2009-11-24 15:08:58

La Chiesa sudcoreana verso i rifugiati del nord: “Sono agenti di unità ed evangelizzazione”


Il dramma degli esuli nordcoreani che vivono nella discriminazione nella parte sud della penisola, è stato il tema al centro delle riflessioni dell’incontro “I saeteomin, agenti di Vangelo”, promosso dalla Rete episcopale per la Riconciliazione del popolo coreano e svoltosi domenica scorsa nel Centro Hanmaum di Seul. Saeteomin in coreano significa “rifugiati, coloni”, ed è il termine con cui i sudcoreani chiamano coloro che riescono a scappare dal regime di Pyongyang per stabilirsi dall’altra parte del confine. Col tempo, dato il bassissimo livello d’integrazione degli esuli, è divenuto un termine dispregiativo. E proprio da questo è voluto partire il vescovo ausiliare di Seoul, mons. Lucas Kim Woon-hoe, citato da AsiaNews: “Dobbiamo essere veri testimoni di quello che accade nel Nord. E niente può aiutarci di più in questo compito dei nostri fratelli saeteomin, che hanno la nostra identica dignità”. Per questo motivo i rifugiati nordcoreani “sono agenti di evangelizzazione, membri a tutti gli effetti della nostra società e amici con cui costruire insieme il futuro”. “Ascoltando la loro testimonianza – aggiunto il presule -, impariamo a conoscerli e ad accoglierli, anche in vista del loro ruolo di evangelizzatori, quando la Corea del Nord tornerà ad essere un Paese libero”. Oltre ai partecipanti laici, erano presenti circa 90 tra sacerdoti, religiosi e saeteomin. Uno di loro, Dong Young-soo, riuscito a entrare in Corea del Sud nel 2003, ha messo in luce le discriminazioni che colpiscono in base all’appartenenza al ceto sociale. In Corea del Sud in base alla classe sociale, infatti, si ha accesso a determinati tipi di istruzione o lavoro. E in effetti, la comunità dei saeteomin vive emarginata dal resto del Paese: considerati dei traditori inaffidabili in patria, nel sud vengono trattati come mendicanti perenni. Secondo il professor Ko Kyeong-bin, che insegna all’Università di Seoul, “l’agonia dei 20mila saeteomin che vivono qui ci preoccupa molto. D’altra parte, questi sono soltanto lo specchio dei 20 milioni di nordcoreani che arriveranno da noi dopo la Riunificazione delle due Coree. Dobbiamo fare molta strada, prima di essere pronti ad accoglierli nel modo giusto”. L’accademico, che ha guidato per anni il dipartimento per la Riunificazione del governo, aggiunge: “È proprio il pregiudizio e la discriminazione contro di loro che ha contribuito a rendere più difficile la strada verso una nuova unione fra i due Paesi. Dobbiamo cambiare il nostro modo di fare, perché siano proprio loro gli agenti del ritorno all’unità. In un secondo momento, saranno anche agenti di evangelizzazione”. Prima di chiudere l’incontro, mons. Kim ha espresso un auspicio: “Con questa giornata ho capito quale importante missione dobbiamo compiere, il prima possibile. Ho ascoltato la testimonianza dei saeteomin e ne sono rimasto molto colpito. Pregherò Dio, affinché giunga presto il giorno in cui tutti noi potremo vivere con un cuore solo la riconciliazione delle due Coree”. (M.G.)







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