2009-10-22 14:59:27

Non privatizzare la famiglia, bene per tutta la società: l'appello del cardinale Antonelli


La famiglia non è una realtà privata ma è anche un soggetto di interesse pubblico, che porta un grande contributo alla società. Così il cardinale Ennio Antonelli, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, intervenuto oggi durante l’apertura dell’Anno accademico dell’Ateneo pontificio Regina Apostolorum, in occasione della quale ha tenuto una lectio magistralis sul tema “La famiglia e il bene della società”. Linda Giannattasio lo ha intervistato:RealAudioMP3

R. – La famiglia non è semplicemente una realtà privata, è anche un soggetto di interesse pubblico, proprio perché la famiglia sana può dare un immenso, insostituibile contributo alla società, alla convivenza civile, alla coesione e allo sviluppo della società civile. E quindi ha anche diritto di essere sostenuta, non soltanto considerata portatrice di bisogni, ma anche soggetto, che deve avere un suo protagonismo, una sua attività responsabile e che può svolgere pienamente la sua missione procreativa ed educativa.

 
D. – Come si può oggi sostenere la famiglia?

 
R. – Deve essere sostenuta non solo dallo Stato, ma da tutta la società, anche dalle economie e dalle imprese. Per esempio, armonizzando i tempi del lavoro con i tempi della famiglia. E poi tutta una serie di provvedimenti: per esempio, l’equità fiscale nel prelievo delle imposte, i servizi educativi, assistenziali, l’assistenza integrata...

 
D. – Quali sono le maggiori difficoltà che incontra oggi la famiglia?

 
R. – La privatizzazione della famiglia, per cui si tende a fare della famiglia una realtà che non ha niente a che fare con la società, quando invece anche le indagini sociologiche fatte mostrano che la famiglia sana porta tutta una serie di benefici molto concreti alla società. Ovviamente, prima di tutto, alimenta le virtù sociali, cosiddette, che sono indispensabili per la convivenza civile. Ma c’è poi anche, per esempio, una maggiore frequenza e un maggior profitto negli studi dei figli, una migliore salute psichica e fisica anche. Quindi, meno droghe, meno alcool, non solo per i figli, anche per i genitori stessi. Viceversa, la famiglia incompleta, divisa, ha tutta una serie di costi, anche sociali e persino economici. Per esempio, si sa che i divorziati spesso finiscono nella povertà. A Milano, per esempio, mi pare che il 30 per cento dei divorziati frequenti le mense della Caritas.

 
D. – Al Sinodo si è parlato anche di “teoria del genere”. In che modo questa influenza la famiglia?

 
R. – Contraddice l’identità stessa della famiglia, anzi, prima ancora l’identità dell’uomo e l’identità della donna. Il genere è una cosa molto diversa dal sesso, perché il sesso è una realtà biologica, psichica, spirituale, ricevuta dalla nascita, che poi ovviamente deve essere interpretata, sviluppata dalla cultura, dall’educazione, dalla presenza nella società. Mentre invece il genere è una realtà puramente convenzionale. In sostanza, si dice, si nasce neutri: né uomini né donne, ed è la società che costruisce il genere, l’orientamento sessuale, che non è necessariamente di due tipi, ma può essere di molti. Questo ovviamente è un modo anche per giustificare poi il matrimonio degli omosessuali, l’adozione da parte di singoli e di omosessuali. Perché c’è un’azione culturale e politica che mira proprio a trasformare le regole del vivere civile, a governare in una prospettiva del genere, non più in una prospettiva di famiglia. Quindi, è proprio una minaccia grave alla famiglia.







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