2009-12-04 15:18:31

Afghanistan: speranze e timori tra i civili per l'arrivo di nuovi soldati


Sono almeno 25 i Paesi della Nato che hanno dichiarato disponibilità ad inviare rinforzi in Afghanistan e, ad oggi, i soldati aggiuntivi che verranno inviati nel 2010 sono almeno settemila. Lo ha annunciato il segretario generale dell'Alleanza Atlantica, Rasmussen, al termine della riunione tra i Paesi che partecipano alla missione Isaf. È intervenuta il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, affermando che “non si vince con i proiettili” e sottolineando l'importanza e la necessità di un “impegno civile” e della diplomazia. La Clinton ha ricordato inoltre che, in base alla strategia annunciata nei giorni scorsi dal presidente Obama, oltre all’aumento di soldati è previsto l’aumento di un terzo delle risorse civili”, come esperti agronomi e ingegneri. Del peso della presenza militare Emer McCarthy ha parlato con Serena Di Matteo, direttrice del programma di sviluppo dell'organizzazione umanitaria "Christian Aid" in Afghanistan:RealAudioMP3

R. - È preoccupante perché se ci sono tutte queste forze in campo ci sarà probabilmente un aumento delle operazioni militari, il quale ovviamente avrà un effetto sul nostro lavoro come operatori umanitari. E non so quanto questo poi renderà possibile raggiungere le popolazioni vulnerabili e quindi continuare a fare il nostro lavoro.
 
D. - Gli afghani stessi come hanno ricevuto la notizia dell’aumento delle forze straniere sul loro territorio?
 
R. - Gli afghani forse sono un pò combattuti. Da un lato, sono contenti perché vedono nelle forze internazionali un mezzo per mantenere quel po’ di stabilità che c’è. Ovviamente gli afghani hanno paura che se le forze internazionali lasciassero il Paese, questo potrebbe ricadere nelle mani dei talebani. Dall'altro lato, vorrebbero vedere anche non soltanto una massa di soldati di armi, ma anche un impegno serio di aiuto alla popolazione perché possa vivere meglio. In altre parole, avere risorse, un migliore sistema scolastico, un sistema sanitario efficiente. In generale, avere un sistema che si basi su istituzioni che siano efficienti e che dunque incomincino a intervenire sulla corruzione, sul traffico della droga. Quindi non si tratta soltanto di lottare contro gli insorgenti: gli afghani non sono tutti talebani e dobbiamo occuparci anche di quella parte della popolazione che non è talebana e che vuole avere un futuro diverso. Noi continuiamo come Ong a lottare per quelle che crediamo siano le cause giuste e continuiamo a lavorare per le popolazioni vulnerabili.(Montaggio a cura di Maria Brigini)
 
Pakistan: 40 morti in un attacco a una moschea
Un commando pesantemente armato ha attaccato una moschea piena di fedeli riuniti in preghiera nella zona di Westridge a Rawalpindi, nel Pakistan orientale, causando almeno 40 morti e 80 feriti. Tra le vittime vi sono alcune donne e bambini e numerosi ufficiali e soldati dell'esercito. Fra le quattro e le sette persone, ha detto un portavoce militare, sono entrate in azione appena dopo le preghiere della Jumma sulla spianata della moschea, che si trova vicino al Qasim Market ma soprattutto che dista poche centinaia di metri dal quartier generale dell'esercito. Vi è stato prima un lancio di bombe a mano e subito dopo una fitta sparatoria sui fedeli. I servizi di sicurezza della moschea hanno risposto al fuoco uccidendo, secondo le prime informazioni, tre degli attentatori. Il ministro dell'Interno pakistano, Malik, ha precisato che “il tetto della moschea è crollato”. Intanto, si è saputo che la nuova strategia per l’Afghanistan del presidente Usa, Obama, prevede anche l’autorizzazione all'espansione dell'uso dei droni in Pakistan.

Somalia
La smentita degli Shabaab, il braccio armato somalo di al Qaeda, che hanno dichiarato di non essere gli autori della strage di ieri a Mogadiscio, suscita dubbi e perplessità fra gli osservatori somali ed internazionali sia in Somalia che a Nairobi. A parere unanime si tratterebbe di una marcia indietro tattica, dopo la constatazione che la strage aveva suscitato orrore non solo nelle cancellerie internazionali, ma anche tra la popolazione locale e regionale. Il che avrebbe potuto creare seri contraccolpi politici e militari per gli Shabaab. Gli uomini di al Qaeda hanno cercato, con la smentita, di far passare la tesi secondo cui si sarebbe trattato di una faida all'interno del governo federale di transizione, ipotesi che appare unanimemente poco credibile. Intanto, si aggrava il bilancio dell'attentato kamikaze di ieri nell'hotel Hado, dove era in corso la cerimonia di laurea di studenti di medicina: oltre 22 vittime accertate, più di 50 feriti. Tra i morti, tre ministri. Tra i feriti, un altro ministro in coma, mentre il numero dei giornalisti uccisi è salito a tre. Non saranno giustiziati i due ex militari norvegesi in Congo
I due ex militari norvegesi condannati a morte in Congo non saranno giustiziati. Il caso di Joshua French (27 anni) e Tjostolv Moland (28 anni) sarà portato all'esame della Corte Suprema, nella capitale Kinshasa. I due, presentati la scorsa estate dalla stampa norvegese come personaggi dalla storia controversa, a settembre scorso sono stati condannati a morte per l'omicidio del loro autista, trovato morto a maggio con una ferita di arma da fuoco. I due erano stati giudicati colpevoli anche di spionaggio, detenzione illegale di armi da guerra e rapina a mano armata. Ieri, il tribunale militare di Kisangani, nel nord del Paese, ha confermato la sentenza in appello. Il Congo, secondo un ministro congolese, “ha adottato una moratoria contro la pena di morte e la pena capitale non è più applicata nel Paese”.

Tensioni e scontri nel sud dello Yemen
Due yemeniti, di cui un soldato governativo, sono stati uccisi e altri tre, di cui un alto ufficiale della sicurezza, sono rimasti feriti nelle ultime 24 ore in due diversi episodi di violenza nelle provincie meridionali del Paese, dove la tensione rimane alta tra attivisti “secessionisti” ed esercito governativo. Il quotidiano panarabo al-Hayat riferisce stamani che un civile è stato ucciso e il colonnello Muhammad Shawfar, capo delle locali forze di sicurezza, è rimasto ferito nella provincia di Dhali, a nord del porto meridionale di Aden, durante uno scontro tra agenti e seguaci del “movimento sudista secessionista”. Un soldato governativo è morto invece nella stessa regione in un episodio analogo, mentre secondo al Hayat in tutte le province sud-orientali “la tensione rimane altissima a causa di manifestazioni non autorizzate indette dai sudisti secessionisti”.  Il movimento dei coloni israeliani contro il possibile stop agli insediamenti
Determinato ad impedire il congelamento temporaneo dei progetti edili negli insediamenti ebraici in Cisgiordania, il movimento dei coloni israeliani ha deciso di trasferire le proteste la settimana prossima nelle arterie israeliane. Il sindaco della città-colonia Maaleh Adumim, Beny Kashirel, ha detto alla radio militare che domenica, per impedire l'ingresso nel suo insediamento degli ispettori del governo, bloccherà la superstrada che porta a Gerusalemme. Il giorno successivo, aggiunge il quotidiano Haaretz, il movimento dei coloni progetta di paralizzare diverse arterie nel territorio israeliano. Fonti di sicurezza, citate dalla stampa, avvertono che esiste il rischio che le proteste dei coloni siano rivolte anche contro la popolazione palestinese in Cisgiordania. Ieri, il premier israeliano, Benyamin Netanyahu, ha cercato invano di convincere la leadership del movimento dei coloni della necessità di bloccare i nuovi progetti edili, nel tentativo di riprendere i negoziati con l'Autorità nazionale palestinese (Anp) e di rendere più distese le relazioni con l'amministrazione statunitense. Per oggi, Netanyahu ha convocato una riunione dei sette ministri principali del suo governo con i quali esaminerà, prevedibilmente, gli sviluppi del braccio di ferro con i coloni e l'andamento dei negoziati indiretti con Hamas per uno scambio di prigionieri.

Mosca: presto accordo con gli Usa sul Trattato di riduzione delle armi nucleari
Russia e Stati Uniti sono vicini a un accordo per la firma di un nuovo Trattato sulla riduzione delle armi nucleari strategiche. Lo ha detto una fonte del Ministero degli esteri russo. Il nuovo Trattato è destinato a sostituire lo Start 1, firmato da Mosca e Washington nel 1991, che scade domani 5 dicembre. In una nota diffusa dalle agenzie, il ministero degli Esteri russo fa un bilancio molto positivo dell'applicazione dello Start 1, che ha avuto un “ruolo estremamente importante per garantire la pace, la sicurezza e la stabilità strategica internazionale”. “La Federazione russa e gli Stati Uniti - aggiunge la nota di Mosca - hanno assolto in pieno i propri impegni assunti con la firma dello Start 1”. “Dalla fine della Guerra Fredda, precisa il Ministero degli esteri da Mosca, la Federazione russa ha ridotto di più di due volte il numero delle testate nucleari strategiche in suo possesso, eliminando al tempo stesso oltre tremila missili balistici intercontinentali e missili balistici a bordo di sommergibili nucleari, nonché circa 1.500 rampe di lancio, più di 45 sottomarini atomici e più di 65 bombardieri pesanti”. Sottolineando il contributo determinante dato da Ucraina, Bielorussia e Kazakhstan all'attuazione dello Start 1, il Ministero degli esteri russo afferma che sulla base delle indicazioni date dai presidenti Medvedev e Obama, "i due Paesi sono vicini alla conclusione di un intenso lavoro per la messa a punto e la firma di un nuovo accordo bilaterale sull'ulteriore riduzione degli arsenali nucleari strategici".

Missione diplomatica Usa a Pyongyang sulla questione nucleare
Il responsabile statunitense per le questioni nordcoreane, Stephen Bosworth, sarà in visita a Pyongyang, capitale della Corea del Nord, per tre giorni a partire da martedì prossimo. L'iniziativa rientra negli sforzi per riportare il regime comunista al tavolo dei negoziati sulla denuclearizzazione della penisola coreana, riavviando il tavolo a sei del quale fanno parte Usa, Cina, Russia, Giappone e le due Coree. La conferma ufficiale della missione in terra nordcoreana di Bosworth è stata data in nottata dal Dipartimento di Stato Usa, che ha inoltre annunciato le altre tappe del serrato tour asiatico dell'inviato speciale del presidente Barack Obama. Il diplomatico americano dovrebbe agiungere a Pyongyang martedì prossimo, in arrivo Corea del Sud dove farà ritorno il 10 dicembre. Il giorno seguente, Bosworth si recherà a Pechino, per volare poi a Tokyo il 12 e a Mosca il 13 dicembre. Il ritorno negli Stati Uniti è previsto per il 15 dicembre. La visita di Bosworth in Corea del Nord segnerà il primo incontro bilaterale ufficiale tra l'amministrazione Obama e il regime di Pyongyang.

Myanmar: accolto il ricorso di Aung San Suu Kyi
La Corte Suprema birmana ha accettato di esaminare la richiesta della leader dell'opposizione e premio Nobel per la Pace, Aung San Suu Kyi, contro la condanna a 18 mesi supplementari di arresti domiciliari. Lo si è appreso oggi da fonti ufficiali birmane, secondo le quali “gli avvocati (dell'opposizione) dovranno presentare le loro conclusioni il 21 dicembre”. Suu Kyi, 64 anni, era stata condannata lo scorso agosto a tre anni di reclusione e di lavori forzati per aver ospitato brevemente un americano che era riuscito a superare i controlli e a raggiungere la sua abitazione. La sanzione era stata immediatamente trasformata in un prolungamento degli arresti domiciliari, che di fatto escludono la leader dell'opposizione dalla eventuale corsa per le elezioni previste nel 2010.

Altre condanne a morte in Cina per le rivolte a Urumqi
Tre persone sono state condannate a morte in Cina in relazione alle rivolte scoppiate lo scorso luglio a Urumqi, capitale della regione cinese autonoma del Xinjiang. Lo ha riportato l'agenzia Nuova Cina. Dal 10 ottobre scorso, giorno della prima condanna a morte, sono almeno 20 le sentenze capitali emesse dai tribunali cinesi per lo scontro etnico tra han e uighuri. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)
  
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIII no. 338
 
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