2009-10-23 12:26:22

Messaggio finale del Sinodo: "Africa, alzati e cammina!"


Un lungo applauso: così, stamani, il Sinodo dei Vescovi per l’Africa ha accolto la presentazione del Messaggio finale dell’Assemblea. Alla presenza di Benedetto XVI, la 18.ma Congregazione generale ha visto la lettura del documento in quattro lingue: inglese, portoghese, francese e italiano. Il servizio di Isabella Piro:RealAudioMP3

“Africa, alzati e cammina!”. E’ forte l’esortazione lanciata dal Messaggio finale del Sinodo: non c’è tempo da perdere, dicono i Padri sinodali, l’Africa deve cambiare e non si deve abbandonare alla disperazione.
 
Il documento è suddiviso in sette parti, più un’introduzione ed una conclusione. Numerosi gli appelli in esso contenuti: ai sacerdoti, perché siano fedeli nel celibato, nella castità e nel distacco dai beni materiali. Ai fedeli laici, “ambasciatori di Dio”, perché permettano alla fede cristiana di impregnare tutte le dimensioni della loro vita, poiché non ci sono scuse per chi resta ignorante in materia. In quest’ambito, il Messaggio raccomanda la formazione permanente dei laici e l’istituzione di Università Cattoliche.
 
Un altro appello è rivolto al mondo politico: l’Africa ha bisogno di politici santi che combattano la corruzione e lavorino al bene comune, si legge nel testo. Coloro che non sono formati alla fede, si convertano o abbandonino la scena pubblica per non danneggiare la popolazione e la credibilità della Chiesa cattolica.
 
Il Messaggio chiama poi in causa le famiglie cattoliche, mettendole in guardia dalle ideologie così dette “moderne” e chiedendo ai governi di sostenerle nella lotta alla povertà, perché una nazione che distrugge la famiglia agisce contro i propri interessi.
 
Quindi, i Padri Sinodali guardano alle donne e agli uomini cattolici: le prime vengono definite “la spina dorsale” delle Chiese locali; per loro si auspica una promozione maggiore a livello sociale e vengono invitate a non divenire ostaggio di ideologie straniere “tossiche” sul genere e la sessualità. Al contempo, il Messaggio chiama gli uomini cattolici ad essere mariti e padri responsabili, a difendere la vita sin dal concepimento e ad educare i figli.
 
Poi, l’appello ai giovani e ai bambini, presente e futuro dell’Africa, in cui il 60% della popolazione ha meno di 25 anni. Per entrambi, si raccomanda un apostolato attento, che li tenga lontani dalle sètte e dalle violenze.
 
E ancora, il Messaggio si rivolge alla comunità internazionale, perché tratti l’Africa con rispetto e dignità, cambi le regole del gioco economico e del debito estero africano, fermi lo sfruttamento delle multinazionali, che distrugge le tante ricorse naturali dell’Africa, non nasconda, dietro gli aiuti, altre intenzioni svantaggiose per gli africani.
 
Quindi, il Messaggio finale si sofferma sul problema dell’Aids: la Chiesa non è seconda a nessuno nella lotta contro il virus Hiv e nella cura dei malati, si legge. In accordo con Benedetto XVI, definito “amico autentico dell’Africa e degli africani”, i Padri sinodali ribadiscono che la questione non sarà risolta con la distribuzione di profilattici, e sottolineano il successo ottenuto invece dalla castità e dalla fedeltà.
 
Poi, il documento ribadisce l’importanza del dialogo con le religioni tradizionali, in ambito ecumenico ed interreligioso, in particolare con i musulmani: il dialogo è possibile, si legge nel Messaggio, ma è importante dire no al fanatismo, assicurare il rispetto reciproco e sottolineare che la libertà religiosa è un diritto umano fondamentale e include la libertà di condividere e proporre, non di imporre, la propria fede.
 
Tra gli altri temi trattati dal Messaggio, l’importanza del Sacramento della Riconciliazione e di programmi diocesani sulla pace, lo stop alla pratica della vendetta, il rafforzamento dei legami con le antiche Chiese di Etiopia e di Egitto e tra l’Africa e gli altri continenti, il ringraziamento ai missionari, la necessità di sostenere i migranti e i rifugiati nel mondo perché l’accoglienza è un dovere.
 
Infine, l’esortazione a sostenere il Secam (Simposio delle Conferenze episcopali dell’Africa e del Madagascar) che ha compiuto 40 anni di attività, e a moltiplicare gli sforzi nella comunicazione sociale della Chiesa. Un esempio su tutti: la potenza della radio. In Africa, quelle cattoliche sono passate da 15 a 163 nel giro di 15 anni, dati da non sottovalutare in un mondo “pieno di contraddizioni e di crisi profonde”, in cui l’Africa fa notizia solo in caso negativo.
 
Sui contenuti del Messaggio finale del Sinodo Paolo Ondarza ha intervistato il presidente della Commissione incaricata di redigere il testo, mons. John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja in Nigeria:RealAudioMP3

R. – Il punto centrale è che non possiamo accettare che la situazione in Africa continui così. Tutta questa storia della povertà, delle malattie, delle guerre deve cambiare. Secondo, è possibile cambiare! Per cambiare, però, tutti devono darsi da fare e dobbiamo cominciare da noi stessi, dalla Chiesa, da come gestiamo le nostre diocesi. C’è poi anche la responsabilità delle guide politiche dei nostri Paesi: non si può dire continuamente che abbiamo sofferto la schiavitù, che abbiamo sofferto il colonialismo. Sì, ma sono già passati 50 anni ed è già abbastanza per superare queste cose. Tanti capi di Stato africani hanno fatto l’esperienza dei partiti unici e dicevano che questo era il modo africano per reggere un Paese. Ma siamo nel 2009 e adesso abbiamo imparato che questo non funziona. Vuol dire che dobbiamo accettare il sistema di democrazia multipartitico. Ci sono dei Paesi dove c’è una democrazia multipartitica soltanto nel nome. Quando non c’è una democrazia sincera, le cose non si muovono. Soltanto dopo possiamo parlare anche delle ingerenze esterne.
 
D. – Lei dice che bisogna partire dall’Africa, cioè da un lavoro interno all’Africa...
 
R. – Gli inglesi dicono “charity begins at home”, la carità comincia in casa. Questo è un messaggio indirizzato principalmente all’Africa e a tutti i settori della comunità africana, sia ecclesiale sia sociopolitica, perché possiamo fare meglio di ciò che stiamo facendo.
 
D. – E se dovessimo tracciare un bilancio di questo Sinodo sull’Africa...
 
R. – Forse il bilancio dovrebbe essere tratto da quelli che dovranno studiare il lavoro che abbiamo fatto. Io personalmente dico che abbiamo lavorato molto e credo che abbiamo fatto un buon lavoro, ma non spetta a me correggere i miei compiti! Saranno altri a farlo.
 
D. – Sono emerse delle novità, rispetto anche al primo Sinodo sull’Africa?
 
R. – Sì, credo l’aspetto, per esempio, del dialogo con l’islam. Siamo stati più incisivi, specialmente nei confronti di quei Paesi dove la libertà religiosa non è rispettata e dove si accetta questa situazione come normale. Adesso abbiamo detto che non è giusto e che si deve cambiare. Non sappiamo se cambieranno, ma so che quando cominceremo a guardare quello che succede, specialmente nei Paesi del Maghreb, anche nello stesso Egitto, si saprà se veramente hanno ascoltato il nostro messaggio.
 
In seguito, sollecitato dai giornalisti nella Sala Stampa della Santa Sede, mons. John Onaiyekan, presidente della Commissione per il Messaggio, ha espresso apprezzamento per la recente Costituzione Apostolica per gli anglicani che desiderano entrare nella Chiesa cattolica, approvata da Benedetto XVI. Dal suo canto, mons. Sarraf, vescovo del Cairo dei Caldei, ha sottolineato come nelle Chiese Orientali, ad esempio in quella egiziana, si registri una tendenza crescente al celibato sacerdotale. Infine, una citazione speciale è andata a Julius Nyerere, presidente cattolico della Tanzania, noto per la sua integrità e morto di leucemia nel 1999. La sua causa di canonizzazione è già in corso, un atto che i Padri sinodali definiscono “incoraggiante”.







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