchezza, la sua inadeguatezza rispetto ad una missione che è più grande delle nostre forze. Possono essere momenti in cui uno dice anche: “Con la mia povertà mi affido a Dio”. Ognuno di noi con la sua vocazione deve chiedere aiuto. Siamo poveri e quindi bisogna che ci affidiamo anche all’aiuto di altri. Capiamo che da soli non ce la possiamo fare e che dove non arrivo io, per i miei limiti, magari arriva un mio confratello.

 
D. – L’Anno Sacerdotale è attualmente in corso. Quale nuovo slancio può portare alla Chiesa?

 
R. – Intanto, fa piacere sapere che c’è della gente che, in quest’Anno Sacerdotale, pregherà per noi. Poi se devo proprio dire un desiderio, mi viene da citare il dono dell’unità, della stima vicendevole tra i laici ed i preti, la collaborazione, il senso di corresponsabilità, l’amicizia tra laici e preti come anche l’amicizia e la stima maggiore tra noi presbiteri, un maggior senso d’unità nel presbiterio diocesano e con il vescovo. Ecco, sono questi i doni da chiedere in continuazione al Signore e spero che l’Anno Sacerdotale sia un anno anche proficuo per camminare in questo senso.







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