Corsa alle ricchezze dell'Africa: sfruttamento di un continente che vuole alzarsi
e camminare
“I Padri sinodali rendono grazie a Dio per le abbondanti ricche risorse naturali dell’Africa.
Ma essi affermano che i popoli d’Africa, invece di goderli come benedizione e fonte
di reale sviluppo, sono vittime di una cattiva gestione pubblica da parte delle locali
autorità e dello sfruttamento da parte di poteri stranieri”. È quanto si legge nella
Proposizione finale numero 29 del secondo Sinodo dei Vescovi per l’Africa, conclusosi
domenica scorsa. Un problema, quello delle risorse naturali, molto pressante per l’Africa:
basti pensare che, secondo studi recenti, le ricchezze minerarie del continente valgono
oltre 46 mila miliardi di dollari, pari a 13 volte il reddito annuale della Cina.
Basterebbe il 12% di questa somma per dotare l’Africa di infrastrutture a livello
europeo. Ma quali sono, nello specifico, le risorse naturali africane? Isabella
Piro lo ha chiesto al prof. Angelo Turco, docente di Geografia politica
e culturale presso l’Università dell'Aquila.
R.
– Principalmente petrolio, l’oro, il rame, pietre preziose come diamanti, minerali
che oggi hanno un valore economico e strategico decisivo per la fabbricazione di microconduttori,
microprocessori, come il coltan. E poi, ci sono le risorse naturali legate alla flora,
alle foreste, le risorse faunistiche, animali immessi nel circuito legale o clandestino
internazionale.
D. – Quali sono le cause che impediscono
all’Africa di essere autonoma, di gestire quindi materialmente tante di queste ricchezze?
R.
– Le cause sono di due tipi. Cause esterne, legate quindi alle dinamiche internazionali,
ai corsi dei mercati e quindi delle materie prime che vengono decisi nelle grandi
piazze finanziarie americane ed europee, e dinamiche politiche legate all'attenzione
e all’interesse che gli Stati manifestano per le ricchezze africane. In mezzo, tra
economia e politica, ovviamente, ci sono le multinazionali che perseguono strategie
di sfruttamento assolutamente centrate sui propri interessi e certamente non su quelli
africani. Però, vorrei ricordare con molta forza le ragioni interne: l’Africa è bloccata
economicamente perché è bloccata politicamente. I regimi africani continuano ad essere
regimi, con un contenuto antidemocratico e autoritario molto forte che impediscono
lo svolgimento delle attività economiche nella piena trasparenza delle regole giuridiche
ma anche di mercato e favoriscono filiere corruttive che sono intimamente legate all’esercizio
del potere politico e impediscono un regolare svolgimento della produzione di ricchezza,
e soprattutto della sua distribuzione.
D. – In una delle
Proposizioni finali del Sinodo si ribadisce che c’è una connessione tra lo sfruttamento
delle risorse naturali, il traffico di armi e l’insicurezza volutamente mantenuta.
Come uscire, secondo lei, da questo circolo vizioso?
R.
– Attraverso una restaurazione della politica. Il blocco dei meccanismi che assicurano
la trasparenza, la partecipazione dei cittadini, il coinvolgimento della società civile,
crea zone vastissime di ombra all’interno delle quali avviene di tutto: traffici illegali
di armi, droga, di esseri umani e soprattutto di bambini …
D.
– C’è il rischio che si verifichi una nuova corsa all’Africa?
R.
– La corsa all’Africa è già in atto, forse non è mai cessata! Oggi, dal punto di vista
dell’economia e della circolazione delle informazioni, la globalizzazione ha aperto
prospettive nuove nelle quali le pratiche di dominazione in Africa, e quindi la corsa
all’Africa, si stanno svolgendo.