Il vescovo di Addis Abeba: la comunità internazionale aiuti l'Etiopia a sconfiggere
la povertà
Si è concluso lunedì scorso ad Addis Abea, in Etiopia, il terzo Congresso Internazionale
di Dermatologia dedicato alle malattie tropicali, ai popoli e alle persone dimenticate,
promosso dall’Inmp-Ospedale San Gallicano di Roma, l’Istituto Nazionale per la salute
dei Migranti e la lotta alle malattie della povertà, diretto dal prof. Aldo Morrone
in collaborazione con il Ministero degli Interni italiano. Durante il Simposio si
è parlato anche della situazione della povertà in Etiopia e delle speranze rilanciate
dal recente Sinodo dei Vescovi per l’Africa. Di tutto questo Luca Collodi ha parlato
con mons. Berhaneyesus Demerew Souraphiel, arcivescovo cattolico di Addis Abeba
e presidente della Conferenza episcopale di Etiopia e Eritrea.
R. – Il Sinodo
a Roma è finito, ma possiamo dire che è iniziato in Africa. I temi del Sinodo erano,
infatti, riconciliazione, giustizia e pace. La riconciliazione, qui in Africa, è necessaria,
come anche la giustizia e la pace. Ma secondo noi, quello che può portare riconciliazione,
giustizia e pace è il Signore Gesù Cristo: da Lui noi possiamo ricevere la verità.
Quando siamo tornati qui, abbiamo chiesto ai fedeli di chiedere al Signore di aumentare
la loro fede, la loro speranza e la loro carità. Ma soprattutto la speranza: qui,
in Africa, non c’è solo la povertà materiale ma anche la sofferenza, perché qui ci
sono tante persone ferite dai conflitti … D. – Basta solo la
speranza per vincere questa grande malattia della povertà, dell’abbandono dell’uomo? R.
– Secondo me, non basta soltanto la speranza: ci vuole anche la carità. Noi, come
Chiesa cattolica, in questo Paese in cui gli ortodossi sono la maggioranza, cerchiamo
– come ha detto il Sinodo – di essere sale e luce, con le nostre opere sociali e caritative:
la casa delle Suore di Madre Teresa, per esempio. Tutti i poveri vanno lì: lì almeno
trovano cibo e medicinali. E quando muoiono, sono sepolti secondo la loro religione.
Muoiono con dignità, non sulla strada. Ma, secondo me, solo con la carità non possiamo
risolvere questa situazione di povertà. La gioventù vuole fuggire da questa situazione
attraversando Sudan, Libia, il Mar Mediterraneo … L’altro problema è la tratta di
cui molti sono vittima, specialmente le nostre donne, che vanno in Medio Oriente.
In alcuni luoghi sono costrette a vestire come donne musulmane, inoltre cambiando
i nomi cristiani in nomi musulmani. La povertà sta spingendo il popolo a lasciare
le sue radici cristiane: l’Etiopia, infatti, è un Paese cristiano, come cultura e
come tutto … C’è anche una buona convivenza con i musulmani! Ciò che chiediamo è un
vero aiuto internazionale! D. – La povertà qui, in Etiopia,
è anche la malattia: la lebbra e l’Aids. A che punto siamo per debellare queste malattie? R.
– La povertà e le malattie sono legate. In Etiopia, al primo posto c’è la Tbc, poi
c’è la malaria e poi l’Aids. Il nostro governo sta facendo molto per combattere l’Aids,
insieme alla Chiesa cattolica e a quella ortodossa. D. – Perché
tanti giovani hanno l’Aids qui, in Etiopia? R. – Perché anche
questo è legato alla povertà. I poveri, prima di tutto, cercano in primo luogo le
cose indispensabili: cibo e casa. Non pensano molto al resto. Spesso scoprono in un
secondo momento di avere questa malattia. Per cambiare questa situazione, è necessario
lottare contro le varie cause della povertà. (Montaggio a cura di Maria
Brigini)