Afghanistan: speranze e timori tra i civili per l'arrivo di nuovi soldati
Sono almeno 25 i Paesi della Nato che hanno dichiarato disponibilità ad inviare rinforzi
in Afghanistan e, ad oggi, i soldati aggiuntivi che verranno inviati nel 2010 sono
almeno settemila. Lo ha annunciato il segretario generale dell'Alleanza Atlantica,
Rasmussen, al termine della riunione tra i Paesi che partecipano alla missione Isaf.
È intervenuta il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, affermando che “non si
vince con i proiettili” e sottolineando l'importanza e la necessità di un “impegno
civile” e della diplomazia. La Clinton ha ricordato inoltre che, in base alla strategia
annunciata nei giorni scorsi dal presidente Obama, oltre all’aumento di soldati è
previsto l’aumento di un terzo delle risorse civili”, come esperti agronomi e ingegneri.
Del peso della presenza militare Emer McCarthy ha parlato con Serena Di Matteo, direttrice
del programma di sviluppo dell'organizzazione umanitaria "Christian Aid" in Afghanistan: R. - È preoccupante
perché se ci sono tutte queste forze in campo ci sarà probabilmente un aumento delle
operazioni militari, il quale ovviamente avrà un effetto sul nostro lavoro come operatori
umanitari. E non so quanto questo poi renderà possibile raggiungere le popolazioni
vulnerabili e quindi continuare a fare il nostro lavoro. D.
- Gli afghani stessi come hanno ricevuto la notizia dell’aumento delle forze straniere
sul loro territorio? R. - Gli afghani forse sono un pò combattuti.
Da un lato, sono contenti perché vedono nelle forze internazionali un mezzo per mantenere
quel po’ di stabilità che c’è. Ovviamente gli afghani hanno paura che se le forze
internazionali lasciassero il Paese, questo potrebbe ricadere nelle mani dei talebani.
Dall'altro lato, vorrebbero vedere anche non soltanto una massa di soldati di armi,
ma anche un impegno serio di aiuto alla popolazione perché possa vivere meglio. In
altre parole, avere risorse, un migliore sistema scolastico, un sistema sanitario
efficiente. In generale, avere un sistema che si basi su istituzioni che siano efficienti
e che dunque incomincino a intervenire sulla corruzione, sul traffico della droga.
Quindi non si tratta soltanto di lottare contro gli insorgenti: gli afghani non sono
tutti talebani e dobbiamo occuparci anche di quella parte della popolazione che non
è talebana e che vuole avere un futuro diverso. Noi continuiamo come Ong a lottare
per quelle che crediamo siano le cause giuste e continuiamo a lavorare per le popolazioni
vulnerabili.(Montaggio a cura di Maria Brigini)