Pakistan: leader cristiani e musulmani chiedono l'abrogazione della legge sulla blasfemia
Cristiani, indù, musulmani esperti di diritto, studiosi di religione e attivisti per
i diritti umani, all’unisono, manifestano preoccupazione per gli abusi perpetrati
in nome della legge sulla blasfemia in Pakistan e ne chiedono l’abrogazione. Nel Paese
- riferisce l'agenzia AsiaNews - sta emergendo un fronte popolare, il quale promette
battaglia per la cancellazione di una norma che prevede il carcere a vita o la condanna
a morte per chi profana il Corano o diffama il nome del profeta Maometto. La legge
è stata introdotta nel 1986 sotto il dittatore Zia-ul-Haq, che ne ha voluto l’applicazione
per soddisfare le rivendicazioni dell’ala fondamentalista del Paese. Negli anni è
stata utilizzata come pretesto per scatenare violenze contro le minoranze o colpire
attività economiche e proprietà altrui. Lo scorso fine settimana si sono tenuti due
incontri: il 24 ottobre a Karachi, organizzato da Resistenza popolare, movimento della
società civile che si batte per i diritti umani. Il secondo, il giorno successivo
a Rawalpindi, promosso dal Pakistan Christian Congress (Pcc). I partecipanti hanno
dichiarato che la legge sulla blasfemia è “ingiusta, incostituzionale e uno strumento
nelle mani degli estremisti per colpire le vulnerabili minoranze religiose”. Dagli
incontri del fine settimana è emerso un movimento interconfessionale che – sotto il
profilo giuridico, religioso, culturale e morale – lotta per la cancellazione della
norma. Rana Bhagwandas, giudice in pensione e ospite d’onore al seminario di Karachi,
sottolinea che la legge sulla blasfemia “è stata introdotta dal generale Zia per legittimare
la dittatura sotto il manto dell’islam”, ha creato una “cattiva immagine” della religione
ed è stata usata “per perseguitare minoranze e i musulmani stessi”. Il costituzionalista
Zain Sheikh aggiunge che le norme sono “incostituzionali e vanno abrogate”, ma è necessario
anche un “cambiamento nel modo di ragionare di quei bigotti che incitano le folle
alla violenza”. Khalid Zaheer, studioso islamico, è del parere che “secondo il Corano
una persona non può essere uccisa per blasfemia”, perché la condanna a morte è prevista
solo per “l’omicidio o l’attentato alla vita delle persone”: Lo Stato, non i singoli,
deve applicare questa legge. Gli Ulema hanno una grande responsabilità in questo senso”.
Egli auspica anche una “riduzione nelle pene”. Gli fa eco Hilda Saeed, attivista per
i diritti delle donne, che denuncia: “il Pakistan è uno dei Paesi in cui è meno rispettato
il diritto di protezione delle minoranze”. Il vescovo Jiaz Inayat Masih, presidente
del Forum interconfessionale per l’amicizia, punta il dito contro la “società”, che
ha fallito “a più livelli nella promozione dei valori della persona umana” e ricorda
che “Dio ci ha dato libertà di scelta in tema di fede”. (R.P.)