Mons. Marchetto sull’immigrazione: Mediterraneo, Mare dei diritti violati
I diritti violati degli immigrati irregolari che attraversano il Mar Mediterraneo
sono al centro dell’intervento dell’arcivescovo Agostino Marchetto in occasione di
un Convegno alla Pontificia Università Gregoriana. La relazione del segretario del
Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, prevista per
questo pomeriggio, è stata anticipata alla stampa. Ce ne parla Sergio Centofanti.
Anche gli
immigrati irregolari sono persone, dunque hanno una dignità e diritti inviolabili.
Su questo principio si svolge la relazione di mons. Marchetto che parla dei controlli
sempre più rigidi nel Mar Mediterraneo per contrastare i cosiddetti viaggi della speranza.
Per i Paesi europei – afferma – questo mare è tornato ad essere “mare nostro” e avendo
“molto limitato, se non addirittura soppresso, le possibilità di entrare legalmente
nei loro territori, è rimasta, per chi vuole emigrare, la via del traffico o del contrabbando
di esseri umani”. Il presule indica le numerose Convenzioni che gli Stati sono tenuti
a rispettare: la Convenzione di Ginevra del 1951 con il relativo Protocollo del 1967,
sullo status dei rifugiati, i trattati interni sulla estradizione, transito e riammissione
di cittadini stranieri e asilo (in modo particolare la Convenzione di Dublino del
1990) e quella del 1950 sui Diritti Umani. In base ad esse “nessuno può essere trasferito,
espulso o estradato verso uno Stato dove esiste il serio pericolo che la persona sarà
condannata a morte, torturata o sottoposta ad altre forme di punizione o trattamento
degradante o disumano”. Ma queste Convenzioni vengono violate.
E’
il caso dei respingimenti in Libia dall’Italia, secondo un accordo tra questi due
Paesi, senza valutare la possibilità che vi siano “rifugiati o persone in qualche
modo vulnerabili”. In Libia – spiega mons. Marchetto - esistono centri di detenzione
e di rimpatrio dove le condizioni variano da accettabili a disumane e degradanti.
E l’accesso a questi centri è difficile per cui è arduo monitorare il rispetto in
essi dei diritti umani, tenendo poi conto che tale Paese non ha aderito alla Convenzione
di Ginevra del 1951, né al relativo Protocollo del 1967, e non riconosce l’Alto Commissariato
delle Nazioni Unite per i Rifugiati”.
E’ il caso
della deportazione dal territorio spagnolo in Marocco di decine di immigrati irregolari
“anche se molte organizzazioni”, compreso l’Alto Commissariato Onu per
i Rifugiati, “ritenevano che vi fossero tra essi richiedenti asilo”.
Mons.
Marchetto ribadisce quindi la sua condanna di chi non osserva il principio di non
respingimento “che sta alla base del trattamento da farsi a quanti fuggono da persecuzione”
e si domanda “se in tempo di pace non si riesce a far rispettare tale principio fondamentale
del diritto internazionale umanitario, come si farà a richiederne l’osservanza in
tempo di guerra”. Una domanda che “si può estendere alla questione della protezione
dei civili durante i conflitti, che viene così indebolita nella sua radice comune
umanitaria”.
“Un altro diritto violato nell’atto
di intercettare e respingere i migranti sulle coste africane del Mediterraneo – prosegue
- è quello al ‘giusto processo’, che comprende il diritto a difendersi, a essere ascoltato,
a fare appello contro una decisione amministrativa, il diritto ad ottenere una decisione
motivata, e quello di essere informati sui fatti su cui si basa la sentenza, il diritto
ad una corte indipendente ed imparziale”. E secondo mons. Marchetto le intercettazioni
violerebbero lo stesso “Codice frontiere Schengen” (n. 3), “dove si dichiara che tutte
le persone alle quali è stato negato l’ingresso al territorio avranno il diritto di
appello. Esso dovrà essere onorato secondo la legge nazionale, mentre lo straniero
riceverà per iscritto indicazioni su dove attingere informazioni per trovare persona
competente che potrebbe rappresentarlo. Orbene – spiega - le persone respinte non
hanno possibilità di esercitare questo diritto d’appello, non sono informate su dove
e come esercitare questo diritto, e ancor più, non esiste per loro nemmeno un atto
amministrativo che proibisca ad essi di proseguire nel loro viaggio di disperazione
per raggiungere acque internazionali e che disponga il ritorno al luogo di partenza
o ad un altro destino sulla costa africana”.
“Altri
diritti violati – conclude il rappresentante vaticano - sono quelli all’integrità
fisica, alla dignità umana e persino alla vita”. Mare Mediterraneo, dunque, mare dei
diritti violati.
Proprio ieri è stato presentato a Roma
il dossier statistico sull’immigrazione in Italia elaborato dalla Caritas e dalla
Fondazione Migrantes: il rapporto ha ribadito che l’immigrazione è un’importante risorsa
per il Paese. Alla presentazione c’era anche Genevieve Makeping, giornalista
e antropologa camerunense che è riuscita ad avere la cittadinanza italiana dopo 18
anni di lotte burocratiche e dopo 25 anni di residenza nella penisola. Fabio Colagrande
l’ha intervistata:
R. - E’ stata
dura, veramente dura. Intanto, perché non ho voluto scorciatoie, non ho voluto sposarmi
con un anziano italiano per avere la cittadinanza. E vi posso assicurare che le persone
che allora mi consigliavano di farlo erano persone molto per bene, persone che mi
amavano, che mi stimavano, che mi dicevano: stai soffrendo tanto, vuoi diventare giornalista,
non lo sarai mai se non sei cittadina italiana. E molte altre cose. Non ho voluto
scendere a compromessi per raggiungere e realizzare le mie ambizioni. Ci avrò messo
un po’ di anni in più però, credetemi, la soddisfazione è tanta.
D.
– Lei ha portato anche una proposta in sede di presentazione del dossier?
R.
– Sì, è una cosa che scrivevo moltissimi anni fa, è una piccola cosa. Parlavo della
visione dell’altro, oggi: un approccio che fa bene a tutti; cioè parlare e affrontare
le cose a partire da un altro punto di vista. Io l’ho chiamato il nuovo umanesimo,
cioè non dimenticare mai che quando parliamo di questi fatti, noi non stiamo parlando
degli altri: stiamo parlando di noi! E’ l’antropologia del noi, dell’uomo allo specchio.
Se accolgo lo straniero, il migrante, se faccio stare bene gli altri, in realtà faccio
stare bene me stessa. Poi c’è questa grossa bugia di rappresentare il migrante soltanto
in riferimento all’insicurezza di un Paese: non è vero! I numeri lo dicono! E’ evidente
che chi delinque deve andare in prigione: ovviamente va in prigione secondo la legge
dello Stato italiano, ma questo vale per tutti. Il migrante che delinque fa male agli
stessi migranti, oltre che a se stesso. La mia proposta è: tutti gli attori – civili,
accademici, intellettuali, politici – si siedano attorno ad un tavolo e parlino dal
punto di vista di questo nuovo umanesimo di cosa possa essere l’integrazione per l’Italia:
è l’unica opportunità che l’Italia ha oggi, perché non ci siano più persone che attraversano
il "mare nostro" e che mai arriveranno a destinazione, perché in mare moriranno. (Montaggio
a cura di Maria Brigini)