2009-10-23 17:21:46

Una rivoluzione verde per l'Africa al servizio dello sviluppo e della pace: l'appello di scienziati e ricercatori di tutto il mondo riuniti all'Ateneo Pontificio "Regina Apostolorum"


“L’Africa è un continente colpevolmente dimenticato” e per la Chiesa è una grossa sfida pastorale: è quanto sottolineato da mons. Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste e già segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, intervenuto ieri a Roma al convegno dal titolo “Per una rivoluzione verde in Africa. Lo sviluppo è il nuovo nome della Pace”, organizzato dall’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum”. Nell’ambito dell’evento, un gruppo di scienziati e agricoltori africani ha inviato una lettera a Benedetto XVI chiedendo che non sia negato lo sviluppo all’Africa. Il convegno è stato seguito per noi da Cecilia Seppia:RealAudioMP3

 

L’Africa, il continente con il più alto tasso di mortalità per fame e malattie, in cui il sottosviluppo miete ogni giorno migliaia di vittime potrebbe presto diventare il nuovo granaio del pianeta e paradossalmente il punto di svolta della crisi alimentare mondiale. Lo sostengono ricercatori di tutto il mondo, che vedono nell’utilizzo delle nuove tecnologie in campo agricolo il punto di svolta per sconfiggere la povertà. Per far questo servono innanzitutto investimenti adeguati nell’agricoltura, principale attività di sostentamento, come afferma Charles Riemenschneider, direttore del centro investimenti Fao. 

“I think the critical public investments...

Io penso che gli investimenti pubblici in Africa siano davvero cruciali per lo sviluppo e riguardino in primis il miglioramento della ricerca nell’agricoltura, ma anche il miglioramento delle regole di mercato, del potere singolo di ogni Stato. Altri investimenti devono essere fatti per migliorare l’irrigazione e la capacità umana di lavorare la terra. Uno dei paradossi dell’Africa è che le persone che muoiono di fame sono principalmente gli agricoltori. Se sono affamati non riescono a lavorare. Dunque dobbiamo assicurarci che abbiamo un nutrimento adeguato, così da aumentare la loro capacità di produzione. Servono poi investimenti per la formazione dei coltivatori, perché imparino ad usare le nuove tecnologie”.



300 milioni di africani dipendono dalla coltivazione di mais, ma siccità e arretratezza minacciano costantemente il futuro del continente. Per fronteggiare questi problemi bisogna incrementare la produttività attraverso la meccanizzazione, l’utilizzo di fertilizzanti, come gli antiparassitari e l’uso diffuso di sementi selezionate, così anche di Ogm. Lo sottolinea il prof. Gonzalo Miranda, ordinario di bioetica all’ateneo Regina apostolorum.



“Noi vogliamo aiutare a riflettere sulla possibilità di fare un salto di qualità e di creare una nuova rivoluzione verde che però oggi può contare su nuove biotecnologie che potenziano la possibilità di sviluppo. E ci riferiamo concretamente agli organismi geneticamente modificati, per cui, in una situazione nella quale l’acqua manca e c’è una enorme siccità, possono loro produrre - lo stanno già facendo - un mais che sia resistente, cioè che non abbia bisogno di tanta acqua. Noi abbiamo sottolineato l’importanza, la convenienza di usare le biotecnologie, ma è chiaro che bisogna ricordare che non è l’unica strada da intraprendere. Se non c’è un minimo di pace, un minimo di concordia tra le nazioni... C’è sempre bisogno di strutture e di infrastrutture, c’è bisogno di educazione, dunque di scuole. Ci sono tanti bisogni”.  

Dunque uno sviluppo sostenibile e responsabile che metta al centro la persona umana, rendendola autonoma e capace di custodire e coltivare la terra.








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