Anno Sacerdotale: la testimonianza di don Luca Ravaglia, maratoneta del Vangelo
Bibbia, scarponi e silenzio: è quanto porta nello zaino don Luca Ravaglia,
sacerdote della diocesi di Faenza-Modigliana. Quarantacinque anni, biblista, assistente
diocesano dell’Azione Cattolica locale, don Luca è un appassionato camminatore fra
i monti: per lui, infatti, “il camminare è un esercizio spirituale”. Quest’anno, questa
sua passione lo ha portato a partecipare alla 100 km del Passatore, la maratona Firenze-Faenza.
Una gara che don Luca ha corso in memoria dell’Apostolo Paolo, come spiega al microfono
di Isabella Piro:
R. – Mi piace
camminare. Trovo che la formula scarponi-Bibbia-natura sia valida per rinfrancare
lo spirito e quindi, ogni tanto, faccio qualche camminata. Quest’anno, poi, l’occasione
è nata dall’Anno Paolino. Leggendo i testi di San Paolo si vede che spesso lui usa
la metafora della corsa per parlare della sua vita. E’ un Apostolo che ha percorso
più di 15 mila chilometri a piedi per annunciare il Vangelo e così mi è venuta voglia
di fare 100 chilometri con San Paolo. Mi sono fermato davanti alle chiese e ai luoghi
significativi del percorso tra Firenze e Faenza e sette-otto volte mi sono appunto
fermato a pregare con i testi di San Paolo più adatti al luogo in cui stavo passando.
D.
– Lei è un appassionato camminatore fra i monti. Cosa impara dalla fatica fisica del
camminare?
R. – Imparo la perseveranza nel cammino,
a far silenzio e a guardarmi attorno, ad ammirare il silenzio della natura. Impari
anche a tenere il passo dell’ultimo, di chi fa più fatica e a rallentare il tuo per
cercare di arrivare insieme. Impari anche la gioia dell’accoglienza: quando arrivi
in un rifugio e trovi un po’ d’acqua fresca o un ambiente confortevole, gente che
ti accoglie dopo la fatica.
D. – Tra i suoi incarichi
c’è anche quello d’insegnante di religione presso un istituto tecnico commerciale.
E’ difficile, oggi, portare avanti questa missione?
R.
– Partirei in positivo dicendo che è bello e che è una delle più grosse fortune che
possa capitare: stare con i giovani. Stando con loro, stando vicino alla loro vita
che cresce e stando anche un po’ attenti alle loro domande e ai loro perché, credo
che ci si mantenga giovani. Le difficoltà, invece, sono legate alla nostra povera
umanità, a volte per la mia stanchezza o per quella dei ragazzi. Si vede che la lezione
non riesce o magari non si crea quell’interesse attorno alla materia. L’impegno bello
– ed anche difficile – credo sia quello di tenere unito “l’aspetto-lezione”, quindi
con riferimento alla Scrittura, al magistero e alla storia della Chiesa, e “l’aspetto-incontro”,
cioè l’attenzione alla vita dei giovani, alle loro domande come anche ai linguaggi
che gli stessi ragazzi oggi usano.
D. – Ci racconta
com’è nata in lei la vocazione?
R. – La parrocchia
e l’Azione cattolica, da giovane, mi hanno fatto capire che la vita è vocazione, che
non siamo nel mondo a caso ma che c’è un disegno di Dio su di noi. Tra le tante vocazioni,
poi, magari una persona ti parla di quella sacerdotale e tu dici: “Perché no?” e senti
che questa vita potrebbe essere adatta per te. Ci sono tante parole che ascoltiamo
e che passano; quella Parola che ho sentito quel giorno non mi è passata.
D.
– Ci sono stati momenti particolarmente difficili?
R.
– Chiaramente ci sono dei momenti in cui uno sente la stanchezza, la sua inadeguatezza
rispetto ad una missione che è più grande delle nostre forze. Possono essere momenti
in cui uno dice anche: “Con la mia povertà mi affido a Dio”. Ognuno di noi con la
sua vocazione deve chiedere aiuto. Siamo poveri e quindi bisogna che ci affidiamo
anche all’aiuto di altri. Capiamo che da soli non ce la possiamo fare e che dove non
arrivo io, per i miei limiti, magari arriva un mio confratello.
D.
– L’Anno Sacerdotale è attualmente in corso. Quale nuovo slancio può portare alla
Chiesa?
R. – Intanto, fa piacere sapere che c’è della
gente che, in quest’Anno Sacerdotale, pregherà per noi. Poi se devo proprio dire un
desiderio, mi viene da citare il dono dell’unità, della stima vicendevole tra i laici
ed i preti, la collaborazione, il senso di corresponsabilità, l’amicizia tra laici
e preti come anche l’amicizia e la stima maggiore tra noi presbiteri, un maggior senso
d’unità nel presbiterio diocesano e con il vescovo. Ecco, sono questi i doni da chiedere
in continuazione al Signore e spero che l’Anno Sacerdotale sia un anno anche proficuo
per camminare in questo senso.