I vescovi europei rilanciano la cooperazione con l’Ue per difendere la libertà
religiosa
Intensificare il dialogo con l’Unione Europea per affrontare le sfide del prossimo
decennio. E' tutto rivolto al rapporto con le istituzioni comunitarie il comunicato
finale dei lavori dell’assemblea plenaria della Commissione dei vescovi europei presso
la Comunità europea (Comece), che si sono chiusi ieri a Bruxelles. La nota, citata
dal Sir, è stata presentata alla stampa dal presidente della Comece, mons. Adrianus
Van Luyn, che ha espresso la soddisfazione dei vescovi per la “priorità riconosciuta
alla libertà religiosa” dal Consiglio dell’Unione, che il 16 novembre scorso ha adottato
una risoluzione nella quale riconosce la libertà religiosa come parte integrante dei
diritti della persona umana. Molta fiducia viene poi riservata al Trattato di Lisbona
e in particolare l’articolo 17 della Carta che prevede un “dialogo aperto, trasparente
e regolare” tra istituzioni dell’Ue e le Chiese. “Finora è esistita una tradizione
di relazioni e cooperazione con le istituzioni, basata sulla buona volontà da entrambe
le parti. Ora vi sarà una base legale”, ha spiegato il segretario della Comece, padre
Piotr Mazurkiewicz, anch’esso presente alla conferenza stampa, che ha così sintetizzato
gli aspetti positivi di quest’articolo: “Garantisce il rispetto delle Chiese a livello
nazionale nei loro rapporti con i reciproci Stati, ne rispetta l’identità e ne riconosce
la peculiarità, senza assimilarle a lobby o a Ong”. “Ora – ha aggiunto – il dialogo
potrà allargarsi a molti altri ambiti rispetto a quelli affrontati fino ad ora, alla
luce della dottrina sociale della Chiesa”. I vescovi hanno quindi annunciato l’imminente
pubblicazione di un documento che “vuole riflettere sulla promozione della libertà
religiosa nelle politiche dell’Ue”. Infatti, ha ricordato mons. Jarecki, vescovo ausiliare
di Varsavia e vice presidente della Comece, “esistono ancora moltissimi casi di discriminazione
in tutte le regioni del mondo, in particolare in India, Cina, Sudan e Iraq”. La risoluzione
dell’Ue, invece, “riconosce il diritto a praticare la propria religione anche quando
questa non appartiene tradizionalmente al territorio in cui si vive”. “Gli Stati –
ha concluso – hanno il dovere di proteggere le persone che appartengono alle minoranze
religiose e le leggi devono garantire i diritti legati alla libertà religiosa. Solo
se si riconosce questo diritto esiste una democrazia matura”. (M.G.)