Non si spengono gli echi dell’incontro del Papa con gli artisti: il commento dello
storico dell'arte Timothy Verdon
Dal New York Times ad Al Jazeera, l’incontro di Benedetto XVI con gli
artisti nella Cappella Sistina ha destato un grande interesse a livello mondiale.
Un evento, quello di sabato scorso, che ha ribadito le straordinarie potenzialità
insite nel connubio tra arte e fede. Il Pontefice ha concluso il suo intervento proprio
con l’esortazione agli artisti a non aver paura della fede che, ha detto, non toglie
nulla al genio e all’arte, ma anzi li esalta e li nutre. Su questo appassionato appello
del Papa agli artisti, Alessandro Gisotti ha raccolto la riflessione dello
storico dell’arte, mons. Timothy Verdon, di cui la Libreria Editrice Vaticana
ha pubblicato ultimamente il volume “L’arte nella vita della Chiesa”:
R. – In quanto
artisti e quindi in quanto persone che hanno ricevuto da Dio un grande talento, a
loro volta sono uomini e donne che, come tutti, devono in qualche modo affrontare
le domande essenziali della vita e lo devono fare come tutti noi in base ad una visione
di fede e di speranza: la speranza, l’arte come espressione della speranza, l’opera
d’arte che deve trasmettere la speranza. Il Papa invita gli artisti a non chiudere
la propria vita, la propria esperienza, il proprio cuore al loro proprio bisogno di
fede e di speranza, di non aver paura che in qualche modo aprendosi a Dio venga meno
quell’arte, quel talento che loro sentono forte dentro.
D.
– Chiaramente il Papa ha anche sottolineato come la bellezza non possa essere scissa
dal bene e, dunque, dalla verità...
R. – Il Santo
Padre ha tracciato una distinzione molto netta tra bellezza autentica, che apre il
cuore dell’uomo alla libertà, alla speranza, e quella bellezza fasulla, luccicante,
fascinosa che alla fine imprigiona il cuore in varie forme di servitù ai poteri di
questo mondo: la lussuria, la bramosia del potere e della ricchezza. Il Santo Padre
ha insistito che gli artisti hanno la libertà di scegliere tra l’una e l’altra bellezza
e lui ha sottolineato questa loro libertà davanti all’immagine cui più volte ha fatto
riferimento del "Giudizio finale" di Michelangelo. Quindi, ha parlato a queste persone,
che in un certo senso godono di una libertà particolare, e davanti all’immagine del
"Giudizio finale" di Michelangelo li ha invitati ad usare bene questo potere. Usarlo
bene vuol dire appunto impegnarsi a portare le persone a vedere, a sentire, a sperimentare
arti visive, musica, letteratura, ciò che è bene piuttosto ciò che è male.
D.
– “L’arte nella vita della Chiesa” si intitola il suo ultimo lavoro. Benedetto XVI,
non solo nell’incontro alla Sistina, con i suoi interventi ha rilanciato proprio il
rapporto fra arte e religione, con il costante richiamo alla “via pulcritudinis”,
la via della bellezza...
R. – Ciò che è veramente
bello nell’arte della Chiesa non è solo il guscio esteriore, il dipinto, la scultura,
l’edificio; ciò che è veramente bello è il messaggio che questo guscio esteriore,
in sé molto importante perché è il veicolo della comunicazione, vuole trasmettere.
Uno dei problemi dell’arte del nostro tempo è che si è soffermata sul guscio esteriore,
ha parlato della bellezza estetica, dello stile, senza rendersi conto che per la maggior
parte della nostra storia l’arte era un mezzo di comunicazione, non solo una cosa
bella in sé. Hanno parlato della composizione, della spazialità degli edifici sacri,
senza adeguatamente comunicare a quanti oggi vogliono avvicinarsi a queste opere,
che avevano una funzione e la funzione era di comunicare la verità.