Nuovo no dei vescovi del Perù alla depenalizzazione dell’aborto
In una breve dichiarazione l’episcopato del Perù, ieri, ha lamentato che la Commissione
del Congresso nazionale che si occupa delle riforme da introdurre al Codice penale
abbia dato il via libera alla discussione sulla depenalizzazione dell’aborto. “Riteniamo,
scrivono i vescovi, che questa decisione sia già di per sé una minaccia, seppure latente,
al diritto alla vita di persone indifese e innocenti”. I presuli rivolgono a “tutti
cittadini che devono prendere decisioni su questo tema” un appello per “misurare le
terribili conseguenze” delle loro azioni e delle loro scelte. D’altra parte ricordano
al Congresso e a tutte le autorità pubbliche, che questa decisione - che apre la strada
alla legalizzazione dell’aborto seppure in condizioni particolari - “non riflette
il sentimento del popolo peruviano, chiaramente schierato in favore della vita”. In
considerazione di questi nuovi fatti, i presuli indirizzano a “tutte le persone di
buona volontà” un’esortazione a “mantenersi in uno stato di allerta per difendere
la vita di ognuno e di tutti dal suo concepimento fino alla morte naturale”. Lo scorso
13 ottobre, mons. Hector Miguel Cabrejos Vidarte, arcivescovo di Trujillo e Presidente
della conferenza episcopale peruviana in una nota aveva già sottolineato che "il primo
diritto di una persona è quello di vivere; a nessuno compete attribuirlo ad alcuni
e privarlo ad altri”. “Se in Perù non c'è la pena di morte per i peggiori criminali
– si chiedeva il presule - come è possibile che siamo in grado di accettare la pena
di morte per un embrione che non ha nemmeno il tempo di commettere errori e non può
neanche difendersi? È giusto tutto questo? È umano?”. Inoltre – affermava la nota
di mons. Cabrejos Vidarte - “non è il riconoscimento da parte di altri a stabilire”
chi gode del diritto di vivere e chi no, “ma qualcosa di precedente”: negare questo
diritto è dunque una discriminazione, una vera e propria “ingiustizia”. La Costituzione
peruviana – si legge nella nota - riconosce che la vita umana inizia dal concepimento,
e sottolinea che il concepito è un soggetto di diritto a tutti gli effetti. E il più
grande di questi diritti è proprio quello alla vita”. Quindi “nessun motivo può conferire
oggettivamente il diritto di disporre della vita degli altri, anche nella sua fase
iniziale”. “Anche il cosiddetto aborto terapeutico – rilevava il presidente dei vescovi
del Perù - è la via ad una pianificazione sistematica eugenetica delle nascite” e
“sta aprendo la strada ad una cultura dell’eutanasia” secondo la quale in determinate
circostanze la vita “non è considerata degna di essere vissuta”. Anche nel caso tragico
dello stupro – spiega - abortire significa considerare che “la vita della madre vale
più di quella del bambino”. Invece “tutti gli esseri umani hanno la stessa dignità
e uguale valore”. (L.B.)