Il bilancio del Sinodo nelle parole del cardinale Turkson, nominato dal Papa nuovo
presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace
Al termine della congregazione di questa mattina, presso la Sala Stampa della Santa
Sede ha avuto luogo l’ultima conferenza stampa a conclusione del Sinodo per l’Africa.
Tra gli interventi quello del cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, nominato questa
mattina dal Papa presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.
Il porporato, finora arcivescovo di Cape Coast in Ghana e relatore generale del Sinodo,
succede al cardinale Renato Raffaele Martino, dal 2002 alla guida del dicastero che
lascia per raggiunti limiti di età. Ascoltiamo il cardinale Turkson al microfono
di Paolo Ondarza.
R.
– Grazie al Signore, stiamo per terminare il nostro lavoro, che è durato tre settimane.
Mi sembra che i partecipanti siano abbastanza soddisfatti per quanto riguarda lo stile
di lavoro, il metodo utilizzato e i risultati stessi. Devo dire che per i Padri sinodali
questa è stata una bella esperienza: hanno potuto condividere tante questioni, dopo
essersi espressi sui problemi di ciascuna diocesi. Da quanto si è svolto in aula,
sono nate non soltanto soluzioni, ma il coraggio e la speranza di andare avanti. Cioè,
ci sentiamo incoraggiati a fare qualcosa!
D. – E questo
attraverso la comunione e lo stare insieme, l’essere Chiesa cattolica...
R.
– Andiamo via da qui nella consapevolezza che la Chiesa universale sta dietro a ciascun
vescovo, e questo per me è una cosa molto importante: non ci si sente soli, anche
se la situazione è molto difficile nelle nostre diocesi, nelle nostre parrocchie.
Questo senso di solidarietà, che abbiamo potuto esprimere in aula, è la cosa più bella
che è accaduta qui.
D. – Sarebbe importante, in prospettiva,
un altro Sinodo per l'Africa?
R. – Questo dipende sempre
dal Santo Padre! Prima dobbiamo vedere il documento che il Santo Padre preparerà sulla
base di quello che abbiamo fatto, perché ora tutti gli interventi che sono stati fatti
in aula vengono sottoposti a lui; vedremo quindi cosa ne farà lui. Forse, la possibilità
di un terzo Sinodo spunterà dalle indicazioni che egli stesso darà nel suo documento.
Poi, dipende anche da noi, perché la celebrazione di ciascun Sinodo è anche un impegno
per coloro che partecipano al Sinodo. Nel primo Sinodo – “Chiesa in Africa” – abbiamo
accettato di adottare il paradigma secondo cui dobbiamo sentirci come famiglia: questo
è un compito, un impegno. Ogni pastore, ogni vescovo deve ora organizzare la propria
Chiesa in maniera tale che si percepisca come una famiglia.
D.
- L’esortazione “Alzati Africa”: l’Africa ha le risorse per alzarsi, la capacità?
R.
– Le capacità ci sono e ci sono i mezzi ma ci vuole un buon programma, ben elaborato.
D.
– La Chiesa può essere importante in questo?
R. – Certo!
Io credo che in questo momento ci si possa ispirare a ciò che questa stessa fede e
il Vangelo hanno fatto altrove. Lo sviluppo dell’università, lo sviluppo di tante
altre cose qui in Europa è stato aiutato in gran parte da questa esperienza del Vangelo.
Ugualmente, credo che possiamo e che abbiamo le risorse. Cosa manca? E’ la leadership
che manca: la leadership nella Chiesa e nello Stato. Questo è ciò che si deve cercare
di dare al continente.