2009-10-27 16:35:44

DOSSIER FIDES: NUOVE CHIESE E NUOVI MOVIMENTI RELIGIOSI” IN AFRICA


“NUOVE CHIESE” E “NUOVI MOVIMENTI RELIGIOSI” IN AFRICA
Agenzia FIDES – 10 ottobre 2009

Prima parte: Africa Meridionale

Premesse

Terminologia

Genesi e dinamiche-tipo delle Chiese africane indipendenti

Uno sguardo alle “Nuove Chiese”

Le “Chiese nere” dell'Africa Meridionale. L'etiopismo

La Zyonistic Church

I Manyanos

Congo: il kimbanguismo

Il kimbanguismo oggi

Il caso del popolo shona

Evangelisti e pentecostali: le Nuove Chiese protagoniste

Una città tipo: Nairobi

La Watch Tower Society tra sincretismo e “ortodossia”

Il caso Scientology in Sudafrica

INTERVISTA a padre Gian Paolo Pezzi MCCJ, Direttore della Comboni Press.


Premesse

Città del Vaticano (Agenzia Fides) – Negli ultimi decenni l'Africa è stata interessata da profondi sconvolgimenti sociopolitici e da non meno rilevanti mutazioni del quadro religioso. Alla fine degli anni '80 il crollo dell'Unione Sovietica e la dissoluzione del suo impero hanno posto le premesse per una seconda liberazione, dopo quella avvenuta tra gli anni '50 e '60 con il processo di decolonizzazione dalle potenze occidentali – residuo della politica imperialista europea del XX secolo. Il continente non è più teatro di “guerre per procura”, combattute da africani ma manovrate dalle due superpotenze planetarie, tuttavia questa seconda liberazione avviene spesso all'insegna di un nazionalismo esasperato che suscita ancora oggi conflitti endemici di inaudita violenza. Parallelamente si assiste alla nuova frammentazione etnica e religiosa, con la nascita di nuove denominazioni ecclesiali, spesso di matrice fondamentalista protestante, con una forte propensione missionaria ed in aperta competizione con le Chiese storiche (cattolica, anglicana, metodista, etc.).
Negli anni '60 era opinione comune che il cristianesimo, nell'Africa una volta decolonizzata, avrebbe perso terreno fino a diventare una componente insignificante. Queste convinzioni si fondavano sul fatto che il cristianesimo era strettamente associato al colonialismo e dipendeva dal sistema scolastico (gran parte delle scuole era gestita da enti ecclesiali). Tali previsioni, però, hanno mostrato tutta la loro infondatezza e oggi è impossibile pensare all'Africa nera dissociandola dalla sua componente cristiana. Tuttavia l'aspetto più eclatante del cristianesimo africano è stato proprio l'incessante nascere di nuove chiese, un fenomeno simile a quello verificatosi in America Latina ma con una differenza: nell'Africa subsahariana la crescita delle chiese fondamentaliste si è intrecciata con quella delle chiese indipendenti, staccatesi dalle chiese storiche già a partire da fine '800-inizio '900. Conseguenza macroscopica è, oggi, la compresenza di un multiforme e spiccato pluralismo religioso, contiguo alle nuovamente attive chiese indipendenti.

Terminologia

A questo punto si rende necessaria una riflessione terminologica. Esisterà un termine unico, onnicomprensivo, che non esprima un giudizio aprioristico di valore? Si potrà parlare per tutti di "nuove religioni", o di "nuovi movimenti religiosi", o di "sette", o, come nel mondo anglosassone, di "cults"?
“In realtà – spiega all'Agenzia Fides il prof. Massimo Introvigne, direttore del CESNUR, Centro Studi sulle Nuove Religioni – il 'discernimento' richiede anzitutto una ricognizione del terreno e, per quanto possibile, dei dati statistici. L’espressione 'sette' (il cui equivalente inglese è cult, mentre sect ha un senso meno negativo) rimane di uso comune nella letteratura giornalistica. Le scienze sociali, nelle loro manifestazioni accademiche, tendono a evitarla sia perché implica spesso un giudizio di valore negativo – e le scienze sociali vorrebbero astenersi da giudizi di valore presentandosi come value-free – sia, soprattutto, perché l’estrema complessità delle situazioni concrete ha reso l’espressione “setta” (cult) non più univoca”.
Occorre dunque distinguere tra un criterio dottrinale ed uno puramente analitico. Se il nostro approccio è dottrinale, e consideriamo le denominazioni di origine cristiana, possiamo distinguere con un certo rigore le "sette" (come i Testimoni di Geova o i Mormoni), che ammettono fonti di rivelazione diverse dalla Bibbia e si allontanano dalla dottrina essenziale del cristianesimo (per esempio sul dogma trinitario o sulla divinità di Cristo) da altre comunità o movimenti cristiani come i pentecostali o gruppi fondamentalisti evangelici. Questo per ciò che riguarda i movimenti di matrice cristiana. Ma se ci riferiamo ad associazioni religiose derivate da altre religioni è meno opportuno parlare di "sette" e più appropriato indicarle secondo la propria affiliazione, parlando ad esempio di movimenti buddisti o neo-buddisti, induisti o neo-induisti, sincretisti, esoterici, etc.
In ambito cristiano, la frammentazione e le sovrapposizioni storiche portano a distinguere in linea di massima due tipi di chiese iniziate o “sette” (termine, come si è detto, poco usato in ambito scientifico ma qui riproposto per comodità e anche perché frequente nel linguaggio pastorale): chiese africane indipendenti (African Independent Church) e Nuove Chiese.

Le Chiese Africane Indipendenti (chiamate in passato anche “movimenti profetici africani”, “movimenti religiosi africani” e oggi African Initiated Churches) sono denominazioni staccatesi – alcune già alla fine del secolo scorso – dalle chiese classiche, creandosi uno spazio nel quale poter coniugare il messaggio del Vangelo e la loro specifica identità religioso-culturale. Si valuta che nell'Africa subsahariana esistano 10.000 movimenti religiosi fondati da africani, che contano in totale alcune decine di milioni di aderenti. Nella Repubblica del Sudafrica esistono almeno 5.000 "African Instituted Churches" (Chiese africane istituzionali). Nell'Africa occidentale, queste comunità si sono sviluppate soprattutto in Liberia, Nigeria, Ghana, Costa d'Avorio, Benin; nell'Africa orientale, in Kenia; nell'Africa centrale il primato è detenuto dalla Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire).
Questi movimenti religiosi sono chiamati "chiese" nel senso di comunità di persone che professano lo stesso credo, ma esiste una grande diversità rispetto alla fede cristiana. Alcune si ispirano all'ebraismo, altre mescolano contenuti della fede cristiana con elementi tradizionali, altre ancora sono essenzialmente nuove espressioni della religione tradizionale, con elementi superficiali presi in prestito dalle Chiese cristiane.
“Le Chiese africane indipendenti – spiega all'Agenzia Fides il prof. Introvigne – costituiscono un aspetto fra i più importanti del panorama religioso del continente. L’atteggiamento delle Chiese e comunità cristiane storiche oscilla fra una diffidenza nei confronti di aspetti irriducibili alla tradizione cristiana maggioritaria, e il desiderio di aprire spazi di dialogo. In questa seconda chiave va letta l’accoglienza di alcune Chiese iniziate da africani nel Consiglio Mondiale delle Chiese di Ginevra (WCC), un fenomeno dove si manifesta peraltro anche la prima tendenza – più diffidente –, in quanto l’affiliazione al WCC passa per una ridefinizione della teologia con l’accantonamento degli elementi più evidentemente sincretistici. Quando questi riemergono, la partecipazione alle attività del WCC comincia a porre difficoltà. Sono elementi che sopravvivono peraltro – al di fuori delle definizioni teologiche 'ufficiali' – nella religiosità popolare. È questo il caso della Chiesa di Gesù Cristo sulla Terra fondata dal profeta Simon Kimbangu. Del resto vicende simili hanno interessato anche altre Chiese iniziate da Africani”. Si tratta infatti di un fenomeno tipicamente africano ma oggi presente ovunque vi siano emigrati africani, in particolare in Europa (con presenze significative in Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia) e negli Stati Uniti.
“In ogni caso – aggiunge Introvigne – le Chiese iniziate da Africani, spesso accomunate da quella aggressività anticattolica e quella mimetizzazione nell’abbigliamento (abiti clericali, insegne episcopali, paramenti liturgici), sono un fenomeno da grandi numeri, sebbene difficile da quantificare. Proprio in occasione della redazione di questa nota per l'Agenzia Fides – continua – ho lanciato sulla lista di discussione elettronica NRM di cui faccio parte e cui partecipano i maggiori specialisti mondiali di nuovi movimenti religiosi, un dibattito relativo al numero dei fedeli delle African Initiated Churches. Quanto più i partecipanti hanno già avuto occasione di studiare il problema, tanto più hanno dichiarato che nessuna statistica è affidabile. Un’eminente specialista come Rosalind Hackett ha commentato con sottile ironia che una possibile definizione di 'Chiese iniziate da Africani' è 'comunità sulle quali non si dispone di statistiche certe'. Il numero di centoventi milioni di membri citato da Barrett nelle sue pubblicazioni è ritenuto almeno un buon punto di partenza. Ma, come accennato precedentemente, non si potrebbe sostenere che ci sono in Africa centoventi milioni di membri delle 'Chiese iniziate da Africani' più cento milioni di pentecostali, perché alcune comunità sono probabilmente incluse in entrambi i calcoli, trattandosi di forme ibride di difficile classificazione”.

La definizione di Nuove Chiese include invece con una certa approssimazione varie denominazioni di matrice fondamentalista, evangelista e pentecostale, in contrapposizione alle chiese classiche o storiche. Facendo leva sulla miseria e sull'ignoranza e approfittando della connivenza delle élites politiche, i "Faith Movements", in gran parte esportati e finanziati dalla destra religiosa americana, propugnano un fideismo asettico o, al contrario, dottrine di carattere materialista e strettamente connesse con l'etica del capitalismo americano.
Si tratta di “comunità cristiane pentecostali che fanno parte della cosiddetta 'quarta ondata' del pentecostalismo, nata in gran parte in Africa e in Asia e fieramente indipendente rispetto a qualunque forma di organizzazione che vada al di là della denominazione specifica. Benché con caratteristiche proprie – continua il prof. Introvigne – quando le si esamina nella loro teologia queste comunità (la più grande delle quali in Africa è la Deeper Life Bible Church) si rivelano come parte integrante del mondo pentecostale”.
Con qualche generalizzazione è possibile accostare a questo filone, quei gruppi che non sono legati a movimenti storico-teologici chiaramente riconoscibili (cattolicesimo, protestantesimo, islam, ebraismo, religioni orientali, religioni tradizionali africane, etc.) ma derivano dall'opera di leader carismatici non africani. Impiantatesi nel continente, tali denominazioni svolgono le attività più diverse: dal puro e semplice proselitismo alle opere assistenziali. “Come esempi – prosegue il prof. Introvigne – possono essere citati i Testimoni di Geova e Mormoni (nati in ambito cristiano), i Baha’i (nati in ambito musulmano) e i nuovi movimenti religiosi come la Chiesa dell’Unificazione fondata dal predicatore coreano Sun Myung Moon (popolarmente nota come movimento Hare Krishna) e la Chiesa di Scientology”.

Esternamente all'ambito cristiano sono da menzionare i movimenti esoterici. In molti paesi africani, soprattutto nelle grandi città e tra le persone più colte, si assiste all'espansione della New Age, promossa da piccoli o grandi gruppi, più o meno segreti. Benché la New Age appaia come un prodotto tipico della società capitalista occidentale, essa esercita oggi un forte potere di seduzione sull'élite intellettuale africana nello Zaire, in Cameroun, in Kenia e in Nigeria. In generale l'esoterismo ha la caratteristica di presentarsi pubblicamente sotto le espressioni dei valori universali, riservando agli iniziati gli aspetti più occulti, che portano ad un rovesciamento della morale, della religione, delle regole della convivenza sociale (per esempio Rosacroce, Ekankar, Graal, Templari, Mahikari). Non mancano correnti sataniste che riescono ad attrarre studenti, liberi professionisti e politici.  Infine vanno almeno ricordate le confraternite musulmane nate in Africa, antiche e recenti – talora ai limiti dell’ortodossia islamica –, e i numerosi movimenti fondati da africani che pensano di avere remote radici etniche ebraiche e chiedono alle autorità ebraiche di essere riconosciuti come “ebrei neri” (black Jews): se ne troverà una trattazione piuttosto completa e aggiornata nel recente studio di Edith Bruder, The Black Jews of Africa. History, Religion, Identity.

Genesi e dinamiche-tipo delle Chiese africane indipendenti

Le chiese indipendenti o movimenti profetici africani nascono in circostanze particolari e variabili, ma hanno spesso in comune l'opera fondativa di un leader, il più delle volte un ex missionario staccatosi dalle chiese protestanti classiche, o un suo seguace africano. I leader/profeti manifestano delle visioni o trasmettono appelli divini, di cui essi si considerano depositari ed esecutori allo scopo di condurre alla salvezza gli iniziati. Da questo punto di vista è possibile considerare tali gruppi come l'iniziativa di un leader che cerca di liberare il suo popolo da una condizione di disagio (sia esso psicologico, culturale, sociale, politico o economico). Il leader si fa anche carico di un messaggio propriamente religioso e rivela una nuova concezione della vita e del mondo, da cui discende un progetto di liberazione che si configura spesso come una reazione alla natura globale dei rapporti sociali e, collateralmente, ad un'azione missionaria inadatta e fallita. Per tale motivo risulta sempre necessario considerare il contesto storico e sociale della formazione religiosa.
Il punto di partenza del profetismo si situa nel contesto coloniale, laddove l'istanza religiosa, a volte non disgiunta da quella politica, ha avuto un impatto considerevole sulle strutture ideali e materiali della società africana. È per questo che i profetismi hanno svolto anche una funzione “controculturale” e di protesta e sono apparsi ad alcuni come dei veri movimenti di reazione sociale. Tuttavia non vanno dimenticate le dinamiche eminentemente etnico-religiose, spesso alla base del successo o dell'insuccesso di una predicazione.
Una manifestazione tipica dello status religioso esercitato dai profeti/stregoni, la si osserva sul terreno terapeutico, non solo con la funzione di colmare il vuoto di assistenza sanitaria (sterilità, gravidanze difficili), ma anche di fornire risposte immediate a professionisti e fasce di popolazione urbana (turbe mentali, ossessioni, insicurezza, isolamento, relazioni sociali e successo professionali). Il leader opera inoltre un sincretismo religioso facendo leva sulla mancata integrazione della predicazione missionaria nel contesto africano e fondendo elementi apparentemente contraddittori del cristianesimo e delle religioni tradizionali. Sovente, Cristo continua ad essere considerato Salvatore e Messia, ma – come nel caso del Kitawala e del Kimbanguismo – è inserito in un sistema di rivalsa politica, che rivaluta il monoteismo biblico ed in particolare l'immagine veterotestamentaria del Dio salvatore dalle catene della prigionia. Il profeta assume i tratti di un nuovo Mosè che guida il suo popolo in una nuova terra promessa, denominata in molti modi: “Sion”, “Nuova Gerusalemme”, “Città Santa”, etc.
Sul piano organizzativo i movimenti messianici si presentano come gruppi basati sull'adesione volontaria dei membri e progressivamente federati in unità più vaste che oltrepassano le strutture tribali e territoriali e volte i confini nazionali.
A differenza di gruppi come i Mormoni o i Testimoni di Geova, le African initiated churches “non sono un prodotto d’importazione ma sono nate in Africa. Anche se alcune si sono avvicinate al pentecostalismo – spiega il prof. Massimo Introvigne – esse non sono nate in genere nell’ambito del movimento pentecostale e la loro teologia presenta elementi così originali da far dubitare che le si possa includere nel protestantesimo. Alcuni parlano al proposito di 'corrente sincretista', ma questa espressione deve essere precisata. La nozione di sincretismo è oggi al centro di un vasto dibattito. La sua stessa definizione non è univoca. Nello studio dei movimenti religiosi di origine cristiana, si riconosce in genere una corrente sincretista nei gruppi nati nel Terzo Mondo (Africa, Asia) ovvero presso gruppi che dal Terzo Mondo si sono trasferiti verso altre zone per emigrazione o per schiavitù. Presso queste comunità, l’incontro con il messaggio cristiano ha prodotto tre tipi di reazione. La prima è la conversione, con l’assimilazione all’interno di grandi Chiese e comunità protestanti storiche (cattolici, anglicani) ovvero con la nascita di denominazioni nuove, radicate nello specifico contesto culturale ma dottrinalmente omogenee alle grandi Chiese. La seconda reazione è il 'nativismo', che porta – in polemica con il cristianesimo – alla rinascita della religiosità tradizionale locale. La terza è, appunto, il sincretismo, con il sorgere di movimenti religiosi che mettono insieme elementi del cristianesimo e delle tradizioni locali pre-cristiane”.
Nella storia delle Chiese iniziate da Africani non sono mancate derive nichilistiche dai risultati agghiaccianti, come la nota tragedia di Kanungu, un villaggio dell'Uganda presso Kampala dove, il 17 marzo 2000, circa 500 persone si sono date fuoco volontariamente in un edificio di culto. I fedeli, in maggioranza donne e bambini, appartenevano al movimento per la Restaurazione dei Dieci Comandamenti di Dio, una setta fondata dieci anni prima da una ex prostituta, Credonia Mwerinde, che asseriva di aver avuto diverse visioni della Madonna.
Mentre la maggioranza delle Chiese iniziate da Africani è stata fondata da ex-protestanti, “la Restoration of the Ten Commandments of God – nota il prof. Introvigne – era nata in ambito cattolico, benché i suoi promotori, fra cui due sacerdoti, fossero stati condannati dal vescovo locale. Convinti dell’imminenza della fine del mondo collegata all’anno 2000, i leader hanno organizzato uno dei più tragici suicidi-omicidi di massa della storia religiosa contemporanea. Naturalmente, fenomeni simili si erano verificati anche negli Stati Uniti e in Europa, e non si tratta dunque di una peculiarità delle 'sette' africane. La combinazione di attese apocalittiche e isolamento di un gruppo dal mondo circostante è talora distruttiva, non solo in Africa”.

Uno sguardo alle “Nuove Chiese”

Per quanto riguarda le chiese che derivano dall’innovazione religiosa dei loro fondatori (non africani), “il fenomeno della globalizzazione – commenta per l'Agenzia Fides il prof. Introvigne – fa sì che siano tutte presenti anche nel continente africano. Per esempio, lo Zimbabwe negli anni 1987-1988, divenne un centro importante per la Chiesa dell’Unificazione perché un membro locale di questo movimento affermava, con il temporaneo sostegno dei dirigenti, che nel suo corpo aveva preso dimora lo spirito di Heun Jing Nim Moon (1966-1984), il figlio secondogenito e prediletto del fondatore morto in un incidente stradale (in seguito, il comportamento violento e incontrollabile di questo Black Heun Jing Nim portò il reverendo Moon a ritirargli il suo sostegno). Anche gruppi di tipo esoterico e magico occidentali – per esempio l’Ordine della Rosacroce AMORC – hanno ottenuto un certo successo, soprattutto nei Paesi dove tra le élite si era diffusa l’affiliazione alla Massoneria”.
Sempre nel gruppo di movimenti non nati in Africa possiamo collocare i Baha’i, “un movimento – spiega lo studioso – nato nell’ambito dell’islam ma oggi chiaramente identificato come non musulmano, che conta in Africa circa un milione e ottocentomila aderenti. Non vanno poi dimenticati i Mormoni: circa 265.000, con tre templi – edifici sacri particolarmente rilevanti per il loro credo e dove possono entrare soltanto i membri – ad Aba (Nigeria), Accra (Ghana) e Johannesburg (Sudafrica). Dal punto di vista amministrativo la Chiesa Mormone (Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni) come risulta dal suo 2009 Church Almanac ha eretto in Africa 47 'pali' (stakes), equivalenti a diocesi cattoliche, con circa 470 congregazioni”.
Diverso è il discorso sulle comunità pentecostali indipendenti, talora anch’esse chiamate nell’uso giornalistico e pastorale “sette” ma che secondo molti specialisti dovrebbero piuttosto essere riconosciute come una forma originale del continuum storico del protestantesimo. “In Africa – spiega Introvigne – le comunità indipendenti sono presenti accanto alle branche delle maggiori denominazioni pentecostali internazionali (Assemblee di Dio, International Church of the Foursquare Gospel, Church of God), le quali tuttavia in alcuni Paesi assumono caratteristiche di semi-indipendenza (così le Assemblee di Dio in vari Paesi, in particolare nello Zimbabwe). Gli esperti di statistiche pentecostali ammettono che c’è grande confusione nel dato pentecostale africano, costituito in buona parte da una miriade di piccole e medie comunità che non tengono alcuna statistica. Sia la seconda edizione di The New International Dictionary of Pentecostal and Charismatic Movements del 2002, sia le autorevoli pubblicazioni statistiche di David B. Barrett, pensano che il numero di pentecostali africani si aggiri intorno ai cento milioni. Tuttavia questa cifra non va sommata ma in parte si sovrappone a quella delle 'Chiese iniziate da Africani' – dal momento che alcune di queste ultime sono considerate da queste fonti parte del movimento pentecostale – e comprende anche membri di comunità 'non denominazionali' e 'interdenominazionali' che possono talora considerarsi cattolici o fedeli di comunità protestanti storiche”.

Escludendo la parte settentrionale del continente nell'orbita islamica – dove praticamente non esistono movimenti profetici propriamente africani – è possibile ripartire due aree fondamentali di studio: l'Africa Meridionale (dalla Repubblica Democratica del Congo al Sudafrica) e l'Africa Centrale e Occidentale. Questo Dossier si occuperà dunque di ripercorrere i principali sviluppi storici dei cults africani così come categorizzati terminologicamente. Un secondo Dossier, oltre a tracciare un quadro corrispondente per i restanti paesi subsahariani, illustrerà le esperienze sul campo della Chiesa cattolica e presenterà inoltre una sintesi del Magistero maturato negli ultimi anni, così come documentato dai documenti ufficiali (Pontificia Commissione Biblica e Sinodo dei Vescovi) e dai pronunciamenti pontifici. Entrambi i Dossier si avvalgono delle note del prof. Massimo Introvigne, Direttore del Centro Studi sulle Nuove Religioni, e delle testimonianze di diversi missionari da anni impegnati nel dialogo con le Chiese Indipendenti Africane.

Le “Chiese nere” dell'Africa Meridionale. L'etiopismo

Per moltitudini di neri d'Africa e d'America, l'Etiopia ha rappresentato l'impero africano di millenaria indipendenza, una terra di riscossa e di vittoria contro il colonialismo e contro il dominatore bianco. Il Sudafrica è il paese dove il mito dell'Etiopia ha avuto maggiore influenza, dando vita ad un gran numero di sette religiose.
La prima chiesa indipendente nel Sudafrica fu fondata nel 1892 dal pastore protestante Mangena M. Mokone. Egli si distaccò dalla setta protestante wesleyana di cui faceva parte e costituì nel Witwatersrand, con la partecipazione di numerosi membri indigeni, la Chiesa Etiopica, denominazione che spiegava bene l'ispirazione nazionalistica ed antieuropea che poi si estese ad altre chiese di questo genere. Mokone diede un grande rilievo ad alcuni versetti biblici che si riferiscono all'Etiopia, coniò il motto “L'Africa agli Africani” e preconizzò l'avvento di un cristianesimo nero indipendente da quello europeo.   Nel 1896 entrò nella Chiesa Etiopica il pastore James M. Dwane, che aveva da poco lasciato la missione wesleyana e divenne in breve il capo della nuova setta. I ministri etiopisti si riunirono a congresso a Pretoria nel 1896 e decisero di aggregare la loro chiesa a quella Episcopale Metodista Africana, fondata nel 1816 a Filadelfia dal predicatore nero Richard Allen, distaccatosi dalla chiesa metodista ufficiale a motivo della segregazione nei luoghi di culto. A quell'epoca la Chiesa Episcopale Metodista Africana contava negli Stati Uniti circa 800 mila membri e aveva un'efficiente organizzazione, stazioni missionarie in Liberia da 1820 e una rivista, La Voce delle Missioni, che veniva letta anche nel Sudafrica. Dwane fu scelto dai delegati per recarsi in America quale rappresentante della Chiesa Etiopica, che venne così incorporata in quella metodista africana, di cui il pastore diventò Sovrintendente Generale per il Sudafrica. Tornato nel paese, Dwane ottenne dal governo del Transvaal il riconoscimento della setta e presentò una domanda a Cecil Rhodes affinché lo autorizzasse ad estendere la propria predicazione alla Rhodesia e al Mozambico. Progettò inoltre di raccogliere fondi da inviare all'imperatore etiopico Menelik per poter stabilire delle missioni nel Sudan e in Egitto.
Lo sviluppo della setta capeggiata da Dwane e la resistenza dell'Etiopia dall'occupazione italiana suscitarono l'entusiasmo di altri gruppi, come la Chiesa Battista Negro-americana. Quest'ultima volle richiamarsi all'Etiopia chiamando i suoi membri ama-kushi, cioè cusciti, discendenti di Cush (biblicamente l'Etiopia è il paese di Cush, figlio di Cam).
La guerra anglo-boera rallentò l'espansione della Chiesa Etiopica. Dopo il 1900 si verificò una spaccatura all'interno: Dwane si affiliò a dignitari anglicani del Sudafrica mentre la maggior parte dei membri preferì mantenere i rapporti con con la Chiesa Episcopale Metodista Africana. Questa inviò nel paese il vescovo L. J. Coppin, che diede avvio ad un'intensa opera educativa, ancora in atto, fondando presso Johannesburg l'Istituto Wilbeforce per la formazione di insegnanti e teologi e offrendo a centinaia di giovani nativi la possibilità di compiere i propri studi negli Stati Uniti.
Altre scissioni si verificarono pochi anni dopo. L'accesa polemica nazionalistica e xenofoba dei più intransigenti etiopisti fu diretta, oltre che contro i missionari europei, anche contro quelli negro-americani, gli uni e gli altri accusati di agire in nome di interessi estranei agli africani. S. J. Brander, seguace di Mokone ed uno degli etiopisti più influenti, si fece portavoce delle rivendicazioni autonomiste e nel 1904 ruppe con la Chiesa Episcopale Metodista Africana, fondando la Chiesa Cattolica Etiopica di Sion. Altri pastori e gruppi di fedeli si staccarono in seguito dalla confessione negro-americana e diedero origine a nuove sette. Oggi la Chiesa Episcopale Metodista Africana ha perso il controllo sulle masse etiopiste ed è nel Sudafrica una denominazione fra le tante.
Le sette etiopiste si moltiplicarono in occasione della guerra italo-abissina del 1935 e vennero introdotte fantomatiche e surreali alleanze con la Chiesa copta. Le chiese indigene fondate in Sudafrica nel periodo della guerra e immediatamente dopo hanno denominazioni come queste: Chiesa Cattolica Copta di Melchisedec, Chiesa Copta Ortodossa Etiopica dell'Abissinia, Chiesa di Dio della Stella d'Etiopia, Chiesa Battista Abissina.
I movimenti etiopisti non furono visti di buon occhio dalle autorità politiche. Un funzionario della Colonia del Capo dichiarò che l'etiopismo era “un movimento politico e sociale, e nient'affatto religioso”. Nella Colonia del Natal, dove la comunità temeva la propaganda etiopista come fonte di disordini e di sommosse, le autorità adottarono una politica repressiva sin dai primi anni del '900, conseguenza della rivolta zulu. La politica dell'intolleranza provocò un tragico incidente il 24 maggio 1921, quando a Bullhoek trovarono la morte Enoch Mgijima, “Vescovo, Profeta e Sentinella” e 117 dei suoi seguaci.
Mgijima era stato scomunicato da una setta etiopista, la Chiesa di Dio e dei Santi di Cristo, perché predicava di aver avuto delle visioni profetiche da quando era apparsa una cometa nel 1910. In una di queste visioni egli avrebbe assistito alla battaglia fra due governi bianchi, interrotta da uno scimmione che avrebbe distrutto i due contendenti. Secondo l'interpretazione dello stesso Mgijima, i due governi erano quello britannico e quello boero, mentre lo scimmione rappresentava gli africani, che avrebbero avuto la meglio su entrambi. Enoch Mgijima costituì quindi una propria setta, denominata degli Israeliti. Seconda la nuova credenza, che aveva punti di contatto con la corrente sionista, gli africani erano il popolo eletto e presto Geova li avrebbe liberati dall'oppressione bianca. Gli israeliti eressero a Bullhoek, senza autorizzazione governativa, un villaggio di trecento capanne. Le autorità ne disposero diverse volte lo sgombero, fino ad inviare un reparto dell'esercito che aprì il fuoco contro gli affiliati, ai quali il profeta aveva garantito che le pallottole dei soldati si sarebbero miracolosamente trasformate in acqua.
Gli etiopisti si sono allontanati dalla chiesa madre soprattutto per motivi di razza e ancora oggi sono rimasti fortemente animati da sentimenti di orgoglio e di rivalsa razziale. Tuttavia la loro organizzazione, i loro riti, preghiere, canti e sermoni, rifuggono dal sincretismo con il paganesimo tradizionale e sono assai simili a quelli delle chiese protestanti europee. Presso molte sette etiopiste si nota anzi una conoscenza della Bibbia superiore a quella media presso i membri delle missioni protestanti. Marginale, se si eccettuano figure come Timothy Cekwane (che fondò la setta del sangue) e lo stesso Enoch Mgijima, è il ruolo del profetismo, a contrario di quanto avviene nella corrente sionista.

La Zyonist Church

Sotto la denominazione di “zionismo” (o anche “sionismo”) possono essere collocate almeno cinquecento sette religiose dell'Africa meridionale. Il zionismo originario proviene dagli Stati Uniti dove, nell'Illinois, J. Alexander Dowie e W. G. Voliva fondarono nel 1806 la Christian Catholic Apostolic Church in Zion ed un centro chiamato Zion City. Nel 1908 il zionismo fu esportato in Sudafrica dalla “sorella” Verna Barnard e da altri missionari e cominciò così a diffondersi fra gli indigeni, assumendo ben presto nuovi connotati. In generale, le sette definite sioniste non si sono ispirate al mito dell'Etiopia ma a quello della Terra Promessa ebraica, la Palestina. Esse hanno eretto a simboli salvifici il monte Sion e Gerusalemme, o altri monti sacri e città in cui si possano ravvisare i luoghi della Bibbia. I membri rivivono le stesse vicende narrate nella Sacra Scrittura, hanno profeti che, come Mosè, li condurranno dalla cattività nella terra di Canaan.
Il sionismo conferisce un ruolo di primo piano alle pratiche divinatorie, taumaturgiche, esorcistiche, agli interventi visibili di angeli e di Dio stesso. I riti lustrali si amalgamano con culti pagani e protestanti e contemplano la confessione pubblica dei peccati. Dalle religioni tradizionali entrano nel rituale sionista anche manifestazioni come l'isterismo collettivo, le crisi di possessione, i sacrifici, le danze sacre, i tabù. Un largo campo rimane aperto alle invenzioni individuali e in particolare all'iniziativa dei singoli profeti.
Tra questi il più famoso rimane Isaiah Shembe, nato nel 1870 nel Natal, in Sudafrica. Shembe praticava da giovane le costumanze pagane ereditate dai suoi avi Zulu ed era sposato con quattro mogli. Una serie di visioni lo costrinse a ripudiare le mogli e convertirsi al cristianesimo. Quindi, vestito di nero, cominciò a peregrinare nel Natal, operando guarigioni ed esorcismi. Il suo potere sulle masse gli fu invidiato da molti capi locali.
Nel 1906 Shembe fu battezzato da un pastore della Chiesa Battista Indigena Anglicana. Più tardi, nominato ministro, cominciò egli stesso a battezzare in una spiaggia di Durban e all'apice dell'influenza ruppe con i battisti anglicani e fondò una propria chiesa, denominata ama-Nazaretha, cioè dei Nazariti. Pochi anni dopo fece erigere ad alcuni chilometri da Durban un villaggio che chiamò Ekuphakameni (“Luogo Eccelso”), ebbe ulteriori visioni e unse i suoi seguaci bantu. Morto nel 1935 e sepolto in un mausoleo di Ekuphakameni, Isaiah Shembe è considerato dai nazariti molto di più che un semplice profeta ma un messia, un “Cristo nero” che ha collaborato con Dio alla creazione del mondo.
Il segreto del suo successo è da rintracciare nel significato sincretistico, innovatore e conservatore insieme, della sua predicazione. Shembe rimise in vigore, in un ambiente cristiano, antichi riti e costumi tradizionali da tempo abbandonati ma ancora capaci di essere profondamente sentiti dalla gente. Fra questi: la celebrazione pagana delle primizie dell'annata secondo un rito cristianizzato; la circoncisione; la danza sacra; gli abiti tradizionali; il rito lustrale della lavanda dei piedi, di ispirazione cristiana; la poligamia; il rifiuto delle medicine, principio ancora oggi suggerito da alcuni pastori.
Come avviene presso molti altri gruppi sionisti, i nazariti non bevono alcolici, non mangiano carne di maiale ed entrano scalzi nelle loro chiese. La più importante celebrazione annuale è il pellegrinaggio alla sacra montagna di Nhlangakazi. La festa dura due settimane, è strettamente riservata ai membri della setta e comprende la lavanda dei piedi, esibizioni di veggenti e guaritori, sacrifici, preghiere, danze sacre, canti, processioni. Mazzi di fiori dagli intensi profumi vengono bruciati sul luogo delle cerimonie e inebriano gli astanti.
Nell'ambito del sionismo altri profeti sudafricani degni di menzione sono George Khambule, Paulo Nzuza, John Masowe.
Khambule tenne un minuzioso diario delle sue visioni tra il 1925 e il 1928. Fu avversato dalle autorità amministrative e dai capi indigeni e dovette errare fino alla sua morte tra il Natal e il Rand.
Nzuza fu un capo di tipo tradizionale, politico oltre che religioso, che nel 1917 guidò i suoi fedeli in una località del Sudafrica chiamata Mbozane e lì, secondo gli affiliati, discese su Nzuza e su tutta la comunità lo Spirito Santo. Il profeta morì nel 1959 lasciando ai suoi seguaci l'avvertimento: “Io tornerò per uccidere coloro che danneggeranno gli interessi della Chiesa dello Spirito Santo”.
Di razza shona, Masowe visse la prima parte della vita nella Rhodesia meridionale con il nome di Shoniwa. Secondo la leggenda egli morì per una misteriosa malattia ma, tornato in vita, raccontò che era stato al cospetto di Dio. Si ritirò quindi in meditazione e assunse il nuovo nome di Johannes Masowe, proclamando di essere la reincarnazione di Giovanni il Battista. Attrasse al suo movimento molte tribù shona e dei loro nemici matabele, cosa che fu considerata con stupore dagli indigeni ed assicurò a Masowe l'appellativo di “Messia degli shona e dei matabele”. Nel 1943 migrò con i suoi fedeli nel Sudafrica e riuscì dopo varie dispute a far riconoscere la chiesa dal governo come società commerciale (Apostolic Sabbath Church Furniture Factory Pty. Ltd.).

“In Sudafrica – spiega all'Agenzia Fides padre Ettore Viada IMC, per 30 anni missionario a Durban – la Zyonist Church è la prima comunità religiosa del paese, con milioni di seguaci. Ogni anno, in una località chiamata Moria, avviene un evento di proporzioni gigantesche che coinvolge centinaia di migliaia di pellegrini e 'neofiti' a cui viene somministrato il battesimo sulle rive dei fiumi. I sionisti in genere non creano problemi alle autorità pubbliche e intrattengono rapporti pacifici con i cristiani (cattolici, anglicani, metodisti), anche perché la loro affiliazione religiosa prescinde da una conoscenza approfondita della teologia e della Bibbia ed è piuttosto una reazione alle note vicende dell'apartheid. Una forma, dunque, di nazionalismo semi-religioso che trova accoglienza in una 'setta' come quella sionista, caratterizzata da sincretismi, concetti dottrinali di facile presa e liturgie che lasciano spazio all'istintività e all'iniziativa individuale. I seguaci – continua il missionario – indossano uniformi sgargianti (un mantello azzurro ed una tunica bianca con molti distintivi), hanno pochissimi luoghi di culto per via degli scarsi mezzi finanziari ed un'organizzazione limitata, ma ciò nonostante riescono a fare proseliti presso larghi strati di popolazione. Come missionari cattolici, ci sentiamo chiamati a testimoniare la nostra fede con le opere educative e assistenziali (in particolare il contrasto all'HIV che in Sudafrica è una vera piaga sociale). Questo impegno dà i suoi frutti e non mancano le conversioni dei sionisti che, nella maturità e dopo un percorso di discernimento, decidono di abbracciare la fede cattolica”.   I Manyanos

I manyanos, cioè le associazioni protestanti delle donne bantu, possono essere considerate delle sette all'interno di sette. La parola manyano proviene dalla linga xosa e significa “unione”. È l'espressione usata più di frequente dalle tribù e dalle sette sudafricane, anche se esistono altri termini indigeni per designare le organizzazioni religiose femminili.
Quello dei manyanos è un mondo che le donne nere del Sudafrica si sono costruite su misura, a volte in netta contrapposizione con il mondo dei bianchi. Le uniformi, la rigida organizzazione, le minuziose regole interne, il mistero da cui sono avvolti alcuni riti, a cui nessun bianco ha mai potuto assistere, rendono i manyanos assai simili a società segrete. In alcuni manyanos, anche nei sobborghi indigeni di moderne città, l'originaria ispirazione cristiana si è rarefatta ed ha ceduto il posto ad una reviviscenza di pratiche pagane come sacrifici di capre e montoni.
I manyanos sono in genere diretti e amministrati dalle consorti dei pastori protestanti. Esse hanno l'autorità “di predicare il Vangelo di Gesù Cristo, di pregare per l'infermo, di seppellire il defunto, di consacrare il fanciullo, di amministrare il Cibo del Signore, di battezzare, di celebrare i matrimoni”. La più importante pratica di carattere sociale dei manyanos è la visita delle donne malate. Nessun uomo può entrare a far parte del gruppo o avere su di esso la minima influenza. La presenza del missionario protestante alle riunioni del circolo non è gradita. Le chiese sioniste sono quelle in cui le donne bantu possono vantare la massima influenza e la massima autonomia, oltre ad una preponderanza numerica rispetto agli uomini. Del tipo sionista è la Holy Apostle Mission Church of South Africa, l'unica denominazione cristiana del Sudafrica ad avere un circolo diretto da una donna.
Nei loro circoli religiosi le donne bantu dimostrano notevoli capacità organizzative. I manyanos promuovono frequenti collette, allo scopo di presentare doni al pastore, o per contribuire alla costruzione di chiese, scuole, ospedali, o altre iniziative. Un'organizzazione assai diffusa, quella dei Veri Templari, stabilisce rapporti di collaborazione fra i vari manyanos e le varie chiese protestanti. Quasi tutti i circoli sono riservati alle donne adulte ma ve ne sono anche aperti alle ragazze, soggetti a manyanos di anziane. Sono di solito escluse dai sodalizi le madri nubili e le divorziate. Ogni donna che aspira entrare in un circolo è tenuta a superare un periodo di prova non inferiore ai sei mesi, al termine dei quali viene ammessa mediante la solenne cerimonia della “vestizione”, durante la quale indossa l'uniforme. Oltre all'abbigliamento appariscente che contraddistingue gli adepti delle migliaia di sette esistenti in Sudafrica, ha un altrettanto evidente funzione il lungo bastone dall'estremità ricurva o a forma di croce, usato per cacciare demoni e guarire i malati. Se una sionista commette un peccato grave (ad esempio compie adulterio, si ciba di carni suine, beve birra), incorre nella scomunica, che viene sanzionata mediante la rottura del bastone rituale. Grande importanza riveste inoltre il rito del battesimo, praticato ogni domenica per immersione e dopo la confessione pubblica dei peccati. Spesso tale rito è accompagnato, da parte dei neofiti, dall'ingestione di sostanze purganti e da una mistura di acqua e ceneri che provoca nausea e vomito. Le riunioni dei manyanos si tengono di solito il venerdì e si caratterizzano per un clima eccitato di invocazioni, canti, lamentazioni e stati di delirio e trance.
Le donne dei manyanos sionisti hanno una parte importante nel fenomeno del profetismo. Esse infatti, indicate come “Spiriti”, “Testimoni”, “Pie Donne” o “Marie Maddalene”, sostengono e finanziano i profeti, ne decretano, tramite il riconoscimento di miracoli o prodigi, il successo o l'insuccesso presso le affiliate.

Congo: il kimbanguismo

Il catechista della British Missionary Society, Simon Kimbangu, nacque nel 1899 nel villaggio di Nkamba (Congo), si sposò, ebbe tre figli ed esercitò vari mestieri a Kinshasa e a Matadi. All'inizio del 1921 tornò a Nkamba, dove cominciò ad avere visioni e a manifestare poteri divinatori e taumatorgici. Da quel momento i suoi seguaci gli attribuirono una serie nutritissima di miracoli di reminiscenza evangelica (ciechi che riebbero la vista, muti a cui tornò la parola, etc.). La sua fama si estese rapidamente in tutto il Congo, carovane di pellegrini si mossero da ogni parte per riunirsi intorno a Kimbangu con canti e preghiere, mentre le autorità cercavano di impedire, per motivi di salute pubblica, che i malati fossero trasportati o si trascinassero verso Nkamba. Il fenomeno assunse proporzioni sempre più imponenti e lo stesso leader, non riuscendo più a badare da solo la massa dei fedeli, scelse dodici “apostoli”, quasi tutti ex catechisti protestanti, comunicando loro i suoi poteritranne quello di consacrare altri “apostoli”. Nasceva così la Dibundu dia Dussu o Chiesa dei Dodici. Alcuni dei discepoli rimasero a Nkamba, altri viaggiarono per il Congo predicando il Vangelo e i principi di Kimbangu.
Alla base di questa dottrina vi è una mescolanza di elementi cristiani e altri propri della tradizione animistica africana, ma anche una serie di rigide norme comportamentali generalmente estranee alle altre sette sincretiste. I kimbanguisti infatti proibiscono la poligamia e le danze licenziose, mettono al bando l'alcol, il fumo e le carni suine e di scimmia, condannano il feticismo. Lo zelo iconoclastico costringe anche i cristiani ad abbandonare immagini, medagliette, scapolari e statue della Madonna.
Benché delle inchieste avessero assolto il kimbanguismo dalle accuse di istigazione alla sovversione – suscitate soprattutto dai commercianti e industriali belgi che cercavano di contrastare le defezioni di massa dai luoghi di lavoro – le autorità coloniali, il 16 giugno 1921, arrestarono Kimbangu, che però riuscì misteriosamente a fuggire dal suo villaggio. La regione venne quindi posta sotto regime militare speciale e cominciò una repressione a tappeto con incarcerazioni nelle prigioni di Thysville. Il 15 settembre Kimbangu venne nuovamente catturato assieme a oltre cento compagni e tradotto in carcere. Un processo farsa in ottobre lo condannò alla pena capitale, poi commutata all'ergastolo in un campo di lavori forzati, dove il leader trascorse dignitosamente 30 anni della sua vita e morì nel 1951.
Le misure vessatorie, che furono mitigate nel 1923 ma subirono recrudescenze occasionali nel 1924 e negli anni seguenti, provocarono un'ulteriore espansione del kimbanguismo. Il “profeta” e i suoi “discepoli” vennero considerati dei martiri e i seguaci che a migliaia vennero deportati a vita nelle più remote regioni della colonia, introdussero e diffusero la setta fra tribù che probabilmente non avrebbero mai sentito parlare del Kimbangu. La chiesa kimbanguista prese così piede nelle province del Kasai, di Stanleyville e dell'equatore e penetrò anche nell'Angola e nell'Africa Equatoriale Francese. Il villaggio natale di Kimbangu continuò ad essere luogo di pellegrinaggio e fu chiamato “Nuova Gerusalemme”.
Il kimbanguismo giunto ai nostri giorni, riorganizzato dopo il 1945 da un impiegato di Leopoldville, Emmanuel Bamba, è qualcosa di profondamente diverso da quello storico originario. Il ruolo e la figura di Kimbangu sono tutt'altro che definiti ed esistono diverse correnti di pensiero circa il suo ruolo di profeta o di semplice veggente. Un aspetto indiscusso della chiesa è però la sua ispirazione africana, nazionalistica e a volte xenofoba, causata dalla dura repressione del governo coloniale belga.
Il kimbanguismo si è dimostrato foriero di nuovi movimenti religiosi congolesi: il mvungismo, fondato nel 1940 e di ispirazione nazista; il tonsismo, ad esso coevo e ugualmente dedicato al “Padre Tedesco”, vincitore dei belgi in Europa; il matsuanismo e il kakismo.
André Grenard Matsua, di etnia balali, nacque presso Brazzaville il 17 gennaio 1899. Arruolatosi nell'esercito coloniale francese, visse a Parigi, dove prese a frequentare organizzazioni comuniste e per la difesa della razza nera. Quindi, nel 1926, fondò il Movimento Amicale dei Nativi dell'Africa Equatoriale Francese, allo scopo di formare intellettuali e tecnici congolesi e migliorare le condizioni di vita del suo paese. L'Amicalismo riscosse un'immediata fortuna nel Congo francese ma nel 1929 Matsua venne arrestato a Parigi, con l'accusa formale di traffico di valuta, e deportato nel Ciad. I balali reagirono alle sanzioni contro il loro capo opponendo al governo una politica di resistenza passiva: sfuggirono al censimento, rifiutarono le carte d'identità, non pagarono le tasse, boicottarono i lavori intrapresi dall'amministrazione. Matsua evase varie volte e infine morì nel 1942 – secondo la versione ufficiale per dissenteria.
I balali tuttavia rimasero convinti per parecchi anni che il loro capo fosse ancora in vita e stesse negoziando l'indipendenza col dio De Gaulle, che essi storpiavano in N'gol. Alle elezioni del 1946 comparve a Brazzaville un manifesto di “Gesù Matsua” che esprimeva l'amalgama di aspirazioni politiche legate al mito del kimbanguismo e dello stesso Matsua: “La sola religione che regnerà – affermava il manifesto – sarà la mia, che dovrà stendere dovunque le sue ali. Sappiate che la terra appartiene a noi, Simon Kimbangu e Matsua André (...). Nel nome del grande Matsua André Grenard, Nostro Salvatore, nostro Mediatore, Riparatore del nostro mondo corrotto interamente decaduto. A tutti i francesi che rappresentano la Francia nel Congo e a quelli che non la rappresentano. Viva la proclamazione della democrazia! Viva il regno! Viva la madrepatria Francia! Viva gli oppressi, i prediletti da Dio! Noi siamo poveri: bene, tutte le speranze ci sono concesse”. Nasceva così il matsuanismo, uno straordinario sincretismo politico-religioso e cristiano-pagano, in seno al quale la figura di Matsua veniva idealizzata fino ad assumere proporzioni sovrumane e mitologiche.
Il movimento mise profonde radici fra i balali e i basundi e fino al 1948 si diffuse clandestinamente, per poi ottenere la libertà ed influire nella politica interna congolese.
Un altro movimento ispirato al kimbanguismo è il kakismo, fondato da Simon-Pierre Mpadi nel 1939. La sua “Missione dei Neri”, presto denominata Nzambi Kaki (“Dio Kaki”) dal colore delle uniformi indossate dai seguaci, aveva un'organizzazione militaresca e si ispirava all'Esercito della Salvezza, una setta che aveva avuto una certa diffusione in Congo per via delle “S” cucite sulle uniformi che ricordavano agli abitanti il nome di Simon Kimbangu. La chiesa fondata da Mpadi ha una rigida gerarchia al cui vertice sta il “Capo degli Apostoli”. Gli affiliati riconoscono una “Trinità” formata dal “Padre, André Matsua e Simon Kimbangu” e, come nel kimbanguismo, dodici apostoli o meglio “dodici persone di Kimbangu”. Nel Congo indipendente il kakismo, se ha potuto uscire dalla clandestinità e aumentare il numero dei suoi adepti, ha però perso parecchio della sua carica aggressiva, che in precedenza era diretta in larga misura contro il governo coloniale.
Il kimbanguismo oggi

Contrariamente a tutte le aspettative dell’autorità coloniale, la prolungata detenzione del ngunza (“profeta-guaritore”) Kimbangu, non ha sottratto vigore ad un movimento che va ben al di là della dimensione locale.
Sotto la guida della moglie del profeta, Maria Mwilu Kiawanga (morta nel 1959), in costante contatto con il marito detenuto, e poi – fino a oggi – dei suoi figli e nipoti, il kimbanguismo non solo resiste, ma continua a crescere, subendo nel frattempo anche alcuni scismi. Dopo la morte di Maria Mwilu Kiawanga – considerata il punto di focalizzazione dei fedeli – la successione di Simon Kimbangu è stata assicurata dal minore dei tre figli, Joseph Diangienda Kuntima (1918-1992), coadiuvato dal fratello maggiore Charles-Daniel Kisolokele Lukelo (1914-1992). Alla scomparsa dei due fratelli, nel 1992, è succeduto alla guida della Chiesa il terzo fratello, Salomon Kiangani Dialungana (1916-2001), al quale è ulteriormente succeduto il figlio Simon Kimbangu Kiangani.  Rivelatasi inutile la persecuzione (seimila kimbanguisti sono stati incarcerati o inviati al confino fra il 1921 e la fine degli anni 1950), il 24 dicembre 1959 le autorità riconobbero la Chiesa di Gesù Cristo sulla Terra per mezzo del Profeta Simon Kimbangu come religione autorizzata in Congo. Dopo l’indipendenza, la Chiesa Kimbanguista ha cercato di giocare un ruolo nella turbolenta politica del Congo (Kinshasa), ma è stata anche pronta ad allinearsi con il regime del presidente Mobutu Sese Seko (1930-1997), facendo proprie le sue parole d’ordine e accettando senza troppo protestare misure come la nazionalizzazione delle scuole religiose nel 1974 (peraltro revocata nel 1977) e l’iscrizione obbligatoria dei giovani al movimento giovanile del partito mobutista.
“Così facendo – spiega il prof. Introvigne all'Agenzia Fides – il kimbanguismo ha cercato di presentarsi come religione autenticamente 'zairese' (dal nome, Zaire, dato al Congo Kinshasa da Mobutu e usato fino alla sua caduta nel 1997) e 'nazionale' in un momento in cui la gerarchia cattolica e (in misura minore) quella protestante erano impegnate in un conflitto con il regime, particolarmente sulla questione delle scuole. Il regime di Mobutu è stato, a sua volta, utile alla Chiesa fondata da Simon Kimbangu per la repressione legale di tutte le 'sette' indipendenti diverse da quelle federate in quella che allora si chiamava Chiesa di Cristo dello Zaire, dalla Chiesa Cattolica, dall’Islam e dal kimbanguismo stesso”.
Lo sviluppo più significativo della storia del kimbanguismo “è tuttavia – continua lo studioso – il lungo negoziato che lo ha portato all’ammissione, nel 1969, nel Consiglio Mondiale delle Chiese di Ginevra. Nei negoziati ha giocato un ruolo decisivo la teologa Marie-Louise Martin, che ha finito per trasferirsi in Congo diventando direttrice della Scuola di Teologia kimbanguista. Se l’ammissione dei kimbanguisti non ha mancato di sollevare perplessità presso qualche Chiesa membra del Consiglio Ecumenico, in Congo si è reso necessario un processo di adattamento delle credenze, dei rituali e perfino di certi stili e formalità (abolizione del titolo di 'Sua Santità il Papa', con cui ci si riferiva al leader della Chiesa, sostituito dal più sobrio 'Capo Spirituale'). Sotto la guida di Marie-Louise Martin la teologia kimbanguista è stata rielaborata e Simon Kimbangu, identificato con lo Spirito Santo ancora in pubblicazioni degli anni '60, è stato riconsiderato un 'testimone' di Cristo, l’'appoggio' speciale del popolo africano presso di lui, senza farne più un personaggio della Trinità”.
La riforma dottrinale peraltro ha riguardato soprattutto l'élite colta ed i pronunciamenti ufficiali della chiesa. Presso la base è rimasto invece – distinto dal kimbanguismo “ufficiale” – quello che è stato chiamato il “kimbanguismo dei kimbanguisti”, ovvero la forma popolare di kimbanguismo. dove le antiche credenze che identificano Simon Kimbangu con lo Spirito Santo o con il Signore continuano a persistere inalterate. Tra la fine degli anni 1980 e la fine degli anni 1990, il “kimbanguismo dei kimbanguisti” ha sempre più condizionato le scelte anche dei leader del “kimbanguismo ufficiale”, e gli sviluppi teologici dei rapporti fra kimbanguismo e Consiglio Mondiale delle Chiese si sono inaspriti, conducendo prima a una sospensione e poi all’espulsione della Chiesa kimbanguista dal Consiglio medesimo (benché continui un difficile dialogo teologico), nonché (nell’agosto 2004) all’interruzione dei rapporti ecumenici tra i kimbanguisti e la Chiesa cattolica, la quale ha deciso di non riconoscere la validità del battesimo kimbanguista.
“La 'zairizzazione' di Mobutu – nota Introvigne – ha reso difficile l’espansione del kimbanguismo fuori del Congo, dove statistiche diverse gli attribuiscono dai tre ai diciassette milioni di fedeli (la prima cifra indica un “nucleo duro” di fedeli che vedono nel kimbanguismo la loro identità primaria, la seconda i partecipanti alle numerose attività del movimento). Comunità kimbanguiste esistono comunque fra l’altro, fuori del Congo (Kinshasa), nel Congo (Brazzaville), nella Repubblica Centrafricana, in Angola, in Burundi e, in Europa, in Francia e in Belgio. In Italia il movimento è presente solo fra gli immigrati zairesi. In Africa e nella diaspora africana francofona i kimbanguisti hanno trovato un efficace strumento di propaganda nei fumetti, un mezzo di crescente importanza in Africa per comunicare messaggi politici o sociali”.
“A livello dottrinale – continua – si ritrova la distinzione tra 'kimbanguismo ufficiale' e 'kimbanguismo dei kimbanguisti'. Il kimbanguismo 'ufficiale', riveduto e corretto alla luce dei suggerimenti del Consiglio Mondiale delle Chiese, aderisce al Credo di Nicea. Di Kimbangu si afferma che 'ha basato il suo insegnamento unicamente sul messaggio della Bibbia'. Si spiega che quando si utilizzano espressioni come 'lo Spirito Santo è disceso in Simon Kimbangu' non si intende affatto identificare il profeta con la terza persona della Trinità, ma soltanto ricordare che senza la mediazione di Simon Kimbangu, 'modello del vero cristiano', il popolo kimbanguista non sarebbe riuscito a fare suo il messaggio cristiano della salvezza. E tuttavia – conclude lo studioso – rimangono anche nel kimbanguismo 'ufficiale' i 'comandamenti del Profeta Kimbangu', che prendono posto accanto al decalogo e che richiedono: l'astensione dalle bevande alcoliche, dal tabacco, dai feticci, dalla carne di maiale e di scimmia, dal danzare ('e anche dall’assistere alle danze'), dal fare il bagno nudi e dal dormire nudi. Restano pure una serie di peculiarità sui sacramenti: accanto al battesimo, al matrimonio e all’ordine, l’eucarestia è stata introdotta solo tardivamente. Il vino e il pane sono sostituiti dal miele e da un dolce locale a base di uova e patate e il suo ruolo rimane in qualche modo secondario. Più importanti sono le cerimonie tipicamente kimbanguiste, che comportano fra l’altro lunghe sfilate e fanfare, derivate anche dall’influsso dell’Esercito della Salvezza, forte nel Congo Belga nell’epoca coloniale”.

Il caso del popolo shona

Gli shona sono un popolo tribale (circa 10 milioni) stanziato nella parte meridionale dello Zimbabwe e nella Repubblica Sudafricana, presso il quale s registra un'alta proliferazione di chiese indipendenti. Il grado di sviluppo e moltiplicazione delle denominazioni è rapido a tal punto da spingere gli studiosi a parlare di impossibilità di un censimento esaustivo. Tra le poche cifre indicative è possibile indicare questa: dal 1967 al 1988 il numero di affiliati è passato approssimativamente da 180 mila a 2 milioni.
Le sette shona si caratterizzano per una tendenza alle manifestazioni carismatiche (estasi, profezie, visioni, sogni premonitori, discernimento degli spiriti) e un forte sentimento indipendentista.. Tra i fattori indicati per giustificare tale fenomeno ha un peso particolare l'identità socio-culturale degli shona e la reazione al contesto coloniale. L'economia tribale subì infatti un duro colpo dopo l'arrivo degli europei e la situazione venne aggravata da una redistribuzione delle terre che negava loro l'accesso alle risorse acquifere e ai pascoli, cosicché la nascita di movimenti profetici ebbe il significato di una lotta contro l'oppressione, con tendenze ancora più acute in Sudafrica.
Accanto a queste cause non vanno dimenticate dinamiche etnico-religiose, in particolare la diffusione della Bibbia ad opera dei missionari europei e la questione della poligamia. La traduzione della Bibbia nella lingua shona, operata già nel 1891, fu un fattore di grande importanza per la nascita di sacche interpretative ed anche teologiche in seno alle tribù, sganciate dall'insegnamento ufficiale delle Chiese classiche. Ben presto sorsero leader/profeti che isolarono il testo biblico e attualizzarono alcuni passi veterotestamentari in senso politico e indipendentista. Questi furono i casi dei movimenti sionisti e del profeta Enoch Mgijima.
Un altro importante motivo di scontro con la predicazione classica fu la questione della poligamia, praticata da oltre la metà degli shona. Laddove l'azione missionaria si indirizzò principalmente a coloro che accoglievano l'orientamento monogamico, si verificò il proliferare di chiese indipendenti che liberalizzavano l'istituzione del matrimonio in ossequio alle pratiche tradizionali e con l'obiettivo dichiarato di “aiutare i poligami ad andare in Cielo”.
Oggi le chiese shona continuano ad avere forte presa sulla popolazione ed il loro tasso di crescita è, a quanto documentano i giornali locali, superiore del 25% rispetto alle confessioni cristiane.

Evangelisti e pentecostali: le Nuove Chiese protagoniste

Uno degli aspetti più eclatanti del cristianesimo africano è l'incessante nascere, a partire soprattutto dagli anni '80, di nuove chiese di stampo fondamentalista protestante. Tali denominazioni hanno un'origine soprattutto nordamericana e promanano dal pentecostalismo e dall'evangelismo. I nuovi movimenti sono apparsi dapprima nelle maggiori città africane (Harare, Freetown, Nairobi, Kinshasa) e poi, nel volgere di pochi anni, si sono via via ritagliati spazi significati nel panorama religioso africano. La Wutawanashes Family of God nello Zimbabwe, la Leslies Abundant Life a Kampala (Uganda), la Gitonga's Redeemed Gospel Church in Kenya, sono oggi enormi chiese che semplicemente non esistevano venti-trenta anni fa. A complicare questo quadro si aggiungono i casi di rivitalizzazione delle tradizionali chiese indipendenti. Così, le Ezekiel Guti's Zimbabwe Assemblies of God Africa, fondate negli anni '50, che hanno sperimentato la prima ondata di crescita durante la guerra nell'allora Rhodesia negli anni '70 e oggi sono cresciute a tal punto che i loro membri rivendicano di essere la più grande chiesa dello Zimbabwe, prima ancora di quella cattolica (oltre i milione di fedeli pari a circa il 10% della popolazione) e di quelle anglicana e metodista. Anche se tali affermazioni non possono essere prese come attendibili, non si può negare che questa chiesa ha ramificazioni in decine di paesi africani.
Nonostante i nuovi movimenti religiosi siano assai diversi l'uno dall'altro, è possibile evidenziare comunque alcuni elementi salienti. Tra questi, la predicazione del Vangelo come via per ottenere salute e ricchezza occupa un posto di rilievo. L'evangelismo è una dottrina americana che fa coincidere il cristianesimo con i valori capitalistici del mercato, tipici della società statunitense. Queste concezioni hanno trovato un terreno in parte dissodato in Africa, in quanto anche nelle religioni tradizionali africane ci sono valori come fertilità, salute e abbondanza. Nell'Africa meridionale le chiese più fiorenti ispirate al “Vangelo della Prosperità” sono: le Rhema Churches del Sudafrica e dello Zimbabwe e la Family of God Church di Andrew Wutawunashe, in Zimbabwe.
Altro tema chiave è il “mondo invisibile”, ovvero la credenza che gli spiriti degli antenati influiscano attivamente nella vita delle persone – anche questo elemento peculiare della cultura religiosa africana e non estraneo alla teologia delle nuove chiese.
“I missionari delle chiese evangeliste e pentecostali – dichiara all'Agenzia Fides padre Elia Pampaloni MCCJ, missionario comboniano da 28 anni in Uganda – hanno avuto un forte impatto non solo sulla sfera ideale e religiosa dei popoli africani ma anche sui governi, come nel caso del presidente ugandese Kaguta Museveni, la cui famiglia è notoriamente interessata al mondo dei nuovi movimenti religiosi con ovvie implicazioni per l'intera società civile. In Uganda – continua il missionario – le due chiese maggiori rimangono quella cattolica e quella anglicana, ma ciò non impedisce che alcune nuove denominazioni riescano ad attrarre nella loro orbita anche fedeli cristiani, per i quali viene usata l'espressione born again, 'rinascita'”.  Molti dei nuovi missionari impiantatisi in Africa negli ultimi decenni fanno parte della nuova ondata pentecostale, secondo cui tutti i cristiani dovrebbero ricevere un “battesimo dello Spirito” che conferirebbe istantanea santificazione, dono della profezia e delle lingue, capacità di operare guarigioni, etc.. Già dalla metà degli anni '60 la corrente principale delle chiese missionarie protestanti in Africa è stata superata nel numero da quelle di matrice non ecumenica, evangelista, e da agenzie autonome. Questa tendenza è progredita con velocità. Ad esempio, la Guinea sotto Sékou Touré (1961-'84) ha adottato una linea molto severa nei confronti delle missioni cristiane e alla morte del dittatore erano tollerati solo i cattolici e gli anglicani. Pochi anni dopo, nel 1991, era presente un solo missionario anglicano contro gli oltre cento missionari protestanti evangelisti. La stragrande maggioranza di questi nuovi missionari in Africa si occupa dell'evangelizzazione, tralasciando l'impegno nel sistema sanitario o scolastico, ambiti privilegiati delle missioni delle Chiese storiche.
Un aspetto da non sottovalutare è che, mentre i missionari di indirizzo classico sono coinvolti nell'espansione della loro confessione, molti della nuova corrente coltivano invece un'ecclesiologia del ritorno o recupero. Non sono cioè preoccupati di attuare una vera azione missionaria ma si professano a-confessionali o interconfessionali e unicamente interessati a sensibilizzare gruppi o singole persone. In tal modo essi sono preparati a mettersi in contatto o a lavorare per coloro che vengono definiti come “cristiani di nome” o “cristiani stanchi”.
Negli ultimi decenni, mentre le forze migliori delle chiese cristiane di vecchia data si sono impegnate in attività di evangelizzazione e promozione umana, i missionari della nuova destra americana hanno investito ingenti risorse finanziarie e personale unicamente allo scopo di fare proseliti. Corollario di tale impostazione, che riflette d'altra parte l'orientamento teologico di stampo fondamentalista, è il viscerale rifiuto per lo studio critico della Bibbia ed il coinvolgimento della comunità ecclesiale nel sociale.
Specularmente al “Prosperity Gospel” ed alla fede in prospettiva materialistica ed immanentistica, si assiste alla rinascita di forme, più o meno velate, di millenarismo e rassegnazione. La forma più popolare di questo millenarismo è chiamata dispensationalism, dall'idea secondo cui la storia è divisa in sette ere (o dispensation). Stando a questo schema, il mondo sarebbe oggi nella sesta era, alla vigilia del “rapimento” in cielo dei veri cristiani, che coinciderà con un periodo di sette anni di grandi tribolazioni, culminanti nella battaglia di Armageddon, quando Gesù ritornerà con i suoi santi per stabilire sulla terra il regno. Questa forma di cristianesimo teorizzata dall'inglese Nelson Darby (1800-1882) si è largamente diffusa in Africa e viene insegnata nelle scuole bibliche che fioriscono in Kenya, Zimbabwe e Sudafrica. Gli africani aderenti al dispensationalism tendono a considerare le odierne avversità del continente come chiare prefigurazioni della fine dei tempi.
Accanto a queste forme si accompagna una visione radicalmente pessimista sulla natura morale dell'uomo. “Totale depravazione” è un'espressione tipica dei gruppi fondamentalisti, i quali definiscono l'uomo “un essere spregevole e sozzo, un vile e corrotto peccatore sulla strada dell'inferno”. Conseguentemente le azioni di rivendicazione sociale, le richieste di diritti umani e gli sforzi per uscire dalla fame e dalla malattia sono considerati alla stregua di tentazioni ideologiche e vie di perdizione. Ciononostante queste forme “oppiate” di predicazione cristiana attraggono oggi un gran numero di africani grazie ai semplici concetti teologici, alle forme liturgiche snelle e spontanee e ad un'abile propaganda tramite la stampa.

Una città tipo: Nairobi

I nuovi movimenti religiosi sono essenzialmente un fenomeno urbano e la città di Nairobi, in Kenya, ha un'indubbia centralità nella proliferazione di Nuove Chiese. Esse hanno trovato un terreno fertile per l'azione precedente di Chiese istituzionali africane come l'Esercito della Salvezza, la Maria Legio Church, le Kikuyu Churches, la Church of the Luo, la Dini ya Misambwa, l'African Israel Church. I nuovi movimenti religiosi sono apparsi a partire dagli anni '80 e provenivano soprattutto dall'ambiente “televangelista” statunitense. Il televangelismo è una forma di predicazione televisiva il cui target oltrepassa i normali concetti di audience ed ambisce ad interazioni spirituali con gli spettatori. Ai seguaci dei telepredicatori (spesso assurti a vere e proprie star del tubo catodico) sono richieste donazioni economiche in cambio di materiale vario: libri, videocassette e CD musicali prodotti dall'organizzazione.
Iniziative di tale genere non mancano a Nairobi, dove l'evangelismo ha preso piede a vari livelli, dai piccoli gruppi domestici alle grandi catene internazionali che organizzano campagne pubblicitarie sui quotidiani.
Il pentecostalismo è un'altra forza propulsiva emergente. Nel 2001 il cinema Odeon di Nairobi ospitava ogni domenica mattina una ressa di seguaci del predicatore Pastor Pius Muiru, autore di un famoso programma radiofonico intitolato “There is a light in the darkness”. L'apparizione di Pastor Muiru avviene in un clima di eccitazione collettiva, danze, musica elettronica e luci. I seguaci accreditano anche diverse guarigioni avvenute durante i sermoni del leader.
Da un punto di vista sociologico i gruppi pentecostali sono autonomi e preferiscono collegarsi a livello locale piuttosto che dare vita ad organizzazioni centralizzate. La capacità di attrazione è data da una molteplicità di fattori: a) i movimenti pentecostali assicurano un pacchetto assistenziale per problemi come l'alcolismo e la malattia, e supporto psicologico per le crisi individuali e i fallimenti familiari; b) assecondano le credenze africane sugli spiriti malvagi e promettono doni spirituali e carismi (soprattutto quello delle lingue); c) danno risposte semplici alla domanda di religiosità; d) rifiutano dottrine sistematiche e privilegiano l'emotività nella pratica cultuale.
Ulteriore sviluppo del pentecostalismo, come si è visto, è il Faith Gospel o “Prosperity Gospel”, formulato nel 1934 negli Stati Uniti ed assurto alla fine degli anni '70 ad organizzazione internazionale (International Convention of Faith Churches and Ministries). Suo punto focale è la credenza che al peccato corrisponda la povertà ed allo stato di grazia il benessere materiale. A Nairobi tale dottrina è giunta attraverso la Nigeria e si è diffusa grazie ad un'aggressiva campagna pubblicitaria. Centro di irradiazione è la Winners' Chapel, dove i fedeli – di condizioni economiche estremamente basse – fanno “esperienza totale” delle loro ambizioni, immaginazioni, sacrifici e piani per raggiungere il successo.
In Kenya le chiese fondate su tale formula non hanno un'organizzazione stabile ma piuttosto tendono a operare in funzione di grandi eventi religiosi (crociate di strada, manifestazioni, etc.) o della visita di famosi predicatori evangelici. Il pastore Reinhard Bonnke ha percorso il Kenya diverse volte per le sue “Fire Conferences” e nel 1986, ad Harare (Zimbabwe) ha attirato una folla di 4 mila seguaci provenienti da 41 paesi africani. Molti predicatori evangelici possiedono a Nairobi organizzazioni ombrello per il finanziamento delle loro campagne. Tali organizzazioni, dotate di fondi cospicui, hanno anche la funzione di formare giovani predicatori e missionari.

La Watch Tower Society tra sincretismo e “ortodossia”

Il movimento della Watch Tower Society (“Società della Torre di Guardia”), noto anche come Testimoni di Geova, ha raccolto un grande seguito in Africa grazie soprattutto al suo atteggiamento di neutralità verso la poligamia.
Dopo la prima Guerra Mondiale la Watch Tower pose solide basi nell'Africa occidentale e nell'Unione Sudafricana, si espanse quindi nelle due Rhodesie, nel Congo, nell'Angola, nel Kenya, nell'Uganda. Nell'Africa centrale e orientale prese il nome Kitawala (in swahili, “regno”) ed anche la sua dottrina subì alterazioni più o meno profonde.
Gli affiliati africani credono nell'avvento di un regno teocratico nel quale i neri saranno padroni e i bianchi saranno o morti o fatti schiavi. Nel Congo belga si ebbe un certo sincretismo tra il kitawala e le varie forme di kimbanguismo-matsuanismo-kakismo, con un interscambio di caratteri e di temi profetici tale che i movimenti indigeni si confondono a volte con quelli importati. Anche nel Congo francese, dove la Watch Tower africanizzata è forte soprattutto, con il nome di kisinga, nelle città di Brazzaville, Dolisie e Pointe-Noire, si produsse un fenomeno analogo. Gli africani introdussero altresì nelle dottrine della Watch Tower un elemento razziale, a volte preponderante e di contenuto xenofobo, e a volte il credo nella metempsicosi in corpi bianchi europei, segno esteriore di ricchezza e potenza.
Lo sprezzo per l'ordine costituito e l'euforica aspettativa di un'utopistica “età dell'oro” proposti dai Testimoni di Geova non sono sempre rimasti limitati ai campi delle profezie e delle credenze religiose, ma presero anche indirizzi politici, incanalando le proteste, le rivendicazioni e il malcontento degli africani fino a farle sfociare in torbidi e rivolte. La storia del kitawala è in effetti un susseguirsi di episodi di violenza (in Rhodesia, Congo, Uganda).
“Il Kitawala – nota per l'Agenzia Fides il prof. Introvigne – ha assunto in alcuni Paesi toni violenti, come nel caso della predicazione in Zambia di Tomo Nyirenda (?-1926) – detto Mwana Lesa ('Figlio di Dio') – che negli anni 1920 si serviva di dottrine della Torre di Guardia per combattere le 'streghe' e gli 'stregoni' e, non di rado, farli uccidere. Braccato dalle autorità coloniali inglesi, fu catturato e impiccato nel 1926. Molti fedeli influenzati dal Kitawala (nel frattempo denunciato dai Testimoni di Geova come del tutto estraneo alla loro predicazione missionaria) sono confluiti in seguito nelle fiorenti 'Chiese iniziate da Africani', di cui alcune – come la Società del Regno di Dio in Nigeria – mostrano tuttora una influenza di tale precedente movimento sincretistico”.
In Sudafrica e nell'Africa occidentale, invece, la Watch Tower è rimasta fedele alla dottrina del fondatore statunitense Charles Taze Russell, senza degenerare in manifestazioni sovversive e terroristiche.
“Secondo le ultime statistiche – ricorda Introvigne – da loro stessi diffuse nell’Annuario 2009 dei Testimoni di Geova e di solito considerate abbastanza attendibili, nel 2008 essi contavano in Africa 1.122.493 'proclamatori' (cioè membri impegnati nell’attività proselitistica di porta in porta), un numero che rappresenta in media un po’ meno del 50% delle persone che si possono considerare parte della comunità dei Testimoni di Geova che, se la si misurasse dal punto di vista statistico così come normalmente si fa per altri movimenti religiosi, non dovrebbe consistere solo dei 'proclamatori' ma anche dei giovani, vecchi, ammalati e membri meno ferventi che non svolgono attività di proselitismo. Si può così considerare che i Testimoni di Geova in Africa sfiorino i tre milioni, con punte massime in Nigeria (dove operano 281.953 “proclamatori”), Repubblica Democratica del Congo (140.202), Zambia (131.034), Ghana (85.752), Sudafrica (80.496), Malawi (69.178)”.

Il caso Scientology in Sudafrica

Nel 1957 la Chiesa di Scientology – movimento religioso fortemente controverso fondato dallo scrittore americano di fantascienza L. Ron Hubbard – iniziò la sua espansione in Sud Africa. Quarant'anni dopo annunciava di possedere filiali (o "org") in nove città, per un totale di 200 mila seguaci nel paese. Sebbene questa cifra sia probabilmente esagerata, l'organizzazione di Scientology a livello mondiale e la vastità del suo patrimonio ne fanno un attore religioso di un certo peso nella società sudafricana.   Scopo principale di Scientology è il reclutamento dei membri. Per questo Hubbard escogitò una forma di proselitismo che consisteva nel filtrare in gruppi ed organizzazioni e convertire personaggi influenti ai principi scientologici, ma mantenendo celati i propri collegamenti con la chiesa. Questo metodo, ancora oggi in uso, è stato ampiamente utilizzato negli Stati Uniti e in Sud Africa. Il coinvolgimento negli affari sudafricani è avvenuto a diversi livelli e non senza imbarazzi, dal momento che le convinzioni razziste e pro apartheid dei suoi membri mal si conciliavano con le attività umanitarie messe in campo per l'assistenza agli emarginati.
Per lungo tempo la setta ha cercato di estendere la sua influenza in tre aree specifiche: l'educazione, il campo imprenditoriale e, in certa misura, il settore medico. Il suo coinvolgimento però non è mai pubblico e le organizzazioni finanziate o gestite direttamente appaiono come gruppi di facciata. Dietro le motivazioni dichiarate (educazione dei bambini in difficoltà, recupero dei tossicodipendenti e dei malati mentali), si maschera la pura propaganda. Secondo un dato del 1992, un ente sudafricano per l'educazione finanziato da un'organizzazione ombrello di Scientology, ha formato 2 milioni di scolari neri in difficoltà.

Intervista a padre Gian Paolo Pezzi MCCJ, Direttore della Comboni Press.

Roma (Agenzia Fides) – “Le sette – dichiara all'Agenzia Fides padre Gian Paolo Pezzi MCCJ, per diciassette anni missionario in Africa equatoriale e oggi Direttore della Comboni Press – sono una realtà composita del panorama religioso africano e la loro incidenza sulla vita delle comunità cattoliche varia secondo i paesi, le diocesi, le aree culturali. Ho visto in Ghana un villaggio di 7 mila abitanti con ben 7 differenti chiese separate oltre alla cattolica e al culto tradizionale. L’impatto in questi casi è molto più sociale e culturale che religioso. Nelle periferie di una media città come Kisangani (Repubblica Democratica del Congo) di 600-700 mila abitanti, il numero alto di sette non ha grande impatto sociale ma ha sfumature realmente religiose. L’impatto più negativo è la confusione mentale che ha la sua deriva più grave nel vagabondaggio spirituale. In situazioni di povertà, guerra, malattie endemiche, assenza dello Stato e di ogni legalità, la religiosità naturale spinge verso uno spiritualismo vago e utilitarista – ottenere dal dio di turno i favori necessari per una vita minimamente degna: è una conseguenza inevitabile quando la fede non è vissuta in forma comunitaria e non si radica nel quotidiano. Nelle comunità cristiane più formate, il fenomeno delle sette può portare invece ad un risveglio, un approfondimento sul piano dei contenuti dottrinali e sul piano etico e dell'impegno sociale”.

Quali cause favoriscono l'affiliazione ad una setta? Quali sono le fasce di popolazione attratte?
“Il livello di 'intelligenza della fede', anche in ambito cattolico (come ricorda l'Instrumentum Laboris del prossimo Sinodo dedicato all'Africa, ai numeri 73 e seguenti), a volte è solo superficiale, non radicato nell'autentica cultura africana, nei linguaggi, nelle concezioni, nei simboli e nel retaggio religioso tradizionale e di conseguenza non ha quella forza spirituale capace di accompagnare l'uomo in ogni momento della sua vita. Nel caso specifico delle sette cristiane, un avvenimento esistenziale particolarmente traumatico – come la morte di un famigliare, il fallimento di un’attività, la guerra stessa – porta questo minus-credente a rifiutare il suo habitus religioso convenzionale e ad affiliarsi a chiese che propongono una religiosità materialista, anche superstiziosa, o un fideismo radicale. E’ il caso di cattolici che si fanno avventisti dopo essersi rovinati la salute o aver perso il lavoro o la moglie per problemi di alcool, decidendo di smettere di bere. Ma non mancano percorsi inversi. Ho conosciuto ragazze affiliate alle Chiese indipendenti africani che volevano farsi 'suore cattoliche' perché vedevano l’impegno di carità e di testimonianza delle missionarie. E questo è un esempio formidabile di come la carità cristiana, radicata nella verità di una fede autentica, possa dare grandi frutti nell'azione missionaria della Chiesa. Il Vangelo è per l’uomo e la gloria di Dio è l’uomo in piedi, dicevano già i Padri della Chiesa. La missione della Chiesa è far sbocciare il Regno di Dio nel mondo e aiutare gli uomini a vivere come Famiglia di Dio. Devo dire che, quando ero Parroco in Burundi e in Congo, ho conosciuto africani appartenenti alle Chiese indipendenti africane che tornavano alla Chiesa cattolica perché finalmente avevano capito cosa vuol dire credere in Gesù e seguire il suo Vangelo”.
Che ruolo giocano invece l'instabilità politica e i conflitti intestini?
“Hanno una parte importantissima. Il contesto attuale di guerre, povertà, miseria, dittature, scontri etnici, porta molte chiese separate ad assumere atteggiamenti tipicamente 'settari'. Esse sono cioè piccoli gruppi che si riuniscono attorno ad un capo spirituale carismatico su base sociale, a volte etnica, spesso di quartiere. Il leader dà sicurezza, protezione, identificazione. Per questo là dove le piccole comunità di base o ecclesiali, o i movimenti impostati su gruppi – ad esempio carismatici, neocatecumenali, Legio Mariae, etc. – si sono sviluppati, le sette hanno maggiori difficoltà e la loro presenza meno influente. Lo stesso si può dire del rapporto tra sostentamento economico delle Chiese indipendenti e contenuti di fede. Le donazioni richieste ai fedeli forniscono un senso di appartenenza convalidato dall’assenza di dogmi forti o strette regole etiche. 'Lei chiede ai catecumeni di conoscere il Vangelo e di obbedirvi per essere battezzato', mi disse un giorno un pastore del culto Brahamista, 'io chiedo solo di pagare la decima e di andare all’assemblea domenicale: la conversione verrà quando Dio vuole dopo il battesimo'. Faccio un altro esempio banale ma significativo. Nella chiesetta d’una setta sul territorio della mia parrocchia in Congo, durante la celebrazione il pastore metteva tre cestini: 'Quello del centro – diceva – è per me: non voglio vedere biglietti inferiori ai 50 franchi. A destra quello della cappella: biglietti di almeno 20 franchi. A sinistra per i poveri: mettete quello che avete'”.
Lei ha lavorato diversi anni nelle Università dell'America Latina, in un contesto di pluralismo religioso che alcuni osservatori definiscono simile a quello africano (sebbene con caratteristiche differenti). Che ruolo può avere la cultura nel prevenire forme di religiosità settaria, oscurantista e non di rado aggressiva verso ogni altra istanza religiosa?
“La mia esperienza universitaria è legata all’America Latina. Però i 17 anni passati in Africa come missionario, giornalista e per altre attività, mi hanno convinto che il vero spazio in cui si gioca il futuro dell'Africa – non solo dal punto di vista religioso, ma in una prospettiva globale di progresso umano integrale – è la cultura. Non tanto l’istruzione, ma la cultura come modo di vedere e di impostare la vita nelle sue molteplici dimensioni. Troppe culture, o troppe volte la cultura è impostata sulla paura: paura degli spiriti, della malasorte, dei nemici, degli antenati, degli stregoni, delle stelle, della volubilità del mercato finanziario e del lavoro. La mancanza di un serio approccio culturale alla vita apre il cammino ad un approccio magico. E qui senza dubbio le sette hanno buon gioco sulla fede cattolica che si vuole radicata nello Splendor veritatis o sull’impegno sociale della Caritas in veritate. Questa paura culturale radicale produce una religiosità ripiegata su sé stessa, che la persona culturalmente matura rifiuterebbe”.
Vede possibile un dialogo tra i cattolici e le Chiese indipendenti? E se sì, su quali basi? Che rapporto è possibile invece con le Chiese di matrice evangelista e pentecostale?
“Per la Chiesa di Gesù il dialogo non è un optional né una scelta sulla base di possibilità concrete di realizzazione: è una missione. E la premessa è la libertà delle persone che vanno sempre rispettate. Su quali basi? Nessuna, è un cammino di fede e questo vale per le Chiese indipendenti, quelle di matrice evangelista o pentecostale, come per le sette più fanatiche o i culti tradizionali più esotici. La domanda semmai è: qual è il cammino del dialogo che dà più garanzie per raggiungere la meta dell’unità di fede o almeno di vita cristiana o quantomeno di collaborazione e rispetto nella costruzione del Regno? Il primo passo è senza dubbio una maggiore inculturazione del Vangelo. Questo tema, mi pare, è ancora affrontato con troppa superficialità. Non si tratta di adattamenti liturgici, di 'comprensione misericordiosa' di debolezze, di aperture culturali anche se tutto ciò fa parte del cammino di un serio dialogo. Si tratta di capire qual è l’orizzonte immaginario o il quadro simbolico di ogni cultura e di capire dove, in quei sistemi, avviene l'autentico contatto con la persona di Gesù Cristo e quindi la conversione. Faccio due esempi. Il concetto di ius matrimoniale. Per l’italiano il prima e il dopo dell’alleanza matrimoniale è legato ad un istante fatidico in cui si dice nello spazio di secondi, un 'Sì'. In certe culture africane è legato ad un processo che inizia con il dialogo dei due giovani e termina – almeno nei tempi passati era così – con il settimo figlio. Solo allora la donna ha veramente lasciato la casa di suo padre per divenire una sola carne con quella del marito. Altro esempio: la croce di Cristo. Nessuna cultura umana, per quanto io ne sappia, accoglie spontaneamente la debolezza di Dio, il fallimento, l’umiliazione, la morte come cammino di vita. Finché una persona, una società non ristruttura la sua cultura su questo simbolo non c’è conversione profonda al Vangelo. E’ in questi spazi che si gioca la vera inculturazione del Vangelo”.
Quali sfide pone un approccio dell'inculturazione come da lei delineato?
“Se per 'inculturazione' s’intende l'insieme delle aspettative culturali locali di fronte ad un annuncio che comunque lo si voglia vedere arriva sempre dal di fuori, allora il problema è molto complesso. Il Vangelo è sempre qualcosa di 'altro', di 'diverso', è una Parola che arriva da fuori: un di fuori culturale, geografico, sociale, emotivo, personale ma soprattutto un di fuori che potremmo chiamare 'simbolico'. Il Dio Padre del Vangelo spiazza ogni concezione umana. Cosa vuol dire allora una maggiore inculturazione da parte di una Chiesa che annuncia? Quando i Padri Bianchi affermarono ai capi tutsi dell’est del Burundi che davanti a Dio tutti gli uomini sono uguali, quello fu un vero schiaffo alla sensibilità locale e i missionari furono costretti a tornarsene in Tanzania. La Piccola sorella di Charles de Foucauld che in Camerun recitò per prima il “Padre Nostro” in lingua comprensibile ai Pigmei si sentì dire: “Questo deve essere il vero Dio perché ci tratta tutti come figli”. Ma ancora un paio d’anni fa in Congo mi sentii dire da un bantu: “Se voi bianchi aveste rispettato la nostra realtà, i pigmei continuerebbero ad essere nostri servitori e non ci sarebbero i problemi di oggi”. L'annuncio del Vangelo impone sempre un taglio, e rappresenta un trauma per la cultura che lo accoglie, ma al tempo stesso risponde al suo anelito più profondo. Questo discorso riguarda ovviamente anche il tema dell'etica personale e quella sociale in particolare. Mi auguro che la Seconda Assemblea Speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi affronti questi problemi in maniera propositiva, così da dare utili coordinate all'azione missionaria per il prossimo futuro. Una maggior sensibilità locale, cioè rispondente alle autentiche sfide che le realtà locali presentano alla fede in Cristo, sarà un passo importante per ribadire la 'polifonia' della Chiesa. L'universalità di un Messaggio, il Vangelo, ritroverà la forza che trasforma l'uomo nell'integralità della sua persona e nel contesto sociale e culturale in cui vive”.
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Dossier a cura di A.M. - Agenzia Fides 10/10/2009.







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