L'omelia del cardinale Erdő per la Beatificazione di mons. Zoltán Meszlényi, martire
del regime comunista ungherese
Questa mattina nella Basilica di Esztergom, in Ungheria, nel corso di una Messa solenne,
è stato elevato all’onore degli altari il Servo di Dio Zoltán Lajos Meszlényi, vescovo
e martire. Il presule ungherese è stato un coraggioso pastore, che ha offerto la sua
vita alla cura spirituale e alla promozione umana dei fedeli della diocesi di Esztergom,
di cui fu ausiliare tra il 1937 e il 1950. Durante la persecuzione del regime comunista
ungherese contro la Chiesa, fu deportato dalla polizia nel campo di internamento di
Kistarcsa e morì in seguito alle torture, il 4 marzo 1951. La Santa Messa è stata
presieduta dal cardinale Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest, mentre a leggere
la formula di Beatificazione è stato l’arcivescovo Angelo Amato, prefetto della Congregazione
delle Cause dei Santi, rappresentante del Papa. Di seguito i testi integrali dell'omelia
del cardinale Erdő e del messaggio di mons. Amato: Omelia del cardinale
Erdő: Eminenza Reverendissima Cardinale László Paskai, Eccellenza
Reverendissima Arcivescovo Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause
dei Santi, Eccellenza Reverendissima Monsignor Juliusz Janusz, Nunzio Apostolico, Arcivescovi
e Vescovi, Onorevole Presidende del Parlamento, della Corte Costituzionale
e della Corte Suprema, Onorevoli Rappresentanti del Governo della Repubblica
Ungherese, Onorevole Presidente Ferenc Mádl, Onorevole Presidente
dell'Accademia Scientifica Ungherese, Onorevole Signor Sindaco Tamás Meggyes, Stimati
Rappresentanti della nostra vita politica, sociale e culturale, Onorevoli
Rappresentanti delle Chiese sorelle, Carissimi fratelli nell'Ordine, Fratelli
amati in Cristo! 1. Oggi ci siamo riuniti nella Basilica principale
della nostra Chiesa sul monte Sion ungherese, che, nel corso dei secoli, ha rappresentato
per il nostro popolo la Provvidenza di Dio, la speranza nel ritorno e il rinnovamento
della della nazione. Dopo la decadenza del periodo turco, di nuovo, per 150 anni,
c'è stato bisogno di ricostruire la cattedrale. Oggi tra queste sante mura si celebra
per la prima volta una cerimonia di beatificazione. La figura del vescovo martire
Zoltán Meszlényi prende posto nella schiera dei santi e beati ungheresi. Egli è il
primo ad essere elevato nella schiera dei beati tra i sacrifici della persecuzione
della Chiesa del periodo stalinista nella nostra Patria. Che cos'è il messaggio del
vescovo Meszlényi e la sua eredità per noi, cattolici di oggi, ungheresi di oggi?
Quale profondità fa emergere l'esempio della sua vita? Che vita emerge dalla sua testimonianza
eroica? 2. La lettura dell'antico testamento che abbiamo appena
letto proviene dal libro della Sapienza. Generalmente vale, per la morte degli uomini
giusti, ma soprattutto dei martiri, che “Le anime dei giusti, invece, sono nelle mani
di Dio, nessun tormento le toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero;
la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi
sono nella pace. Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi, la loro speranza
è piena di immortalità. Per una breve pena riceveranno grandi benefici, perché Dio
li ha provati e li ha trovati degni di sé: li ha saggiati come oro nel crogiuolo e
li ha graditi come un olocausto” (Sap 3,1-6). Già nei libri tardi dell'antico
testamento, emerge la convinzione che la ricompensa di una vera vita di sequela della
volontà di Dio non si mostra semplicemente nella fortuna e nel successo terreno, quanto
piuttosto nella felicità eterna. Questa convinzione ha aiutato i martiri del tempo
dei Maccabei a sacrificare la propria vita per la loro fede (cfr Mac 6,18-7,42). Inoltre,
Gesù Cristo nella propria persona ha dato esempio del fatto che ogni uomo riceve una
vocazione alla vita eterna, che l'amore del Padre Celeste è più importante di qualsiasi
riconoscimento terreno. Nel Vangelo di san Matteo, Gesù così incoraggia gli apostoli:
“E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere
l'anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l'anima e il corpo
nella Geenna. ...Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io lo riconoscerò
davanti al Padre mio che è nei cieli” (Mt 10,28.32). Pertanto, Cristo è la conferma
della nostra speranza e della nostra gioia, perché cosa può accadere all'uomo di peggio
della morte? Eppure lo sprofondamento delle anime nella perdizione è peggio della
morte corporale. Ma la morte in questa terra non può togliere agli uomini l'intera
vita, perché non si possono uccidere le anime. Solo Dio è Signore del destino delle
anime. Ancora oggi nel mondo uomini vengono uccisi per il solo
fatto di essere cristiani. Ma i seguaci di Cristo molte volte devono soffrire anche
altre prove oltre alla violenza e all'omicidio. Anche ai giorni nostri spesso siamo
esposti a maldicenze, insinuazioni contro la nostra Chiesa, denigrazioni, sempre nuove
ondate di falsificazioni storiche, odio diretto verso la Chiesa, emarginazione dei
credenti e delle istituzioni ecclesiali, ma il mandato dell'uomo cristiano non è annunziare
se stesso, ma Gesù Cristo, il Signore, perché – come scrive san Paolo – Dio “rifulse
nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge
sul volto di Cristo” (2 Cor 4,6). Lo Spirito Santo dà la capacità di testimoniare
apertamente Cristo. 3. La vita del vescovo martire Zoltán Meszlényi
è un esempio di testimonianza di un uomo cristiano reso forte dallo Spirito Santo.
Nacque nel 1892, perse presto la madre. Dall'esperienza conobbe quale sia la sorte
dei bambini mezzi orfani, poi di quelli orfani. In un altro uomo, questo avrebbe causato
uno sradicamento, eventualmente amarezza nei confronti della società, o completo disorientamento.
Invece questa esperienza ha accompagnato fino alla fine della sua vita il vescovo
Zoltán, e lo ha spinto a prendersi cura con i propri soldi dei bambini e dei giovani
che vivevano nell'abbandono o orfani, senza risparmiare né tempo, né energie. La Provvidenza,
pertanto, lo ha messo alla prova, ma questo è servito al suo approfondimento spirituale
e alla sua nobilitazione. Ma egli ricevette da Dio anche altri
doni: ricevette un eccezionale talento e la vocazione sacerdotale. Oggi, nell'anno
del sacerdozio, dobbiamo prestare attenzione particolare al fatto che egli, agli inizi
della sua giovinezza, riconobbe la parola viva di Cristo. In Józsefváros, l'ideale
di Cristo che irradiava dall'insegnamento dei buoni preti e degli insegnanti di catechismo
conquistò il suo spirito. Così si presentò per il servizio nella diocesi di Esztergom.
A Esztergom i giovani seminaristi frequentavano il liceo benedettino. Qui eccelse
tra i suoi compagni con le sue doti eccezionali; per questo, dopo la maturità, fu
mandato a Roma a studiare presso il Collegio Germanico-Ungarico. Continuò i suoi studi
all'Università Gregoriana, dove ottenne il dottorato in Filosofia e Teologia e il
baccalaureato in Diritto Canonico. Tuttavia, non potè godere di una preparazione
indisturbata: giunse la Prima Guerra Mondiale. L'Italia passò dal lato dell'Intesa.
Per questo motivo, l'ordine gesuita trasferì a Innsbruck gli studenti del proprio
collegio romano, in modo da evitare che le autorità italiane li internassero in quanto
cittadini nemici. Ma Zoltán pregava, studiava, e, più tardi, si ricordò con devozione
di questi anni di preparazione. Non permise che gli avvenimenti tempestosi turbassero
il suo spirito. Tuttavia, fedelmente, precisamente e con responsabilità davanti a
Dio, si diresse verso il proprio fine stabilito, perché sapeva che non aveva scelto
la chiamata al sacerdozio semplicemente cercando una vita bella e comoda, o semplicemente
in base al sentimento, ma per obbedienza nei confronti della irresistibile parola
di Cristo. “Non siate pigri nello zelo; siate invece ferventi nello spirito, servite
il Signore” (Rm 12,11). Questa magnanimità in Zoltán Meszlényi non si mostrava con
gesti teatrali; la sua spiritualità non cercò il successo esteriore e nemmeno l'ebbrezza
della fama di un momento. Piuttosto, questa magnanimità si mostrava nel fatto che
cercò la volontà di Dio appassionatamente e, con precisione, con coscienza e fedeltà,
adempì ogni suo dovere, in particolare adempì quei doveri propri della sua situazione,
come studente, come prete, più tardi come segretario episcopale, come direttore di
ufficio, come membro del tribunale ecclesiastico, come economo della diocesi e, dal
1937, come vescovo ausiliare. Ma con la stessa fedeltà e precisione, adempì tutto
quello a cui lo obbligava l'amore per i parenti e l'amore nei confronti dei poveri
e sfruttati a lui affidati. Ma come la fedeltà nel piccolo
porta all'offerta di sé, come può diventare l'eroica abnegazione del martirio? Come?
Quasi impercettibilmente. Il “sì” detto giorno per giorno alla volontà di Dio, la
ricerca appassionata e umile del volto di Cristo, in se stessa esorta l'uomo su una
strada su cui è già lo Spirito Santo a dirigere i nostri passi. Tutto questo processo
eccezionale si sviluppa sempre dietro le quinte della vita quotidiana. Occuparsi del
mantenimento materiale delle istituzioni della diocesi durante le vicende della Seconda
Guerra Mondiale, accorgersi delle molte miserie umane, stare al fianco dei preti con
particolare comprensione e carità e, nel contempo, non trascurare la preghiera e neppure
lo studio, queste furono per il vescovo Zoltán le principali sfide. Egli in tal modo
visse i suoi giorni quotidiani che molte volte guardò nelle profondità delle cose
di questo mondo, nei continui nuovi problemi, dal punto di vista di Dio e dell'eternità.
Lo sguardo profondo del vescovo Zoltán anche alla fine della guerra, seppe intravvedere
dietro le sofferenze umane la deprimente e scoraggiante immagine della distruzione
spirituale, e percepì anche il martirio che aspettava i cristiani. Il 2 dicembre del
1945, nella chiesa del centro di Esztergom, disse la seguente cosa: “Il nostro popolo,
anticamente sano spiritualmente, oggi giace in un tale abisso morale che, se Dio misericordioso
non avrà pietà di noi, e se non avrà parte a un rinnovato avvento del Signore, allora
possiamo veramente disperare riguardo al suo futuro. Riceviamo notizie di rapine,
saccheggi, omicidi” dice il vescovo riguardo alla circostanza del dopoguerra “si ama
facilmente attribuire agli altri queste cose – continua – ma non giustifichiamoci:
questi crimini, in molti casi, gridano vendetta a causa dei nostri stessi fratelli...
Allora, quando l'insieme delle disgrazie nazionali dovrebbe unire gli uomini ungheresi,
proprio allora emerge la spaccatura spirituale e gli uomini, uno contro l'altro, si
lanciano accuse, si denunciano tra di loro, contro uomini innocenti... possiamo sperare
in una risurrezione spirituale senza l'avvento del Signore?”. Chi potrebbe liberarci
– si chiede successivamente – al di fuori di Cristo, in cui appaiono la misericordia
e l'umanità? L'insegnamento del vescovo Meszlényi è eccezionalmente
attuale: anche oggi percepiamo che il nostro egoismo individuale e comunitario, la
nostra miopia, il nostro desiderio di potere, i nostri odi, ci fanno cadere in una
trappola da cui non possiamo liberarci con le nostre forze. Il crollo, lo sfascio
delle circostanze esteriori si coniuga con l'atteggiamento umano. Non dobbiamo semplicemente
affrontare le conseguenze dell'impersonale economia mondiale: anche noi stessi, chi
più, chi meno, siamo responsabili dei nostri problemi. E le difficoltà non raramente
opprimono nella maniera più dura quelli che sono i meno responsabili della rovina
delle proprie sorti. Ma forse è ancora più grande il problema nel mondo dello spirito
dove su molti prende sempre più potere lo sconforto, la disperazione, la depressione,
il senso di mancanza di significato, oppure l'amarezza e il rancore. Da questo cerchio
infernale, solo l'amore misericordioso di Dio ci può salvare. Gli eccezionali testimoni
di questo amore sono quegli uomini che sono pronti a sacrificare anche la loro vita
per amore di Dio, nella speranza della vita eterna. Pertanto la fedeltà dei martiri
è fonte di speranza per noi. Squarcia sopra di noi la grigia volta intessuta dal peccato
e dalla miseria, così che possiamo vedere più ampiamente nel Regno del Cieli, perché
là è la nostra vera patria (v. Fil 3,20), nella gioia di Dio (v. Mt 25,21-23). Con
questo spirito elevato, il vescovo Zoltán visse la guerra; con tale saggezza contemplò
la pressione sempre più opprimente nei confronti degli uomini credenti e della Chiesa,
la instaurazione della dittatura comunista. Nel 1948 con parole quasi profetiche così
parla: “La profezia del Salvatore che si prepara alla morte sulle sofferenze che avrebbero
aspettato i suoi discepoli … riguarda i cristiani credenti in Cristo di ogni tempo”
– dice. “Secondo san Cipriano, lo spargimento del sangue dei cristiani è quella semina
da cui” si sviluppano le folle dei cristiani. A questo aggiunge: “ Sappiate bene che
il tempo dei martiri non è finito con i primi secoli. Finora non c'è mai stata una
generazione in cui non ci sono stati martiri in uno o in un altro punto della Chiesa
universale”. Ma l'approssimarsi della persecuzione fece nascere nel cuore del vescovo
Zoltán anche la comprensione nei confronti dei persecutori. “Queste persecuzioni –
dice – sono state compiute da uomini fanatici. A tutti loro si riferisce la parola
del Signore Gesù: hanno ucciso i fedeli perché attraverso questo nel proprio modo
pensavano di rendere servizio a Dio”. In questa epoca drammatica “è lo Spirito Santo
consolatore la nostra speranza – sottolinea il vescovo Meszlényi – che ci insegna
come si deve perseverare in difesa della verità di Cristo, come dobbiamo difendere
la fede nei confronti di ogni tentazione, come dobbiamo desiderare la corona celeste”. 4.
Tale fu pertanto quella vita e quella spiritualità che lo ha guidato fino al momento
della eroica perseveranza finale. Quando, il 15 giugno del 1950, morì János Drahos,
vicario generale che aveva governato la diocesi al posto del cardinale Mindszenty
che stava in prigione, la paura scosse il clero e i fedeli, dal momento che fino ad
allora, nonostante ogni difficoltà, la diocesi era stata governata in fedeltà al papa
e al proprio arcivescovo imprigionato. Cosa consegue a questo? Il 17 giugno, dopo
il funerale del vicario generale Drahos, si dovette eligere un vicario capitolare
per la guida della diocesi ormai orfana. Solo che un'intollerabile pressione esterna
si opponeva alla libertà dell'elezione. In ogni caso, i poteri statali desidervano
l'elezione di Miklós Beresztóczy, che a quell'epoca era già l'organizzatore del Movimento
della Pace. I canonici di Esztergom, e tra loro il vescovo Meszlényi non si furono
arrabbiati con Miklós Beresztóczy. In lui potevano vedere un fratello prete con una
preparazione simile alla loro, che si occupava del diritto canonico e del governo
della Chiesa, e con cui, a fianco del cardinale Jusztinián Serédi, lavoravano nell'interesse
della Chiesa. Ma sapevano di lui che era stato in prigione. Con tristezza comune,
sospettavano anche che, per molti versi, avesse ceduto nel tempo passato in prigione.
Ma le varie violente pressioni statali, arrivate per più canali, avevano portato il
capitolo alla conclusione che, se avessero scelto Beresztóczy questa non sarebbe
stata una scelta libera, e pertanto non sarebbe potuta essere un'elezione valida.
In ogni caso, era necessario evitare che i fedeli e i preti fossero insicuri riguardo
a chi fosse il legittimo pastore della diocesi. Perché l'unità con il successore di
San Pietro non è semplicemente una formalità esteriore, ma una forza vivificante,
da cui deriva la sorgente della fede e della grazia. L'unità con il romano pontefice
rafforza la chiesa locale, così che possa essere fedele al mandato di Cristo. Questo
fu il punto di vista che spinse il vescovo Zoltán Meszlényi ad accettare umilmente
questo pericoloso compito, scusandosi ma accettandolo. Nella
sua prima ed unica lettera pastorale fece i conti con la sua vita. Descrive così la
sua accettazione della elezione: “Nella circostanza presente non fui libero di declinare
questo peso che volevano mettermi addosso”. Ancora in questo momento sorse il pensiero
se non si potesse persuadere il nuovo vicario capitolare, contro la volontà dell’arcivescovo
imprigionato, deviando dalle prescrizioni della Chiesa, a fare delle grosse concessioni
nella direzione del potere statale. Le annotazioni eseguite riguardo a lui a quell'epoca
e le esaminazioni ricercavano proprio questo. Forse speravano di prendersi gioco di
lui contro il cardinale Mindszenty. Forse speravano che nel suo cuore ci fosse risentimento
perché, nonostante il fatto che fosse diventato vescovo sette anni prima di Mindszenty,
e riguardo alla conoscenza delle lingue e anche alla formazione lo superasse, Mindszenty
e non lui era diventato l'arcivescovo della diocesi. Ma in lui non viveva amarezza.
Anzi, proprio al meglio mostrò la sua fedeltà ed obbedienza quando il cardinale Mindszenty
era già in prigione. Il vescovo Zoltán nelle sue omelie, esortava i fedeli ad essere
fedeli al loro vescovo imprigionato. E questa non è l'espressione di un uomo pieno
di rancore. Lo stesso agente che scrive il rapporto sul vescovo Meszlényi nel luglio
del '50 interpreta così la situazione: non esiste eventualità di guadagnare il nuovo
vicario capitolare a una particolare collaborazione, perché Zoltán Meszlényi è un
uomo in cui non c’è alcuna traccia di opportunismo. Questa è la veritiera confessione
circa il suo carattere; questo mostra la sua grandezza e la sua disponibilità al martirio
per amore nei confronti della Chiesa. Per questo fu prelevato il 29 giugno del 1950;
per questo fu tenuto in condizioni disumane, con le finestre aperte nel freddo invernale,
costringendolo scalzo nel cortile ricoperto di scorie, senza le medicine necessarie,
isolandolo severamente fino alla fine nella cella di rigore. Se il loro scopo era
spezzare la Chiesa, intimorirla con questo tipo di persecuzione, anche questo conferma
il martirio. Se la loro intenzione era distruggere il vescovo, nel tentativo di dominare
sulla Chiesa, anche questo loro comportamento rafforzava il martirio. Pertanto, questa
morte non fu un incidente casuale, ma una testimonianza assunta con spirito obbediente
per la fede e per la Chiesa di Cristo. La morte del vescovo
Zoltán è stata per lungo tempo circondata da un silenzio di tomba; solo tre anni dopo
è stato reso noto il decesso con una data falsa. Di nuovo, ci vollero dodici anni
prima che autorizzarono a cercare il sepolcro e a trasportare qui, nella cripta della
basilica, i suoi resti mortali. Il funerale di allora cercò di evitare pubblicità.
A tal punto i poteri avevano paura del vescovo Meszlényi morto 15 anni prima, che,
tra l'altro, non era nemmeno stato un famoso protagonista della politica. Nell'estate
del '50, la Conferenza Episcopale, tenne una seduta straordinaria sotto la pressione
delle deportazioni dei religiosi. Il tema era la firma dell’accordo con il governo.
Anche se la maggior parte fece notare che ufficialmente si doveva chiederne conto
al governo di quello che era successo a un membro della Conferenza Episcopale, ma,
tra le circostanze della grande pressione politica, questa lettera in cui si chiedeva
conto dell'accaduto non fu mai scritta. Un profondo e lungo silenzio ha coperto la
figura del vescovo martire per molti anni. Ma “ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente
degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1 Cor 1,25). Beato
vescovo Zoltán! Siamo venuti per inchinarci davanti alla grandezza del tuo martirio.
Siamo venuti per ricevere giubilando la decisione di papa Benedetto, e per venerarti
sull'altare nella schiera dei santi e beati del nostro popolo. Siamo venuti per contemplare
lo specchio limpido della tua fiducia e della tua fedeltà, e chiediamo il tuo sostegno.
Prega per la nosta Conferenza Episcopale, per il nostro clero e per i nostri religiosi,
così che instancabilmente e coscienziosamente consacriamo la nostra vita alla causa
di Cristo. Prega per l'intero nostro popolo, affinché Dio guarisca le tante ferite
del nostro spirito. Che la tua beatificazione sia anche per noi la grande festa della
riconciliazione! Che le ferite del nostro passato, alla luce della misericordia, non
siano sorgente di amarezza e di discordia, ma mostrino la via della comprensione e
della riappacificazione! Prega per tutti quelli che hanno sofferto a causa dell'ingiustizia,
perché la meravigliosa possibilità del perdono è sempre a loro disposizione. Prega
per noi che ci pentiamo sinceramente se abbiamo causato ferite o sofferenza agli altri
e perché siamo pronti alla riconciliazione! Prega per tutti noi, affinché il rinnovamento
dei cuori renda migliore e più felice il mondo intorno a noi e guidi sempre più uomini
a Cristo che è la definitiva e piena felicità nostra! Amen. Messaggio
di mons. Angelo Amato, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi: Siamo
grati al Santo Padre Benedetto XVI per questo dono che egli ha fatto oggi alla gloriosa
Chiesa ungherese. Ma il beato Zoltan Meszlényi, Vescovo Ausiliare di Esztergom, è
una gloria anche della Chiesa universale. Come ogni martire cristiano, all’odio per
la sua fede, egli rispose con la fortezza e la dolcezza degli innocenti. Con il sacrificio
della sua vita, egli è un testimone eroico del Vangelo di Cristo, il maestro divino,
che insegnava ad amare i persecutori e a pregare per loro. Il
martire cristiano, infatti, non odia e non vuole la morte dei nemici. Il martire cristiano
prega, perdona e ama. Non porta divisione, ma concordia; non fa la guerra ma la pace;
non disprezza né si vendica ma rispetta e onora il prossimo. Il
beato Zoltan Meszlényi ci invita a essere fedeli al Vangelo di vita e di verità. È
questo il suo messaggio oggi: vivere nella comunione, nella libertà e nella carità,
e costruire, promuovere e testimoniare una civiltà dell’amore, della vita e della
fraternità universale. Continuiamo a tenerlo nella nostra memoria
orante e a chiedere la sua intercessione per rimanere anche noi forti e perseveranti
nella fede, nella speranza e nella carità.