2009-10-31 14:35:47

Beatificato mons. Zoltán Meszlényi, martire del regime comunista ungherese. Il cardinale Erdő: ha pagato la fedeltà con la sua vita


“La vita del vescovo martire Zoltán Meszlényi è un esempio di testimonianza di un uomo cristiano reso forte dallo Spirito Santo”. E’ uno dei passaggi dell’omelia del cardinale Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest, per la Messa di Beatificazione, stamani, del presule ungherese nella Basilica di Esztergom. Coraggioso pastore, il Servo di Dio Meszlényi venne perseguitato durante il regime comunista e deportato nel campo di internamento di Kistarcsa dove morì il 4 marzo 1951. Il servizio di Benedetta Capelli:RealAudioMP3

Una vita spesa nella cura magnanima della propria diocesi, animata da una spiritualità semplice, “testimonianza assunta con spirito obbediente per la fede e per la Chiesa di Cristo”. In questi pochi tratti il cardinale Erdő ha disegnato la luminosa figura del vescovo Zoltán. “Non si possono uccidere le anime” ha detto il porporato, ricordando che ancora oggi molti uomini vengono uccisi per il solo fatto di essere cristiani. “Ma i seguaci di Cristo spesso devono soffrire – ha proseguito il cardinale - anche altre prove oltre alla violenza e all'omicidio”. Evidenziando come la Chiesa di oggi sia esposta a maldicenze, insinuazioni, falsi storici, emarginazione dei credenti e delle istituzioni ecclesiali, ha precisato che “il mandato dell'uomo cristiano non è annunziare se stesso, ma Gesù Cristo”. Prendendo in rassegna le tappe della vita del vescovo ausiliare di Esztergom, il porporato ne ha evidenziato la ricerca della volontà di Dio e dunque l’adempimento di ogni suo dovere. Il “sì” detto giorno per giorno che “esorta l'uomo su una strada su cui è già lo Spirito Santo a dirigere i nostri passi”. Il cardinale Erdő ha parlato poi dell’attualità dell’insegnamento del vescovo Zoltán, in un tempo di egoismo nel quale l’uomo cade nella trappola del desiderio di potere e nell’odio, solo “l’amore misericordioso di Dio – ha aggiunto - ci può salvare”. “Gli eccezionali testimoni di questo amore – ha proseguito l’arcivescovo di Esztergom-Budapest - sono quegli uomini che sono pronti a sacrificare anche la loro vita per amore di Dio, nella speranza della vita eterna. Pertanto la fedeltà dei martiri è fonte di speranza per noi”. Prima della sua persecuzione, il presule ungherese nelle sue omelie ricordava che il tempo del martirio non era finito e già si predisponeva alla comprensione dei persecutori che definiva “uomini fanatici”. Un agente che fece un rapporto su di lui nel 1950 ammetteva l’impossibilità di avvalersi della sua collaborazione “perché in lui – scriveva - non c’è traccia di opportunismo”. Una definizione che ne fa emergere la grandezza e la “disponibilità al martirio per amore nei confronti della Chiesa”. “Se il loro scopo era spezzare la Chiesa, intimorirla con questo tipo di persecuzione, - ha evidenziato il cardinale Erdő - anche questo conferma il martirio. Se la loro intenzione era distruggere il vescovo, nel tentativo di dominare sulla Chiesa, anche questo loro comportamento rafforzava il martirio. Pertanto, questa morte non fu un incidente casuale, ma una testimonianza assunta con spirito obbediente per la fede e per la Chiesa di Cristo”. La sua scomparsa fu a lungo taciuta, ci vollero 12 anni prima di trasportare i resti mortali nella Basilica di Esztergom. Il porporato, in conclusione, ha invocato il sostegno del vescovo Zoltán perché la beatificazione sia “la grande festa della riconciliazione”, perché le ferite del passato “mostrino la via della comprensione e della riappacificazione”.

 
Nel messaggio per l’occasione, l’arcivescovo Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, rappresentante del Papa, ha definito il presule ungherese “un testimone eroico del Vangelo di Cristo, il maestro divino, che insegnava ad amare i persecutori e a pregare per loro”. “Il beato Zoltán Meszlényi – ha aggiunto - ci invita a essere fedeli al Vangelo di vita e di verità. È questo il suo messaggio oggi: vivere nella comunione, nella libertà e nella carità, e costruire, promuovere e testimoniare una civiltà dell’amore, della vita e della fraternità universale”.

Al microfono di Marta Vertse, incaricata del Programma ungherese della nostra emittente, il cardinale Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest, spiega il senso del martirio del nuovo Beato:RealAudioMP3

R. – Questo martirio è un ricco messaggio perché da una parte il vescovo Meszlényi è stato un canonista, un uomo della Chiesa che ha dato tutta la sua vita per il servizio alla Chiesa, alla nostra arcidiocesi e alla stessa Chiesa in Ungheria. Ha insegnato il diritto canonico, ha lavorato nella curia diocesana, era responsabile amministrativo della diocesi in tempo di guerra, durante un periodo di estrema miseria; ha esercitato – anche personalmente – la carità verso gli orfani: con i propri mezzi privati ha mantenuto una casa per loro nella città di Esztergom. Era una persona che non amava trovarsi al centro dell’attenzione, essere famoso; voleva soltanto fare il suo dovere con umiltà e precisione. Nel momento tragico, quando il cardinale Mindszenty era già in carcere, ed era morto anche il vicario generale della diocesi, lui ha accettato l’elezione del capitolo ed è diventato vicario capitolare in un momento in cui il governo stalinista aveva già minacciato direttamente il capitolo ed aveva preteso l’elezione di un altro sacerdote che era invece il presidente del Movimento sacerdotale per la pace, un movimento collaborazionista dell’epoca. Egli ha accettato umilmente l’elezione per garantire il governo legittimo della diocesi e per questo 12 giorni dopo lo hanno arrestato e trattato così duramente. Egli, quindi, ha dato la vita per la Chiesa, per la comunione della Chiesa di Esztergom, della diocesi, con la Chiesa universale, con la sede di Pietro. Dopo l’arresto del vescovo ausiliare, il capitolo – sotto pressione diretta del regime – ha scelto in modo canonicamente non valido – un vicario capitolare che era di gradimento dello Stato. Per tutta risposta, Pio XII e l’arcivescovo Tardini pubblicarono una nomina, trovando una soluzione che oggi sembra molto realistica: un altro vescovo, mons. Hamvas, che ricevette, parallelamente alla propria diocesi - che ha continuato a governare – la nomina pontificia di amministratore apostolico dell’arcidiocesi di Esztergom. Avevano quindi trovato un personaggio integro, che era tollerato anche dal regime, ed avevano posto il governo dell’arcidiocesi nelle sue mani, per evitare una situazione illegittima o anarchica nella vita della diocesi e della Chiesa ungherese. Qui si vede che fino alla prassi parrocchiale quotidiana è un elemento vitale la comunione tra la Chiesa locale e quella universale. E questa comunione, a volte, nella storia, ha richiesto anche grandi sacrifici personali da parte di sacerdoti, vescovi ed anche fedeli.







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