Beatificato mons. Zoltán Meszlényi, martire del regime comunista ungherese. Il cardinale
Erdő: ha pagato la fedeltà con la sua vita
“La vita del vescovo martire Zoltán Meszlényi è un esempio di testimonianza di un
uomo cristiano reso forte dallo Spirito Santo”. E’ uno dei passaggi dell’omelia del
cardinale Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest, per la Messa di Beatificazione,
stamani, del presule ungherese nella Basilica di Esztergom. Coraggioso pastore, il
Servo di Dio Meszlényi venne perseguitato durante il regime comunista e deportato
nel campo di internamento di Kistarcsa dove morì il 4 marzo 1951. Il servizio di Benedetta
Capelli:
Una vita
spesa nella cura magnanima della propria diocesi, animata da una spiritualità semplice,
“testimonianza assunta con spirito obbediente per la fede e per la Chiesa di Cristo”.
In questi pochi tratti il cardinale Erdő ha disegnato la luminosa figura
del vescovo Zoltán. “Non si possono uccidere le anime” ha detto il porporato, ricordando
che ancora oggi molti uomini vengono uccisi per il solo fatto di essere cristiani.
“Ma i seguaci di Cristo spesso devono soffrire – ha proseguito il cardinale - anche
altre prove oltre alla violenza e all'omicidio”. Evidenziando come la Chiesa di oggi
sia esposta a maldicenze, insinuazioni, falsi storici, emarginazione dei credenti
e delle istituzioni ecclesiali, ha precisato che “il mandato dell'uomo cristiano non
è annunziare se stesso, ma Gesù Cristo”. Prendendo in rassegna le tappe della vita
del vescovo ausiliare di Esztergom, il porporato ne ha evidenziato la ricerca della
volontà di Dio e dunque l’adempimento di ogni suo dovere. Il “sì” detto giorno per
giorno che “esorta l'uomo su una strada su cui è già lo Spirito Santo a dirigere i
nostri passi”. Il cardinale Erdő ha parlato poi dell’attualità dell’insegnamento
del vescovo Zoltán, in un tempo di egoismo nel quale l’uomo cade nella trappola del
desiderio di potere e nell’odio, solo “l’amore misericordioso di Dio – ha aggiunto
- ci può salvare”. “Gli eccezionali testimoni di questo amore – ha proseguito l’arcivescovo
di Esztergom-Budapest - sono quegli uomini che sono pronti a sacrificare anche la
loro vita per amore di Dio, nella speranza della vita eterna. Pertanto la fedeltà
dei martiri è fonte di speranza per noi”. Prima della sua persecuzione, il presule
ungherese nelle sue omelie ricordava che il tempo del martirio non era finito e già
si predisponeva alla comprensione dei persecutori che definiva “uomini fanatici”.
Un agente che fece un rapporto su di lui nel 1950 ammetteva l’impossibilità di avvalersi
della sua collaborazione “perché in lui – scriveva - non c’è traccia di opportunismo”.
Una definizione che ne fa emergere la grandezza e la “disponibilità al martirio per
amore nei confronti della Chiesa”. “Se il loro scopo era spezzare la Chiesa, intimorirla
con questo tipo di persecuzione, - ha evidenziato il cardinale Erdő
- anche questo conferma il martirio. Se la loro intenzione era distruggere il vescovo,
nel tentativo di dominare sulla Chiesa, anche questo loro comportamento rafforzava
il martirio. Pertanto, questa morte non fu un incidente casuale, ma una testimonianza
assunta con spirito obbediente per la fede e per la Chiesa di Cristo”. La sua scomparsa
fu a lungo taciuta, ci vollero 12 anni prima di trasportare i resti mortali nella
Basilica di Esztergom. Il porporato, in conclusione, ha invocato il sostegno del
vescovo Zoltán perché la beatificazione sia “la grande festa della riconciliazione”,
perché le ferite del passato “mostrino la via della comprensione e della riappacificazione”.
Nel messaggio per l’occasione, l’arcivescovo Angelo
Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, rappresentante del Papa,
ha definito il presule ungherese “un testimone eroico del Vangelo di Cristo, il maestro
divino, che insegnava ad amare i persecutori e a pregare per loro”. “Il beato Zoltán
Meszlényi – ha aggiunto - ci invita a essere fedeli al Vangelo di vita e di verità.
È questo il suo messaggio oggi: vivere nella comunione, nella libertà e nella carità,
e costruire, promuovere e testimoniare una civiltà dell’amore, della vita e della
fraternità universale”.
Al microfono di Marta Vertse, incaricata
del Programma ungherese della nostra emittente, il cardinale Péter Erdő,
arcivescovo di Esztergom-Budapest, spiega il senso del martirio del nuovo Beato:
R. – Questo
martirio è un ricco messaggio perché da una parte il vescovo Meszlényi è stato un
canonista, un uomo della Chiesa che ha dato tutta la sua vita per il servizio alla
Chiesa, alla nostra arcidiocesi e alla stessa Chiesa in Ungheria. Ha insegnato il
diritto canonico, ha lavorato nella curia diocesana, era responsabile amministrativo
della diocesi in tempo di guerra, durante un periodo di estrema miseria; ha esercitato
– anche personalmente – la carità verso gli orfani: con i propri mezzi privati ha
mantenuto una casa per loro nella città di Esztergom. Era una persona che non amava
trovarsi al centro dell’attenzione, essere famoso; voleva soltanto fare il suo dovere
con umiltà e precisione. Nel momento tragico, quando il cardinale Mindszenty era già
in carcere, ed era morto anche il vicario generale della diocesi, lui ha accettato
l’elezione del capitolo ed è diventato vicario capitolare in un momento in cui il
governo stalinista aveva già minacciato direttamente il capitolo ed aveva preteso
l’elezione di un altro sacerdote che era invece il presidente del Movimento sacerdotale
per la pace, un movimento collaborazionista dell’epoca. Egli ha accettato umilmente
l’elezione per garantire il governo legittimo della diocesi e per questo 12 giorni
dopo lo hanno arrestato e trattato così duramente. Egli, quindi, ha dato la vita per
la Chiesa, per la comunione della Chiesa di Esztergom, della diocesi, con la Chiesa
universale, con la sede di Pietro. Dopo l’arresto del vescovo ausiliare, il capitolo
– sotto pressione diretta del regime – ha scelto in modo canonicamente non valido
– un vicario capitolare che era di gradimento dello Stato. Per tutta risposta, Pio
XII e l’arcivescovo Tardini pubblicarono una nomina, trovando una soluzione che oggi
sembra molto realistica: un altro vescovo, mons. Hamvas, che ricevette, parallelamente
alla propria diocesi - che ha continuato a governare – la nomina pontificia di amministratore
apostolico dell’arcidiocesi di Esztergom. Avevano quindi trovato un personaggio integro,
che era tollerato anche dal regime, ed avevano posto il governo dell’arcidiocesi nelle
sue mani, per evitare una situazione illegittima o anarchica nella vita della diocesi
e della Chiesa ungherese. Qui si vede che fino alla prassi parrocchiale quotidiana
è un elemento vitale la comunione tra la Chiesa locale e quella universale. E questa
comunione, a volte, nella storia, ha richiesto anche grandi sacrifici personali da
parte di sacerdoti, vescovi ed anche fedeli.