2009-12-03 15:14:33

L'intenzione missionaria del Papa per il mese di dicembre: le nazioni si aprano alla luce di Cristo


“Perché a Natale i popoli della terra riconoscano nel Verbo la luce che illumina ogni uomo e le Nazioni aprano le porte a Cristo, Salvatore del mondo”. Le parole con le quali Benedetto XVI esprime l’intenzione missionaria per il mese di dicembre portano la Chiesa direttamente nel mistero del prossimo Natale. Un auspicio espresso più volte in modo analogo dal Papa, soprattutto durante le omelie delle Messe di Natale da lui presiedute durante l’arco del Pontificato. Alessandro De Carolis ne ripropone alcuni passaggi in questo servizio: RealAudioMP3

Che cos’è la stalla di Betlemme senza il Dio Bambino? E’ come il mondo senza Cristo: un luogo povero, freddo, buio. La stalla, afferma Benedetto XVI la notte di Natale del 2007, “rappresenta la terra maltrattata”. Eppure è anche il segno di qualcos’altro. Il segno di una presenza che riscalda il freddo e illumina l’ombra. Ma non solo: 
“Nella stalla di Betlemme cielo e terra si toccano. Il cielo è venuto sulla terra. Per questo, da lì emana una luce per tutti i tempi; per questo lì s’accende la gioia; per questo lì nasce il canto." 
Un canto al quale, però, le orecchie di alcuni restano sorde. Molte altre indifferenti. Altri ancora, riconosce il Papa nell’omelia del 24 dicembre 2005, “sanno di aver bisogno” della bontà della quale quel Bambino è portatore, “anche se non ne hanno un’idea precisa”. In qualche modo, osserva il Pontefice ancora nel 2007:

"…l’umanità attende Dio, la sua vicinanza. Ma quando arriva il momento, non ha posto per Lui. È tanto occupata con se stessa, ha bisogno di tutto lo spazio e di tutto il tempo in modo così esigente per le proprie cose, che non rimane nulla per l’altro - per il prossimo, per il povero, per Dio”. 
Se pure una sola Betlemme al mondo si apre al Cristo che viene, “Dio - assicura Benedetto XVI - non si lascia chiudere fuori. Egli trova uno spazio, entrando magari per la stalla”. Egli sa che “esistono degli uomini che vedono la sua luce” e desiderano farne dono, secondo lo spirito più bello del Natale, come dice il Papa nella Notte Santa del 2006:
 
“Tra i tanti doni che compriamo e riceviamo non dimentichiamo il vero dono: di donarci a vicenda qualcosa di noi stessi! Di donarci a vicenda il nostro tempo. Di aprire il nostro tempo per Dio. Così si scioglie l'agitazione. Così nasce la gioia, così si crea la festa”.  
Una festa che ieri come oggi reclama di essere celebrata soprattutto in quella terra definita “santa” per la nascita del Principe della pace, ma per paradosso sempre lontana dal godere dei frutti di quel privilegio, come riconobbe il Pontefice nella Messa natalizia dello scorso anno:
 
“Che cessino l’odio e la violenza. Che si desti la comprensione reciproca, si realizzi un’apertura dei cuori che apra le frontiere. Che scenda la pace di cui hanno cantato gli angeli in quella notte".
 
Perché quel canto non si è mai allontanato da Betlemme, né il cielo dalla quella piccola stalla vuota che spesso è il mondo senza Cristo. E’ questa, ha ripetuto Benedetto XVI nel 2007, la speranza immutabile del Natale:
 
"Il cielo non appartiene alla geografia dello spazio, ma alla geografia del cuore. E il cuore di Dio, nella Notte santa, si è chinato giù fin nella stalla: l’umiltà di Dio è il cielo. E se andiamo incontro a questa umiltà, allora tocchiamo il cielo. Allora diventa nuova anche la terra."







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