2009-11-29 15:44:16

Anno Sacerdotale, la testimonianza del cappellano delle Guardie Svizzere Pontificie


È cresciuto a Barcellona, in Spagna, ma ha origini svizzere, e da tre anni è cappellano delle Guardie Svizzere Pontificie. Padre Alain Guy de Raemy vive al fianco del corpo militare del Papa con uno spirito cameratesco, condividendo con i giovani svizzeri diversi momenti della giornata. Ma qual è la storia di padre de Raemy e com’è arrivato al sacerdozio? Ha raccolto la sua testimonianza Tiziana Campisi:RealAudioMP3

R. – Io devo ringraziare i miei genitori per avermi portato alla messa ogni domenica. Il Signore ha 'lavorato' il mio cuore poco a poco. Non sono mai stato in parrocchia, ho solo frequentato la messa della domenica. Più di questo non c’era. Ma è questo che mi ha aperto il cuore poco a poco. Più tardi, durante le vacanze in Bretagna, in Francia, andando a messa abbiamo incontrato un parroco che mi ha colpito forse per il suo modo di essere; lavorava durante la settimana con i pescatori ed usciva con loro anche a pesca. Mi ha colpito il suo modo molto diretto di parlare.

 
D. – Poi come è arrivata la scelta del sacerdozio?

 
R. – E’ stata un po’ una battaglia. Non avevo alle spalle un'esperienza né di chierichetto né di scout né di un qualsiasi gruppo parrocchiale. Non sapevo cosa facesse un prete. Avevo questa idea, questa sensazione strana in me di fare il prete, ma mi faceva paura perché mi domandavo cosa facesse un prete. Io non sapevo cosa facesse un prete, lo vedevo alla messa la domenica. Ma sono timido e non mi vedevo davanti a tutta la gente a pronunciare un discorso. Quindi mi sembrava che quella fosse un’idea strana. Il mio progetto era quello di diventare architetto o diplomatico. Poi è arrivata questa idea dentro di me, sempre più insistente, e quando ho iniziato gli studi di diritto, ogni volta che passavo davanti ad una chiesa, mi colpiva. Durante gli studi al Collegio benedettino per la maturità ci facevano fare, all’inizio della Quaresima, gli Esercizi Spirituali con un prete gesuita. E’ lì che mi sono aperto e lui mi diceva sempre: “Continua il tuo percorso previsto, ma sempre chiedendo nella preghiera che il Signore ti mostri la strada”.

 
D. – Lei oggi è cappellano delle Guardie Svizzere Pontificie. Questa missione a cosa la porta?

 
R. – Mi porta ad essere molto, molto vicino a tanti giovani, che sono molto diversi fra di loro rispetto all’origine della famiglia, del contesto parrocchiale che li fa arrivare qui. Sono, quindi, molto vicino a loro e li accompagno in questo incontro-confronto forte con la realtà della Chiesa, la realtà anche della fede. Io mangio con loro e faccio anche la ronda con loro o sui posti di servizio quando sono soli. Sono queste occasioni belle di dialogo personale.

 
D. – Ci sono delle esperienze che ricorda particolarmente?

 
R. – Sì, ce ne sono tante e diverse. L’esperienza dell’inizio è stata quella caratterizzata dalla paura di celebrare il Sacramento della Confessione, di confrontarmi con gente matura, molto più matura e che viene da te per vivere la penitenza e la confessione. Questo impressiona. E’ stata per me veramente la scoperta della fede negli altri, di questa fiducia e che anche quell’ostacolo di differenza di maturità e di età non c’entra più, perché c’è il contatto con il prete, che è al di là delle apparenze o delle cose umane. Questo mi ha colpito: vedere la fede e toccare quasi la realtà della fede di chi si affida al sacerdote per incontrare Cristo.

 
D. – Se dovesse fare un bilancio della sua vita, potrebbe dire di essere felice?

 
R. – Sì, sì senza dubbio e questo grazie alla famiglia. Sono veramente debitore verso i miei genitori anche per il fatto di aver potuto ricevere una formazione ed una educazione buona, anche dal punto di vista intellettuale. Ho avuto questo privilegio. Poi c’è la fede, naturalmente, che mi ha accompagnato senza alcuna pressione. Penso che per tutto questo sono un uomo felice, anche perché il prete non si sente inutile. Dunque posso dire che la vita è bella.







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