Non privatizzare la famiglia, bene per tutta la società: l'appello del cardinale Antonelli
La famiglia non è una realtà privata ma è anche un soggetto di interesse pubblico,
che porta un grande contributo alla società. Così il cardinale Ennio Antonelli,
presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, intervenuto oggi durante l’apertura
dell’Anno accademico dell’Ateneo pontificio Regina Apostolorum, in occasione della
quale ha tenuto una lectio magistralis sul tema “La famiglia e il bene della società”.
Linda Giannattasio lo ha intervistato:
R. – La famiglia
non è semplicemente una realtà privata, è anche un soggetto di interesse pubblico,
proprio perché la famiglia sana può dare un immenso, insostituibile contributo alla
società, alla convivenza civile, alla coesione e allo sviluppo della società civile.
E quindi ha anche diritto di essere sostenuta, non soltanto considerata portatrice
di bisogni, ma anche soggetto, che deve avere un suo protagonismo, una sua attività
responsabile e che può svolgere pienamente la sua missione procreativa ed educativa.
D.
– Come si può oggi sostenere la famiglia?
R. – Deve
essere sostenuta non solo dallo Stato, ma da tutta la società, anche dalle economie
e dalle imprese. Per esempio, armonizzando i tempi del lavoro con i tempi della famiglia.
E poi tutta una serie di provvedimenti: per esempio, l’equità fiscale nel prelievo
delle imposte, i servizi educativi, assistenziali, l’assistenza integrata...
D.
– Quali sono le maggiori difficoltà che incontra oggi la famiglia?
R.
– La privatizzazione della famiglia, per cui si tende a fare della famiglia una realtà
che non ha niente a che fare con la società, quando invece anche le indagini sociologiche
fatte mostrano che la famiglia sana porta tutta una serie di benefici molto concreti
alla società. Ovviamente, prima di tutto, alimenta le virtù sociali, cosiddette, che
sono indispensabili per la convivenza civile. Ma c’è poi anche, per esempio, una maggiore
frequenza e un maggior profitto negli studi dei figli, una migliore salute psichica
e fisica anche. Quindi, meno droghe, meno alcool, non solo per i figli, anche per
i genitori stessi. Viceversa, la famiglia incompleta, divisa, ha tutta una serie di
costi, anche sociali e persino economici. Per esempio, si sa che i divorziati spesso
finiscono nella povertà. A Milano, per esempio, mi pare che il 30 per cento dei divorziati
frequenti le mense della Caritas.
D. – Al Sinodo
si è parlato anche di “teoria del genere”. In che modo questa influenza la famiglia?
R.
– Contraddice l’identità stessa della famiglia, anzi, prima ancora l’identità dell’uomo
e l’identità della donna. Il genere è una cosa molto diversa dal sesso, perché il
sesso è una realtà biologica, psichica, spirituale, ricevuta dalla nascita, che poi
ovviamente deve essere interpretata, sviluppata dalla cultura, dall’educazione, dalla
presenza nella società. Mentre invece il genere è una realtà puramente convenzionale.
In sostanza, si dice, si nasce neutri: né uomini né donne, ed è la società che costruisce
il genere, l’orientamento sessuale, che non è necessariamente di due tipi, ma può
essere di molti. Questo ovviamente è un modo anche per giustificare poi il matrimonio
degli omosessuali, l’adozione da parte di singoli e di omosessuali. Perché c’è un’azione
culturale e politica che mira proprio a trasformare le regole del vivere civile, a
governare in una prospettiva del genere, non più in una prospettiva di famiglia. Quindi,
è proprio una minaccia grave alla famiglia.