2009-11-30 15:11:28

Monumenti illuminati in 1200 città contro la pena di morte


Come ogni 30 novembre torna La “Giornata mondiale delle città per la vita/Città contro la pena di morte” promossa in 1.200 città del mondo dalla Comunità di Sant’Egidio. Giunta all’ottava edizione, la campagna ha acquisito negli anni un consenso sempre crescente da parte di governi, associazioni ed esponenti della società civile. Le città aderenti anche quest’anno illuminano un monumento simbolo per dichiarare il rifiuto alla pena di morte e l’adesione al motto “No Justice without life”. A Roma il Colosseo è stato acceso dalle 19.30 di ieri, mentre oggi pomeriggio è in programma la conferenza internazionale “Città per la vita. Città contro la pena di morte”. Sul significato della giornata Paolo Ondarza ha intervistato Mario Marazziti, portavoce della Comunità di Sant’Egidio.RealAudioMP3



R. – Dagli anni ’70 siamo passati da 23 Paesi a circa 140 che hanno abolito la pena capitale. Ormai la pena di morte comincia ad essere qualcosa del passato della storia dell’umanità. E’ terribilmente presente in Paesi come l’Iran, la Cina, l’Arabia Saudita, l’Egitto e in alcuni Stati degli stessi Stati Uniti, ma bisogna dire che sta arretrando come ideologia. Io penso che la risoluzione approvata nel 2007 all’Assemblea generale dell’Onu abbia introdotto un principio fondamentale: è un problema di diritti umani che interessa la comunità mondiale.

 

D. – Sono 1200 le città in tutto il mondo che aderiscono alla giornata, accendendo altrettanti monumenti e aderendo al motto “No justice without life”, cioè non c’è giustizia senza vita. Un modo questo per dire sì alla giustizia, ma con un occhio sempre attento al rispetto della vita...

 

R. – Io credo che non si possa difendere la dignità umana, anche nascente, se non c’è una posizione forte e senza eccezioni sulla difesa della vita, che è anche la vita di un eventuale colpevole, come ricordò pure Giovanni Paolo II in una sua visita in Missouri, quando chiese di non procedere con l’esecuzione di un condannato a morte.

 

D. – Il 30 novembre del 1786, quindi parliamo di 223 anni fa, fu il Granducato di Toscana ad avviare la prima abolizione della pena di morte nella storia. Un precedente importante a livello culturale era stato in Italia anche il pamphlet “Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria. L’Italia può ancora essere in prima linea in questa battaglia pacifica?

 

R. – L’Italia, coniugando società civile e lavoro istituzionale, rimane uno dei Paesi a livello planetario più significativi. Dobbiamo dire che geograficamente in Italia c’è poi la Santa Sede che è un’altra cosa, ma che è nello stesso stivale e quindi c’è una contaminazione culturale. Dobbiamo dire che anche dalla Chiesa cattolica viene oggi un messaggio molto forte in questa direzione.

 

D. – Purtroppo, però, la pena di morte è ancora presente - lo ricordava - in molti Paesi, ed è sostenuta anche da non poche persone che la ritengono un efficace deterrente, una punizione esemplare per i delitti più efferati. Che cosa rispondere a queste giustificazioni?

 

R. – In nessun Paese del mondo esistono statistiche che dimostrano che la pena di morte ha diminuito i delitti gravi. Al contrario, c’è il caso del Canada che da quando l’ha abolita ha visto calare del 25 per cento proprio i delitti gravi. Negli Stati degli Stati Uniti che mantengono la pena di morte il tasso degli omicidi è salito da quando è stata reintrodotta. Che sia un deterrente è un argomento accademico, ma totalmente indimostrabile; che aggiunga una morte ad una morte già avvenuta è una certezza; che tenda a coinvolgere tutta la società civile nel diventare complice di un omicidio, anch’esso è un elemento che è difficile contestare; che si riduca la violenza, la violenza diffusa, anch’esso purtroppo non è riuscito ancora nessuno a dimostrarlo. Quindi, io credo che dobbiamo aiutare tutte le nostre società a fare il passo che manca per abolirla definitivamente.








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