“La dignità umana va preservata a tutti i costi”: sono queste le parole di mons. Boniface
Choi Ki-san, vescovo di Incheon e presidente della Commissione episcopale Giustizia
e Pace dell'episcopato coreano, riportate da "Asianews". “Dopo la crisi si rischia
una rivoluzione sociale” e il Centro Apostolico di Seoul si sta mobilitando per intervenire
con decisione sul fenomeno del lavoro irregolare in Corea del Sud e per chiedere al
governo un intervento in difesa della popolazione. L’incontro promosso dalla Chiesa
cattolica coreana prende il nome di “Riflessioni e soluzioni pratiche per il lavoro
irregolare: la voce della Chiesa per la solidarietà sociale”. Lo scopo è quello di
rendere noti i risultati della ricerca sul lavoro irregolare condotta da Giustizia
e Pace, che lo definisce “una delle peggiori piaghe sociali del nostro tempo”. Mons.
Boniface Choi Ki-sanrileva che la società coreana “è entrata in una fase che
potremmo chiamare di polarizzazione. Soltanto che, all’estremo più basso di questo
polo, ci sono i lavoratori irregolari e i disoccupati. È urgente che il governo ascolti
la voce della Chiesa: la dignità umana e il senso del lavoro sono fattori da rispettare,
condizioni umane da preservare”. La ricerca è stata condotta, da gennaio sino alla
fine di luglio, dal Centro coreano cattolico per i lavoratori. Nell’estratto finale
sono presenti i documenti e gli insegnamenti sociali della Chiesa sul tema del diritto
all’impiego: una sorta di vademecum per chi affronta il mondo del lavoro. Anche in
Corea del Sud, l'attuale crisi economica mondiale, sta facendo sentire i suoi devastanti
effetti sulle fasce più deboli della popolazione. Seoul, con i suoi dieci milioni
di abitanti, è la città sudcoreana con il maggior numero di poveri, e nonostante il
forte sviluppo industriale degli ultimi decenni, in questo Paese dell'Estremo Oriente
è emerso il fenomeno dell’impiego “in nero”. È un fenomeno che si è allargato fino
a comprendere tutti gli ambiti: ad oggi, il 52% di coloro che hanno un lavoro non
hanno contratto. Il direttore del Centro, dottor Kim Seong-hee, spiega: “Nella nostra
società, dopo il crack delle Borse, più di 8 milioni di impiegati non ha paracadute
sociale e non contribuisce al Prodotto interno lordo. Inoltre, per la fame di lavoro
che si è creata dopo la crisi, si sono considerevolmente abbassate le paghe corrisposte:
senza controllo da parte del governo, i datori di lavoro si sentono autorizzati a
creare nuovi schiavi”. Sulla stessa linea anche il sacerdote gesuita Daniel O' Keeffe,
rettore del Centro apostolico di Seoul: “Gli insegnamenti della Chiesa cattolica in
materia sono chiari: uno stipendio giusto e regolare è una misura fondamentale per
il sistema economico. Quindi non è moralmente accettabile, anche se fosse legittimato
dalla legge, che esistano degli squilibri tesi a discriminare un gruppo di lavoratori.
La Chiesa si impegna per migliorare questa situazione quotidianamente. Ma deve farlo
anche la società”. (C.P.)