Il Papa all'udienza generale: il mondo sarebbe più felice se le persone imitassero
il rapporto d'amore nella Trinità. Testo integrale della catechesi del Papa
Se le relazioni tra le persone umane fossero modellate sul rapporto d’amore che lega
le tre Persone divine, il mondo sarebbe un luogo più felice, nel quale ciascuno vivrebbe
“per l’altro”. E’ la considerazione con la quale Benedetto XVI ha terminato questa
mattina la catechesi all’udienza generale, in Aula Paolo VI. Il Papa ha tratto ispirazione
dagli scritti di due monaci teologi del XII secolo, Ugo e Riccardo, che vissero nella
famosa abbazia parigina di San Vittore. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Di seguito
il testo integrale della catechesi del Papa in italiano: Cari fratelli
e sorelle, in queste Udienze del mercoledì sto presentando alcune
figure esemplari di credenti, che si sono impegnati a mostrare la concordia tra la
ragione e la fede e a testimoniare con la loro vita l’annuncio del Vangelo. Oggi intendo
parlarvi di Ugo e di Riccardo di San Vittore. Tutti e due sono tra quei filosofi e
teologi noti con il nome di Vittorini, perché vissero e insegnarono nell’abbazia di
San Vittore, a Parigi, fondata all’inizio del secolo XII da Guglielmo di Champeaux.
Guglielmo stesso fu un maestro rinomato, che riuscì a dare alla sua abbazia una solida
identità culturale. A San Vittore, infatti, fu inaugurata una scuola per la formazione
dei monaci, aperta anche a studenti esterni, dove si realizzò una sintesi felice tra
i due modi di fare teologia, di cui ho già parlato in precedenti catechesi: e cioè
la teologia monastica, orientata maggiormente alla contemplazione dei misteri della
fede nella Scrittura, e la teologia scolastica, che utilizzava la ragione per cercare
di scrutare tali misteri con metodi innovativi, di creare un sistema teologico. Della
vita di Ugo di San Vittore abbiamo poche notizie. Sono incerti la data e il luogo
della nascita: forse in Sassonia o nelle Fiandre. Si sa che, giunto a Parigi – la
capitale europea della cultura del tempo –, trascorse il resto dei suoi anni presso
l’abbazia di San Vittore, dove fu prima discepolo e poi insegnante. Già prima della
morte, avvenuta nel 1141, raggiunse una grande notorietà e stima, al punto da essere
chiamato un "secondo sant’Agostino": come Agostino, infatti, egli meditò molto sul
rapporto tra fede e ragione, tra scienze profane e teologia. Secondo Ugo di San Vittore,
tutte le scienze, oltre a essere utili per la comprensione delle Scritture, hanno
un valore in se stesse e vanno coltivate per allargare il sapere dell’uomo, come pure
per corrispondere al suo anelito di conoscere la verità. Questa sana curiosità intellettuale
lo indusse a raccomandare agli studenti di non restringere mai il desiderio di imparare
e nel suo trattato di metodologia del sapere e di pedagogia, intitolato significativamente
Didascalicon (circa l’insegnamento), raccomandava: "Impara volentieri da tutti ciò
che non sai. Sarà più sapiente di tutti colui che avrà voluto imparare qualcosa da
tutti. Chi riceve qualcosa da tutti, finisce per diventare più ricco di tutti" (Eruditiones
Didascalicae, 3,14: PL 176,774). La scienza di cui si occupano i
filosofi e i teologi detti Vittorini è in modo particolare la teologia, che richiede
anzitutto lo studio amoroso della Sacra Scrittura. Per conoscere Dio, infatti, non
si può che partire da ciò che Dio stesso ha voluto rivelare di sé attraverso le Scritture.
In questo senso, Ugo di San Vittore è un tipico rappresentante della teologia monastica,
interamente fondata sull’esegesi biblica. Per interpretare la Scrittura, egli propone
la tradizionale articolazione patristico-medievale, cioè il senso storico-letterale,
anzitutto, poi quello allegorico e anagogico, e infine quello morale. Si tratta di
quattro dimensioni del senso della Scrittura, che anche oggi si riscoprono di nuovo,
per cui si vede che nel testo e nella narrazione offerta si nasconde un’indicazione
più profonda: il filo della fede, che ci conduce verso l’alto e ci guida su questa
terra, insegnandoci come vivere. Tuttavia, pur rispettando queste quattro dimensioni
del senso della Scrittura, in modo originale rispetto ai suoi contemporanei, egli
insiste - e questa è una cosa nuova – sull’importanza del senso storico-letterale.
In altre parole, prima di scoprire il valore simbolico, le dimensioni più profonde
del testo biblico, occorre conoscere e approfondire il significato della storia narrata
nella Scrittura: diversamente – avverte con un efficace paragone – si rischia di essere
come degli studiosi di grammatica che ignorano l’alfabeto. A chi conosce il senso
della storia descritta nella Bibbia, le vicende umane appaiono segnate dalla Provvidenza
divina, secondo un suo disegno ben ordinato. Così, per Ugo di San Vittore, la storia
non è l’esito di un destino cieco o di un caso assurdo, come potrebbe apparire. Al
contrario, nella storia umana opera lo Spirito Santo, che suscita un meraviglioso
dialogo degli uomini con Dio, loro amico. Questa visione teologica della storia mette
in evidenza l’intervento sorprendente e salvifico di Dio, che realmente entra e agisce
nella storia, quasi si fa parte della nostra storia, ma sempre salvaguardando e rispettando
la libertà e la responsabilità dell’uomo. Per il nostro autore, lo
studio della Sacra Scrittura e del suo significato storico-letterale rende possibile
la teologia vera e propria, ossia l’illustrazione sistematica delle verità, conoscere
la loro struttura, l’illustrazione dei dogmi della fede, che egli presenta in solida
sintesi nel trattato De Sacramentis christianae fidei (I sacramenti della fede cristiana),
dove si trova, fra l’altro, una definizione di "sacramento" che, ulteriormente perfezionata
da altri teologi, contiene spunti ancor oggi molto interessanti. "Il sacramento",
egli scrive, "è un elemento corporeo o materiale proposto in maniera esterna e sensibile,
che rappresenta con la sua somiglianza una grazia invisibile e spirituale, la significa,
perché a tal fine è stato istituito, e la contiene, perché è capace di santificare"
(9,2: PL 176,317). Da una parte la visibilità nel simbolo, la "corporeità" del dono
di Dio, nel quale tuttavia, dall’altra parte, si nasconde la grazia divina che proviene
da una storia: Gesù Cristo stesso ha creato i simboli fondamentali. Tre dunque sono
gli elementi che concorrono a definire un sacramento, secondo Ugo di San Vittore:
l’istituzione da parte di Cristo, la comunicazione della grazia, e l’analogia tra
l’elemento visibile, quello materiale, e l’elemento invisibile, che sono i doni divini.
Si tratta di una visione molto vicina alla sensibilità contemporanea, perché i sacramenti
vengono presentati con un linguaggio intessuto di simboli e di immagini capaci di
parlare immediatamente al cuore degli uomini. È importante anche oggi che gli animatori
liturgici, e in particolare i sacerdoti, valorizzino con sapienza pastorale i segni
propri dei riti sacramentali – questa visibilità e tangibilità della Grazia – curandone
attentamente la catechesi, affinché ogni celebrazione dei sacramenti sia vissuta da
tutti i fedeli con devozione, intensità e letizia spirituale. Un
degno discepolo di Ugo di San Vittore è Riccardo, proveniente dalla Scozia. Egli fu
priore dell’abbazia di San Vittore dal 1162 al 1173, anno della sua morte. Anche Riccardo,
naturalmente, assegna un ruolo fondamentale allo studio della Bibbia, ma, a differenza
del suo maestro, privilegia il senso allegorico, il significato simbolico della Scrittura
con il quale, ad esempio, interpreta la figura anticotestamentaria di Beniamino, figlio
di Giacobbe, quale simbolo della contemplazione e vertice della vita spirituale. Riccardo
tratta questo argomento in due testi, Beniamino minore e Beniamino maggiore, nei quali
propone ai fedeli un cammino spirituale che invita anzitutto ad esercitare le varie
virtù, imparando a disciplinare e a ordinare con la ragione i sentimenti ed i moti
interiori affettivi ed emotivi. Solo quando l’uomo ha raggiunto equilibrio e maturazione
umana in questo campo, è pronto per accedere alla contemplazione, che Riccardo definisce
come "uno sguardo profondo e puro dell’anima riversato sulle meraviglie della sapienza,
associato a un senso estatico di stupore e di ammirazione" (Benjamin Maior 1,4: PL
196,67). La contemplazione quindi è il punto di arrivo, il risultato
di un arduo cammino, che comporta il dialogo tra la fede e la ragione, cioè – ancora
una volta – un discorso teologico. La teologia parte dalle verità che sono oggetto
della fede, ma cerca di approfondirne la conoscenza con l’uso della ragione, appropriandosi
del dono della fede. Questa applicazione del ragionamento alla comprensione della
fede viene praticata in modo convincente nel capolavoro di Riccardo, uno dei grandi
libri della storia, il De Trinitate (La Trinità). Nei sei libri che lo compongono
egli riflette con acutezza sul Mistero di Dio uno e trino. Secondo il nostro autore,
poiché Dio è amore, l’unica sostanza divina comporta comunicazione, oblazione e dilezione
tra due Persone, il Padre e il Figlio, che si trovano fra loro in uno scambio eterno
di amore. Ma la perfezione della felicità e della bontà non ammette esclusivismi e
chiusure; richiede anzi l’eterna presenza di una terza Persona, lo Spirito Santo.
L’amore trinitario è partecipativo, concorde, e comporta sovrabbondanza di delizia,
godimento di gioia incessante. Riccardo cioè suppone che Dio è amore, analizza l’essenza
dell’amore, che cosa è implicato nella realtà amore, arrivando così alla Trinità delle
Persone, che è realmente l’espressione logica del fatto che Dio è amore. Riccardo
tuttavia è consapevole che l’amore, benché ci riveli l’essenza di Dio, ci faccia "comprendere"
il Mistero della Trinità, è pur sempre un’analogia per parlare di un Mistero che supera
la mente umana, e – da poeta e mistico quale è – ricorre anche ad altre immagini.
Paragona ad esempio la divinità a un fiume, a un’onda amorosa che sgorga dal Padre,
fluisce e rifluisce nel Figlio, per essere poi felicemente diffusa nello Spirito Santo. Cari
amici, autori come Ugo e Riccardo di San Vittore elevano il nostro animo alla contemplazione
delle realtà divine. Nello stesso tempo, l’immensa gioia che ci procurano il pensiero,
l’ammirazione e la lode della Santissima Trinità, fonda e sostiene l’impegno concreto
di ispirarci a tale modello perfetto di comunione nell’amore per costruire le nostre
relazioni umane di ogni giorno. La Trinità è veramente comunione perfetta! Come cambierebbe
il mondo se nelle famiglie, nelle parrocchie e in ogni altra comunità i rapporti fossero
vissuti seguendo sempre l’esempio delle tre Persone divine, in cui ognuna vive non
solo con l’altra, ma per l’altra e nell’altra! Lo ricordavo qualche mese fa all’Angelus:
"Solo l'amore ci rende felici, perché viviamo in relazione, e viviamo per amare e
per essere amati" (L’Oss. Rom., 8-9 giugno 2009, p. 1). È l’amore a compiere questo
incessante miracolo: come nella vita della Santissima Trinità, la pluralità si ricompone
in unità, dove tutto è compiacenza e gioia. Con sant’Agostino, tenuto in grande onore
dai Vittorini, possiamo esclamare anche noi: "Vides Trinitatem, si caritatem vides
- contempli la Trinità, se vedi la carità" (De Trinitate VIII, 8,12).