Sebbene le autorità indiane abbiano smentito che la fabbrica di pesticidi di Bhopal
continui ancora ad inquinare le falde acquifere, come indicato da un recente rapporto,
non possono negare le conseguenze ancora visibili nei superstiti della tragedia successa
25 ani fa: la notte tra il 2 e il 3 dicembre 1984 decine di migliaia di abitanti di
Bhopal, una città dell’India centrale, furono contaminati da 40 tonnellate di isocianato
di metile, fuoriuscite da una cisterna dell’impianto degli Union Carbide, società
statunitense che ora fa parte del colosso Dawn Chemical. Nel giro di pochi giorni
la nube tossica, di cui non è mai stata rivelata l’esatta composizione, uccise dalle
7 alle 10 mila persone. Altri 15 mila morirono negli anni successivi, ma oggi un numero
enorme non precisato soffre ancora di malformazioni congenite, tumori ed altre malattie
croniche agli occhi, sangue ai polmoni. Secondo Amnesty International, oltre 100 mila
persone, che vivono nelle vicinanze del sito, hanno subito danni irreversibili alla
salute. Bhopal insomma uccide ancora, e poco o nulla ha fatto il governo indiano per
aiutare i sopravvissuti o per risanare il sito dai veleni. Secondo uno studio reso
noto ieri per l’anniversario dell’incidente, e condotto da un centro studi di Delhi,
sulla base di campioni di acqua prelevati in un raggio di 3 km dalla fabbrica, le
falde acquifere contengono ancora una concentrazione di pesticidi almeno 40 volte
superiore allo standard. (Da New Delhi, Maria Grazia Coggiola)