Giornata dell'Onu. Mons. Migliore: ripartire dal disarmo nucleare
“Crisi multiple – alimentare, petrolifera, finanziaria, influenzale – stanno colpendo
contemporaneamente, ognuna di queste crisi dimostra una verità del 21.mo secolo: condividiamo
un pianeta, una casa”. E’ un passaggio del messaggio del segretario generale dell’Onu
per l’odierna Giornata delle Nazioni Unite. Ban Ki-moon ricorda i compiti del Palazzo
di Vetro e sottolinea come si stia dando vita ad un nuovo multilateralismo con l’obiettivo
di giungere a risultati concreti, “specialmente per i più bisognosi”. E’ ancora attuale
oggi parlare di unità delle nazioni di fronte alle tante crisi non ancora risolte
in molte aree del pianeta? Benedetta Capelli lo ha chiesto a mons. Celestino
Migliore, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu:
R. – E’ vero
che le crisi si moltiplicano a cascata ma è anche vero che sono proprio le crisi a
riproporre l’urgenza dell’unità delle nazioni sia per difetto che in positivo. Ad
esempio, giustamente ci inquietiamo davanti alla smania di Paesi che vogliono dotarsi
dell’arma nucleare e si minacciano sanzioni e isolamento politico ma senza grandi
risultati. Ebbene questa inconcludenza fa risaltare una verità elementare: nessuno
riuscirà mai a contenere la proliferazione nucleare se i cinque Paesi che nel 1968
si sono arrogati il diritto di possedere legalmente il nucleare a scopi militari non
adempiono ora alla promessa fatta ormai nove anni fa di iniziare negoziati seri e
in buona fede per concertare per primi il loro disarmo nucleare. In positivo invece
possiamo citare la buona coordinazione degli sforzi per contenere i primi episodi
dell’influenza A e per prevenire una vera e propria pandemia.
D.
- Sono molti e importanti i campi di intervento dell’Onu e tanti se ne aggiungono:
solidarietà, mantenimento della pace, sanità, povertà, ma ultimamente anche salvaguardia
del clima e crisi finanziaria. L’Onu è pronta ad affrontare una mole così vasta di
temi?
R. – Lo è se abbiamo ben chiaro che l’Onu non
è tenuta a fare quei miracoli per i quali non è attrezzata. Voglio dire: quel che
si chiede all’Onu è di provvedere tempestivamente a riconoscere le sfide, a coinvolgere
tutti i Paesi del mondo nel dibattito, delle proposte concertate, delle leggi quadro
che poi dovranno essere adottate. Questo l’Onu lo fa seppure a volte con intollerabili
ritardi. Prendiamo il caso della crisi finanziaria: è chiaro che non si può chiedere
a 192 Paesi di mettersi insieme e varare nei dettagli nuove normative o rinnovati
meccanismi di controllo e di azione. Questo spetta piuttosto alle istituzioni specializzate,
alle organizzazioni regionali e ai poteri locali che hanno meccanismi decisionali
molto più agili. Però questi che agiscono in una cerchia più ristretta saranno efficaci
solo nella misura in cui prendono in considerazione il risultato del dibattito e delle
proposte offerte dall’Onu con la partecipazione di tutti i Paesi del mondo anche di
quelli dotati di minor peso politico, demografico ed economico.
D.
– Spesso gli interventi dell’Onu, soprattutto in campo umanitario, non riescono a
superare l’ostacolo della sovranità dei Paesi nei quali intervenire, che vedono poi
messa in pericolo questa prerogativa dalla presenza di operatori stranieri. Oltre
al mantenimento della pace mondiale, scopo per cui l’Onu è nata, occorrerebbe dare
priorità alla salvaguardia dei diritti umani?
R.
– Certamente. Ma in tutto questo c’è un circolo vizioso: cioè, la chiusura all’intervento
umanitario dall’esterno può essere determinata da tante ragioni ma spesso la vera
ragione è che quel Paese ha dei problemi con i diritti umani, intende i diritti umani
a modo proprio, è soggetto al potere politico del momento. Per questo, l’Onu deve
puntare con determinazione su un lavoro preventivo di formazione di un senso generalizzato
della sovranità responsabile: responsabile verso i cittadini prima ancora che verso
il potere. Nei casi estremi, poi, più che a misura di forza o di sanzione, che difficilmente
piegano i poteri politici, occorre coalizzare le nazioni amiche - quelle nazioni che
mantengono interessi di vario genere nel Paese in questione - affinché usino la persuasione
e la pressione politica ed economica.
D. – Perché
la comunità internazionale non riesce ad affrontare ad una voce sola la crisi mediorientale
e quelle ad essa collegate? Che cosa manca alle Nazioni Unite per esprimere un piano
di pace globalmente condiviso?
R. – In 60 anni l’Onu
ha prodotto ben 760 risoluzioni sulla questione israelo-palestinese e nessuna è andata
a segno. Poi, piani di pace ce ne sono in abbondanza: gli accordi di Oslo, gli accordi
di Camp David, Road Map, i lavori del Quartetto, etc. Ma la crisi dei rapporti tra
israeliani e palestinesi, che ormai è cronica purtroppo, potrà essere risolta quando
le parti interessate e in particolare i Paesi allineati all’una o all’altra parte
esprimeranno una volontà politica in tal senso: la sola su cui può puntare l’Onu per
esprimere un piano di pace che funzioni.