A 20 anni dalla caduta del Muro i commenti del nunzio a Berlino e dello storico Giovagnoli
Esattamente 20 anni fa cadeva il Muro di Berlino. Decine di capi di Stato e di governo
saranno presenti questa sera quando la caduta del Muro sarà ricreata simbolicamente
attraverso un gigantesco effetto domino davanti alla Porta di Brandeburgo. Tanti i
momenti celebrativi in programma dalle ore 15 fino a notte fonda. Da Berlino, il servizio
di Alessandra De Gaetano:
La nebbia
limita la visuale, nella capitale tedesca in festa, ma lo sguardo verso il futuro
è più penetrante. La Germania federale mostra un volto disteso. Nella cornice della
Berlino storica è eloquente la dosata esibizione di bandiere. Una traccia di cemento
armato, che sfiora il luogo dove si trovava il bunker di Hitler, ricorda dove sorgeva
il Muro. Più che un'occasione per valutare quel che è accaduto il 9 novembre di venti
anni fa, la festa mette in scena, sul palcoscenico della Porta di Brandeburgo la Germania
di oggi, che vent'anni dopo si ritrova, malgrado le diversità tra l'Ovest e l'Est,
un Paese più unito del previsto. "L’unità della Germania però non è ancora completa
- ha detto oggi il cancelliere tedesco Angela Merkel – perché rimangono alcune differenze
strutturali". Sicuramente il tasso di disoccupazione delle regioni della Germania
orientale è due volte superiore a quello occidentale e a questo proposito la Merkel
ha aggiunto: "Se vogliamo raggiungere standard di vita uguali, dobbiamo affrontare
il problema ad est e ad ovest". Lei che, nata nell’Est comunista e diventata cancelliere
nell’Ovest, rappresenta un ponte tra le due Germanie ricongiunte. L'impressione, in
queste ore, è che tutti partecipino alla pacifica festa per la caduta del Muro. Chi
è troppo giovane non ricorda. E non capisce la diffidenza dei Wessis, gli occidentali,
nei confronti degli Ossis, e viceversa. Un tempo si distinguevano abbastanza bene,
per gli abiti e i gesti, gli uni dagli altri. Chi ha vissuto trincerato, invece, sente
il bisogno di lasciare proprio ai giovani l’eredità di un passato che ha molto da
insegnare al presente e al futuro. Stamani, la chiesa di Gethsemane,
a Prenzlauer Berg, ha ospitato la celebrazione ecumenica voluta dalla Chiesa evangelica
e dalla Conferenza episcopale dei vescovi tedeschi. Ad assistere, il cancelliere Angela
Merkel e il presidente della Repubblica Horst Koehler. Sulla celebrazione, ecco la
riflessione del nunzio apostolico in Germania, mons. Jean-Claude Perisset,
nell’intervista di Fausta Speranza:
R. – A 20
anni di distanza abbiamo iniziato la giornata con un’ora di preghiera ecumenica nella
chiesa del Gethsemane, i cattolici, i protestanti ed altri insieme alle più alte autorità
dello Stato, perché – come si è detto nei diversi interventi – il cambio dei regimi
in Europa orientale, particolarmente a Berlino e nella Germania orientale, è dovuto
alla fedeltà di tanti cristiani che di nascosto, o anche sotto minacce da parte delle
autorità comuniste, rimanevano fedeli alla fede cristiana e si sono riuniti poi nelle
Chiese per pregare. Ogni lunedì, per esempio, a Lipsia, e in altre città della Germania
orientale, questa celebrazione cominciava ringraziando Dio per aver dato a questi
sconosciuti e ai tanti fedeli questa fedeltà e permanenza nella speranza. C’è la gioia
interiore di aver ritrovato la libertà, però penso che bisogna sapere cosa fare di
questa libertà. In questi Paesi liberati dal dominio del comunismo è arrivato il dominio
del consumismo e allora cosa avremmo guadagnato? D. – Dunque
una giornata di festa, carica però di altre attese, altre speranze per il futuro… R.
– Certamente, perché – come si è già detto in altre circostanze – l’unione dell’Europa
non si comprende senza l’unione di Berlino e viceversa. La caduta del Muro significa
che tutta l’Europa deve ritrovare la sua unità. E come si può ritrovare questa unità
se non nelle nostre radici, che sono poi quelle cristiane, nelle radici che vengono
dal cristianesimo. Tutti i diritti dell’uomo, tutto ciò che vogliamo per il rispetto
e la libertà hanno le radici nella salvezza che Cristo ci ha portato. E’ lui che fa
cadere il muro tra il bene e il male, ed elimina il male. Bisogna sempre vedere, quando
si guadagna umanamente qualcosa, cosa facciamo poi di questa libertà ritrovata. Dunque,
diventa un appello alla responsabilità di ciascuno, degli ambienti politici, di tutti,
perché la libertà non ci faccia cadere in altri pericoli. Per una riflessione
dal punto di vista storico, Fausta Speranza ha parlato con il prof. Agostino
Giovagnoli, docente di Storia contemporanea all’Università Cattolica di Milano:
R.
– Certamente è stato un evento di importanza epocale. La novità è che allontanandoci
nel tempo, mi pare stia diventando sempre più chiaro il ruolo di questo evento che
allora colse tutti di sorpresa, suscitando una grande euforia ma anche lasciando,
in fondo, incerti sul futuro che si stava aprendo. Credo che, al momento i contemporanei
hanno vissuto quell’evento con gli occhi della Guerra Fredda che finiva e quindi facendo
immediatamente i conti con il vincitore – indubbiamente e indiscutibile – di questa
lunga, dolorosa vicenda, che è l’Occidente. In realtà, quell’evento rappresentò il
collasso finale di un equilibrio bipolare e quindi un evento che disegnava anche uno
scenario nuovo, un futuro nuovo: un mondo in cui non ci sarebbe stato più quell’asse,
sia pure conflittuale, che aveva avuto il suo perno nel rapporto tra Stati Uniti e
Unione Sovietica. Altri protagonisti, però, stavano per affacciarsi, altri ruoli,
altre realtà regionali in un mondo sempre più complesso. D.
– Le sembra che ci fossero speranze che poi nel tempo sono state disattese? R.
– Naturalmente sì! Le speranze di quel momento erano, per esempio, innanzitutto le
speranze di un mondo pacifico, definitivamente pacifico, senza più conflitti; oppure,
la speranza che l’evoluzione dell’Europa orientale sarebbe stata un’evoluzione immediatamente
nella direzione della democrazia e che quest’ultima sarebbe diventata un modello accettato
in tutto il mondo … In realtà, il mondo era già più complesso di quello che appariva.
Per esempio, tutta la novità del mondo islamico, tutte le novità del mondo asiatico
e anche di quello africano … D. – Professore, 20 anni non sono
sufficienti per aprire alcuni archivi storici, però in qualche modo in questi anni
abbiamo raccolto dei documenti che in quel momento non c’erano: si può parlare di
una storiografia? R. – Comincia ad esserci una storiografia,
proprio grazie a documenti che stanno emergendo e al lavoro di alcuni storici. Credo
che oggi il dibattito storiografico si stia concentrando su un punto: ci si chiede
se i protagonisti della fine del comunismo siano stati veramente soprattutto i grandi
leader – Reagan da una parte, per esempio, Gorbaciov dall’altra – o ci sono stati,
invece, tanti attori diversi? Faccio un esempio: le vicende della Polonia, negli anni
Ottanta, sono state decisive per arrivare alla caduta del Muro, e in quelle vicende
– come sappiamo – il ruolo della Chiesa cattolica, in particolare di Giovanni Paolo
II, è stato decisivo. Dunque, oggi la storiografia sta restituendo un quadro più complesso
in cui emerge anche l’importanza di diversi attori e anche, in particolare, del fattore
religioso. D. – Decisivo, soprattutto, per l’assenza di spargimento
di sangue … R. – Certamente! Questo è uno dei fatti più positivi
di quegli eventi: sono avvenuti quasi senza spargimento di sangue. Ed è stato sicuramente
legato all’influenza dei fattori culturali e religiosi che, per loro natura, non sono
portatori di violenza. Certamente il ruolo dei credenti – penso anche al ruolo dei
cristiani protestanti, per esempio nell’Europa orientale, accanto ai cattolici – è
stato molto importante proprio nel favorire quella che, nelle sue espressioni migliori,
è stata come in Cecoslovacchia definita una “rivoluzione di velluto”.