Intervista con Mons. Gervais Banshimiyubusa, Vescovo di Ngozi (BURUNDI)
Dal Sinodo per l’Africa si è levato anche un forte per la fine delle violenze nella
Regione dei Grandi Laghi. L’area, che comprende Rwanda, Burundi Uganda e parte della
Repubblica Democratica del Congo, della Tanzania e del Kenya, negli ultimi è diventata
scenario di guerre civili che hanno causato situazioni di estrema povertà. Paolo
Ondarza ha intervistato mons. Gervais Banshimiyubusa, vescovo di Ngozi
in Burundi, che traccia un bilancio sull'Assembela speciale per l'Africa del Sinodo
dei vescovi:
R. – Il bilancio
per me è molto positivo. Abbiamo parlato di tanti argomenti, che sono interessanti
per la nostra Africa, per la nostra Chiesa in Africa, e soprattutto della riconciliazione,
perché in Africa abbiamo conosciuto tanti problemi, tante guerre. Alcuni si chiedevano
come uscire da questa situazione e abbiamo avuto “luci” per poter andare avanti: per
potere avere la pace bisogna lavorare sulla giustizia. Se non c’è un governo democratico,
un governo che rispetti i diritti umani, non si può parlare di pace o di riconciliazione.
D.
– Eccellenza, riconciliazione, giustizia e pace in Burundi ...
R. – Stiamo
andando avanti. Abbiamo conosciuto in 14 anni una guerra tra gruppi etnici e abbiamo
avviato un dialogo tra i protagonisti, che dopo hanno accettato di lavorare insieme.
Allora, adesso, il problema è di poter condividere il potere, perché quando si ha
il potere si hanno allo stesso tempo le ricchezze. Io direi che per il momento andiamo
bene: fra poco avremo nuove elezioni, e stiamo preparando bene questo evento con le
catechesi, con le prediche, accompagnando anche la gioventù e le famiglie cristiane.
D. – Eccellenza, lei faceva riferimento alle divisioni fra gruppi all’interno
di uno stesso Paese. Nell’Aula del Sinodo sono stati fatti gli esempi di più Paesi:
pensiamo al Rwanda, che è stato teatro di sanguinosi scontri, di un vero e proprio
genocidio. Quando si pensa a queste atrocità del passato, ci si chiede se sia possibile
guarire la memoria, perché non è facile essere operatori di riconciliazione laddove
si è subìto tanto odio, tanta violenza ...
R. – Secondo me, ci sono da chiamare
in causa due elementi. Uno è la cultura locale, e da questo punto di vista si può
analizzare quando le persone non andavano d’accordo, cosa facevano. Poi c’è l’elemento
evangelico, quello di sapere che Cristo, che è il nostro Maestro, ci ha dato un esempio
del perdono, di condivisione della vita, una vita comunitaria con la persona con cui
non si va d’accordo in tutto. In alcune casi non si vede come se ne possa uscire;
però, come abbiamo sentito durante questo Sinodo, ci sono state testimonianze di persone
che hanno saputo superare questa situazione, anche andando contro le idee degli altri,
per poter accogliere coloro che gli altri consideravano nemici, e hanno fatto qualcosa
di positivo. Io penso che sia sempre possibile: bisogna avere speranza!