Mons. Celli alle autorità cubane: più libertà per la Chiesa. Washington cambi politica
sull'embargo
L'arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle
Comunicazioni Sociali, è appena rientrato da un viaggio a Cuba: il presule, dal 4
all’8 novembre scorsi, ha incontrato la comunità cattolica cubana e le autorità locali.
Al centro dei colloqui, il ruolo della Chiesa nei media dell’isola caraibica. Philippa
Hitchen lo ha intervistato:
R. – E’ stato
un momento molto interessante e ricco. Mi è sembrato che siano stati momenti, quelli
passati con i vescovi e con gli operatori della comunicazione sociale, di intensa
comunione ecclesiale. E’ innegabile che sentissero profondamente il significato della
presenza della persona del Santo Padre. E’ stata una bellissima esperienza, anche
con tutti i responsabili laici delle comunicazioni delle varie diocesi, i quali mi
hanno messo al corrente di quelle che sono le loro difficoltà, ma anche di ciò che
riescono a fare, nonostante le difficoltà: come con pochi mezzi riescano a fare grandi
cose. Io dicevo sorridendo che è proprio, ancora una volta, la moltiplicazione dei
pochi pani e dei pochi pesci.
D. – Quindi, il problema
è soprattutto mancanza di fondi, problemi economici o anche problemi di restrizioni
a livello del governo?
R. – No, sono soprattutto
problematiche legate alle restrizioni. Lei pensi ad esempio che dopo la visita del
Santo Padre, Giovanni Paolo II, nel ’98, le autorità hanno concesso ai vescovi di
potere accedere alle radio locali unicamente tre volte all’anno durante 15 minuti.
E quindi il vescovo - che non ha diritto di poter avere in diocesi una radio cattolica
- può parlare alla radio locale unicamente 45 minuti in un anno. E per questo motivo
dicevo alle autorità governative competenti che sarebbe bello che alla Chiesa fosse
permesso un accesso normale ai media.
D. – E la
risposta del governo?
R. – Mi han detto che ci penseranno.
Perché - vede - quello che io dicevo alle autorità è semplicemente questo: la Chiesa
ha il messaggio del Vangelo, un messaggio profondamente umano per il bene e lo sviluppo
della comunità. Facevo loro notare che il popolo cubano nella sua maggioranza è un
popolo cristiano cattolico e che quindi avrebbe apprezzato il fatto che il vescovo
potesse accedere alla radio e potesse rivolgere dei messaggi di profonda ispirazione
umana e cristiana.
D. – Sono passati più di dieci
anni, come diceva, dalla visita di Giovanni Paolo II e un anno dalla visita del cardinale
segretario di Stato Tarcisio Bertone. Ci sono stati dei progressi per la Chiesa?
R.
– Il clima che si respira nei rapporti tra la Chiesa e le autorità mi è sembrato leggermente
migliorato, ma ancora ci sono grandi passi da fare. La Chiesa nella sua azione è continuamente
controllata e per ogni cosa deve avere il permesso delle autorità. Mi è sembrato,
però, di percepire che c’è un rapporto più disteso.
D.
– Le pressioni esterne possono aiutare in questo senso o no?
R.
– Io ritengo che ci possano essere degli aiuti, che possano essere esercitati anche
da altri. Ma penso che i gesti di buona volontà debbano essere fatti da ambo le parti.
Nella società si vedono le difficoltà create dall’attuale blocco in atto. Mi diceva
una signora in maniera molto sentita che l’angoscia di una madre di famiglia è vedere
cosa poter dare da mangiare in giornata ai propri cari.
D.
– Quindi, i problemi di povertà stanno aumentando...
R.
– I problemi ci sono, si notano, sono vissuti con grande dignità, ma con la consapevolezza
che i problemi esistono e incidono profondamente. Lei ricorderà che la Santa Sede
varie volte è intervenuta su questo tema del “bloqueo”, come si dice in spagnolo.
Quindi, questo problema esiste, si sente, è percepito, ed ha innegabilmente influenza
negativa sulla vita della popolazione. Questo è innegabile.
D.
– Quindi, anche lei spera in un cambiamento di politica da parte dell’amministrazione
Obama?
R. – Io mi auguro che questo possa avvenire,
perché, innegabilmente, è la popolazione quella che ne risente maggiormente.