I governi di Angola e Repubblica Democratica del Congo hanno deciso di sospendere
le massicce e reciproche espulsioni e i rimpatri forzati, impegnandosi inoltre a cooperare
sul fronte della lotta contro l’immigrazione illegale e a garantire la sicurezza.
La decisione – riporta l’agenzia Misna – è emersa durante una riunione alla presenza
di una commissione mista di rappresentanti dei due Paesi, avvenuta in questi giorni
a Kinshasa, che si è conclusa con l’impegno a ritrovarsi a Luanda a novembre. Preoccupano
tuttavia le condizioni delle decine di migliaia di persone rimpatriate. In Angola,
costretta a gestire il ritorno di circa 42.000 persone, l’Alto commissariato dell’Onu
per i rifugiati (Unhcr/Acnur) ha annunciato l’avvio di un piano di emergenza che prevede
la consegna di tende e beni di prima necessità. La maggior parte dei profughi si trova
in un campo chiamato “Madre Teresa”, collocato nella provincia dell'ex Zaire. Nella
provincia sudoccidentale congolese del Bas-Congo sono invece almeno 18.000 i profughi
rientrati negli ultimi due mesi, molti dei quali hanno anche denunciato maltrattamenti
da parte di soldati angolani. Difficile comprendere le origini della crisi. Alcuni
osservatori parlano di un contenzioso sul controllo di alcune aree ricche di risorse
petrolifere, soprattutto a largo delle coste atlantiche. Non trascurabili però anche
gli scopi politici, soprattutto in Angola, dove il governo da anni respinge i congolesi
da zone dominate dall’opposizione. In questi giorni la notizia di un’incursione dei
soldati angolani in territorio congolese, alla ricerca di presunti ribelli del Fronte
per la liberazione dell’enclave di Cabinda, un movimento armato angolano. (E. B.)