Afghanistan. L'avversario di Karzai, Abdullah, minaccia di boicottare il ballottaggio
Si fa sempre più delicata la situazione politica in Afghanistan, in vista del secondo
turno delle presidenziali del 7 novembre. Abdullah Abdullah - lo sfidante del presidente
uscente, Hamid Karzai - si è detto pronto a boicottare la tornata se entro stasera
non verrà azzerata la Commissione elettorale. Sul versante statunitense, consiglio
di Guerra ieri alla Casa Bianca per decidere la strategia da adottare nel Paese asiatico.
Il servizio di Marco Guerra:
Fallito qualsiasi
tentativo di creare un governo di unità nazionale, in Afghanistan è ora a rischio
il voto per il ballottaggio delle presidenziali, fissato per il prossimo 7 novembre.
Abdullah Abdullah è infatti pronto a boicottare il ritorno alle urne nel caso il cui
non dovessero essere soddisfatte alcune richieste riguardo al corretto svolgimento
delle consultazioni. In particolare, Abdullah ha chiesto a Karzai le dimissioni del
direttore della Commissione elettorale e la sospensione di tre ministri. Ma i colloqui
tra i due leader si sarebbero interrotti dopo che Karzai ha respinto le richieste
del rivale. L’eventuale boicottaggio fa tremare gli Stati Uniti, che attendono proprio
l’esito del voto per varare la nuova strategia militare per l’Afghanistan ancora allo
studio della Casa Bianca. Il ballottaggio “sarà legittimo anche in caso di boicottaggio
di Abdullah”, ha sottolineato oggi il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton. Intanto,
ieri il presidente Barak Obama ha avuto un incontro con i suoi capi di Stato maggiore,
ai quali ha chiesto di fornire diverse opzioni sull'aumento delle truppe, oltre a
quella di 44 mila uomini avanzata dal generale Stanley McChrystal, comandante delle
forze Nato e statunitensi nel Paese asiatico. Secondo la stampa americana, Obama è
alla ricerca di un compromesso fra le proposte dei consiglieri civili e militari e
potrebbe decidere l'invio di almeno 10 mila uomini. Pakistan Non
si ferma la violenza nelle aree tribali del Pakistan. Almeno sette uomini delle forze
di sicurezza di Islamabad sono stati uccisi e 11 feriti nell’attacco lanciato stamani
nel distretto di Khyber, considerato una roccaforte dei talebani pakistani.
Iran Ancora
nulla di fatto sul nucleare iraniano. Teheran ha chiesto altro tempo per riflettere
sul “progetto di accordo” dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica sull’arricchimento
di uranio all’estero. L’agenzia iraniana Irna spiega infatti che quanto comunicato
giovedì all'Aiea non è ancora la "risposta" definitiva. Lo stesso presidente Ahmadinejad
ha auspicato oggi una proseguimento delle trattative con le grandi potenze, affermando
che ciò “fa arrabbiare” Israele. La Casa Bianca - dal canto suo - ha risposto con
prudenza, spiegando di non conoscere i dettagli della posizione iraniana, ma ricordando
che la pazienza della comunità internazionale e del presidente Barack Obama non “è
illimitata”.
Medio Oriente Al via la missione del segretario di Stato
Usa, Hillary Clinton, per rilanciare il processo di pace in Medio Oriente. Questa
mattina, il capo della diplomazia statunitense ha incontrato ad Abu Dhabi il presidente
dell'Autorità nazionale palestinese (Anp), Abu Mazen, il quale ha rifiutato la proposta
americana per una ripresa dei negoziati di pace senza che ci sia il totale congelamento
delle colonie israeliane. In serata, la Clinton si sposterà in Israele per incontrare
il premier, Benyamin Netanyahu, il ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman, e quello
della Difesa, Ehud Barak. “Il fatto di essere qui, conferma la serietà con la quale
stiamo affrontando il nostro progetto per far iniziare alle parti un negoziato che
possa portare alla soluzione dei due Stati”, ha detto il segretario di Stato Usa alla
Bbc.
Somalia Non si arrestano gli assalti dei pirati nel Golfo di
Aden, davanti alle coste della Somalia. Oggi è statosequestato un vascello
yemenita, dopo un duro scontro a fuoco che avrebbe causato la morte di almeno uno
degli assalitori. Intanto, è di 7 milioni di dollari il riscatto chiesto per la liberazione
di una coppia di coniugi britannici, rapiti venerdì scorso a bordo del loro yacht
mentre viaggiavano dalle Seychelles verso la Tanzania. La comunità internazionale
ha intensificato il pattugliamento delle acque somale, dove transitano circa 20 mila
navi ogni anno. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Nicolò
Carnimeo, docente di Diritto della navigazione e dei trasporti presso la
Facoltà di Economia dell'Università degli Studi di Bari e autore del libro edito da
Longanesi, ”Nei mari dei pirati”:
R. - Quest’anno,
rispetto al 2008, c’è stato un aumento degli attacchi e dei tentativi di attacco -
questo secondo dati dell’International Maritime Bureau - del 30 per cento. Il motivo
per il quale oggi ne stiamo parlando, mentre quest’estate sembrava che il fenomeno
stesse scemando, è perché questo tipo di pirateria è legata anche a fenomeni climatici:
quando cala il monsone estivo, il mare rimane calmo per circa un mese ed è quello
il momento nel quale i pirati somali portano il maggior numero degli attacchi. Direi
che per altri 15-20 giorni si ripeteranno in maniera diffusa.
D. - La
comunità internazionale interviene: da una parte la Nato, l’Unione Europea ma non
solo, per cercare di pattugliare le acque del Golfo di Aden. E’ una strategia risolutiva? R.
- Il pattugliamento, pure se funziona nella situazione di emergenza, non può però
mai essere risolutivo. Lei pensi che lo scenario è enorme, nel Golfo di Aden: si parla
di 600 mila miglia quadrate. Oggi, a pattugliarlo, ci sono gli americani con la task
force 151, c’è la flotta Atalanta, ma abbiamo solamente 50 navi. Per pattugliarlo
tutto, efficacemente, ce ne vorrebbero 500. Poi, oggi i pirati hanno allargato ancora
di più lo scenario, e quindi dal Golfo di Aden si sono spostati più a sud, al traverso
delle Seychelles, dove oggi - anche se la stampa non lo riporta - è in corso una vera
e propria guerra, poiché francesi e spagnoli hanno cominciato a piazzare uomini armati
sui loro pescherecci. Altri episodi di pirateria si sono verificati verso il Mare
Arabico. Quindi è evidente che lo scenario è diventato molto, molto vasto. Dobbiamo
invece di fare degli accordi di cooperazione, in Somalia. D.
- Ma il governo federale di transizione in Somalia ha a che fare con una situazione
sul territorio tutt’altro che stabile… R. - Il potere, in Somalia,
è assolutamente frammentato. Ci sono tutta una serie di micro-poteri ed è in mano
- di fatto - a questi “signori della guerra”, che hanno anche la pirateria tra le
loro attività economiche illecite. Controllano entità statali come il Puntland o il
Somaliland, che sono regioni autoproclamatesi Stato ma che in realtà non lo sono:
sono regioni autonome. Quello che bisogna fare è cercare di creare accordi con le
forze sane del Paese. Mi auguro semplicemente che, soprattutto oggi, in Somalia venga
fatto rispettare l’embargo sul commercio di armi, perché è da lì che poi parte tutto. Darfur Almeno
20 persone, fra le quali sei bambini e cinque donne, hanno perso la vita negli scontri
tra tribù rivali nel nord della regione sudanese del Darfur. Lo ha reso noto il portavoce
della forza mista di pace Onu-Unione africana nel Paese, Noureddine Mezne, precisando
che i funzionari dell’Unamid si sono recati sul luogo degli scontri ed hanno incontrato
i rappresentanti delle due tribù per avviare la riconciliazione.
Italia Francesco
Rutelli lascia il Partito democratico, del quale è stato uno dei fondatori. La decisione,
maturata da tempo, è stata ufficializzata a seguito delle primarie che hanno eletto
segretario del Pd Pier Luigi Bersani . In una intervista al Corriere della Sera, Rutelli
definisce l’Udc di Casini interlocutore essenziale per il nuovo partito di centro.
Il servizio di Giampiero Guadagni:
Quali fossero
le sue intenzioni, Rutelli lo aveva scritto nel libro appena pubblicato dal significativo
titolo “La svolta”. Oggi l’annuncio definitivo: “Lascio il Pd subito, con grande dolore”.
Del Pd Rutelli è stato uno dei fondatori, avendo sciolto la Margherita di cui era
leader. Ma il Pd che sognavamo, spiega, non è mai nato. Doveva essere un partito nuovo
e invece è un ceppo del Pds; doveva riconquistare il centro della società italiana
e invece approda nel socialismo europeo. Scelte legittime ma nelle quali non mi riconosco,
aggiunge Rutelli. Che guarda ora a Casini. Lo definisce un interlocutore essenziale
con il quale unire le forze democratiche, liberali e popolari, sino a creare in alcuni
anni il primo partito italiano. Il percorso è lungo. Casini lavora alle prossime elezioni
politiche, in agenda tra tre anni e mezzo: insieme a Rutelli, afferma il leader Udc,
potremmo prendere 5 milioni di voti, vale a dire il 14%. Oggi, in un convegno a Roma,
la prima uscita pubblica comune. E comune è anche la volontà di contrapporsi a populismo
e xenofobia di destra; e a radicalismo e giustizialismo di sinistra. Con il Partito
democratico, Rutelli intende dunque collaborare ma da postazioni diverse. Fassino
esprime rammarico, convinto che nel Pd c’è spazio per le idee espresse da Rutelli.
E’ quanto gli ha inutilmente assicurato anche D’Alema in un incontro di qualche giorno
fa, nel quale i due ormai ex colleghi di partito hanno parlato anche della candidatura
alla guida della politica estera europea dello stesso D’Alema. Il quale sul punto
ieri ha manifestato gratitudine per l’appoggio annunciato dal governo Berlusconi,
ma oggi osserva: è una partita complicata che riguarda tutti i 27 Paesi membri, non
una questione che si risolva in Italia. Daghestan Nuove
violenze nel Caucaso russo. In Daghestan, quattro ribelli sono rimasti uccisi questa
mattina in uno scontro a fuoco con le forze dell’ordine. Secondo un responsabile della
polizia locale, i miliziani avrebbero aperto il fuoco contro i poliziotti dopo essere
stati fermati per un controllo dell’identità.
Filippine: quarto tifone in
un mese Nelle Filippine, sono almeno cinque i morti per il tifone Mirnae che
ha investito la provincia orientale di Quezon, nell'area metropolitana di Manila.
Oltre 100 mila persone sono state costrette ad abbandonare le loro case. Il nuovo
tifone, il quarto in poco più di un mese, si è esteso fino alla periferia della capitale,
e si muove ora verso il Vietnam. I voli internazionali da e per Manila sono bloccati,
e in molte zone della provincia le linee elettriche sono saltate a causa della caduta
di alberi e piloni. Una ricerca condotta dall’Organizzazione mondiale della sanità
(Oms) afferma che in questo mese 175 persone sono morte nella sola Manila a causa
d’infezioni ed epidemie e che circa 1,4 milioni sarebbero a rischio contagio. I danni
alle infrastrutture ammontano a 300 milioni di euro. (Panoramica internazionale
a cura di Marco Guerra) Bollettino del Radiogiornale della
Radio Vaticana Anno LIII no. 304 E' possibile ricevere
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La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.org/italiano.