Giornata mondiale contro l’Aids: l'impegno della Chiesa
Reagire ad ogni forma di discriminazione relativa all’Aids e impegnarsi per raggiungere,
entro il 2010, un accesso universale alla prevenzione: è quanto scrive il segretario
generale dell’Onu, Ban Ki-moon, nel messaggio per l’odierna Giornata mondiale contro
l’Aids. Il rapporto annuale dell’Onu sulla pandemia indica che sono 33,4 milioni i
sieropositivi, mentre si registrano ogni giorno 7400 nuovi casi. L’Africa sub-sahariana
rimane l’area più colpita con oltre 22 milioni di contagiati. “La Chiesa – ha detto
il Papa all’Angelus di domenica scorsa – non cessa di prodigarsi per combattere l’Aids”.
Un impegno quotidiano svolto a tutto campo, sempre in vista della promozione della
dignità dell’uomo. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Nell’ultimo
anno, 430 mila bambini sono nati con il virus dell’Hiv e meno della metà delle donne
incinte nel Sud del Mondo ha disposizione i farmaci per evitare il contagio: basterebbero
questi due dati, emersi dal rapporto dell’Onu sull’Aids, per sottolineare tutta la
gravità di una pandemia ben lontana dall’essere sconfitta. Anzi - è la recente denuncia
dei vescovi africani - per governi e organizzazioni internazionali la lotta all’Aids
non è più una priorità, complice anche la crisi economica. Resta invece una priorità
per la Chiesa. Nel continente africano, le istituzioni cattoliche impegnate al fianco
dei sieropositivi operano in oltre mille ospedali e 5 mila cliniche. Sono inoltre
800 gli orfanotrofi cattolici per bambini malati di Aids. In sintesi, il 40 per cento
di tutti i trattamenti per l’Aids in Africa sono garantiti da enti cattolici. Il 25
per cento, se allarghiamo l’orizzonte a tutto il mondo. L’educazione è la vera sfida
per la prevenzione e la cura, sottolineano le Ong cattoliche impegnate su questo fronte.
In Kenya, per esempio, scuole cattoliche e parrocchie hanno dato vita a 600 programmi
di informazione sull’Hiv rivolti ai più giovani. D’altro canto, evidenzia il
network dei gesuiti in Africa contro l'Aids (Ajan), grazie alla capillarità
della presenza di religiosi e missionari, la Chiesa arriva dove altri non possono,
per portare cure, assistenza e speranza ai malati di Aids.
In prima linea,
da oltre 20 anni, nel contrasto all’Aids è la Caritas Internationalis, che
in questi giorni, attraverso il suo presidente, il cardinale Oscar Andrés Rodríguez
Maradiaga, ha levato un forte appello ai governi affinché si garantiscano le cure
ai bambini sieropositivi. Per una riflessione sulla Giornata dell’Onu contro l’Aids
e l’impegno della Chiesa su questo fronte, Alessandro Gisotti ha raggiunto
telefonicamente a Nairobi, mons. Robert Vitillo, consigliere speciale per l’Aids
della Caritas Internationalis:
R.
– La Chiesa è sempre molto vicina alle persone che soffrono di più. Questa pandemia
continua e le stime che sono state pubblicate dall’Onu hanno indicato che più di due
milioni di persone sono state infettate soltanto nel corso del 2008. Questo significa,
dunque, che dobbiamo dedicarci di più alla prevenzione di questa malattia.
D.
– Si può dire che la Chiesa non è seconda a nessuno nell’affrontare l’Aids?
R.
– Sicuramente. La Chiesa è molto, molto impegnata in tanti Paesi, nei quali provvede
alla maggior parte dei trattamenti, si impegna nel sostegno, nell’educazione ed anche
nella prevenzione.
D. – La Chiesa punta soprattutto
sulla formazione dell’uomo. Un qualcosa che non costa nulla… ma chiaramente ci sono
spesso interessi economici quando si parla di Aids…
R.
– Certamente si può dire che l’educazione ai valori non costa nulla, ma costa molto
in impegno e in fatica, costa molto riuscire a scoprire questi valori e scoprire la
propria dignità. E’ necessario poi aiutare i giovani a stabilire dei rapporti sani
fra di loro.
D. – Al momento stesso sappiamo quanto
Benedetto XVI, anche nel suo viaggio in Africa, abbia fatto appello ai Paesi ricchi
affinché rendano accessibili i medicinali che sono necessari per la cura…
R.
– L’Onu stima che al momento quasi il 40 per cento della popolazione dei Paesi poveri
adesso ha accesso ai medicinali. Questo, però, significa anche che c’è ancora un 60
per cento della popolazione dei Paesi poveri che non ha accesso! C’è, poi, un problema
ancora più grave che riguarda i bambini: al momento soltanto il 20 per cento dei bambini
sieropositivi ha accesso ai medicinali e questo perché i medicinali non sono specifici
per uso pediatrico. Bisogna, dunque, chiedere alle case farmaceutiche e agli stessi
governi di promuovere la ricerca per sviluppare questi medicinali adatti specificatamente
ad uso pediatrico.
Per un aggiornamento sui progressi raggiunti dalla ricerca
scientifica nella cura dell’Aids, Eliana Astorri ha intervistato il prof.
Roberto Cauda, ordinario di malattie infettive del Policlinico Gemelli e membro
della Commissione nazionale per la lotta contro l’Aids:
R. - La
ricerca non solo prosegue ma ci sono oggi degli elementi di maggiore speranza rispetto
a quanti non ce ne fossero ieri perché abbiamo dei farmaci antiretrovirali potenti,
molto più potenti che nel passato, ma probabilmente da soli non ce la fanno. Si è
anche capita meglio quella che è la modifica cui il virus va incontro nei cosiddetti
“santuari” e quindi cercare di capire come da questi “santuari” può essere sradicato.
C’è tutta una lunga teoria su questo, da parte di alcuni è stata anche indicata una
possibile via, quello che è certo è che si tratta di una via estremamente in salita.
Il secondo aspetto riguarda il vaccino. Io credo che non sia sfuggito a chi si occupa
dell’argomento quello studio americano condotto in Thailandia in cui c’è stato per
la prima volta un risultato positivo nei soggetti vaccinati. Ora è chiaro che non
si tratta di un vaccino già totalmente efficace. Però quel 30 per cento di efficacia
e di prevenzione riscontrato rappresenta già un evento estremamente positivo.