La guerra in Iraq ha provocato uno dei più grandi esodi del Medio Oriente. Le agenzie
delle Nazioni Unite parlano di quasi 2 milioni e mezzo di iracheni fuggiti nei Paesi
vicini: Siria, Giordania, Libano, Egitto e Turchia. Altri 2 milioni di iracheni sono
sfollati all’interno del Paese. Un movimento enorme e incessante, di cui poco si parla.
È in questo contesto che nasce la campagna per la raccolta fondi di "Un Ponte Per...",
dal titolo “Emergenza profughi iracheni”, con l’obiettivo di portare assistenza sanitaria
e psicologica alla comunità di rifugiati iracheni in Giordania. Salvatore Sabatino
ne ha parlato con Paola Gasparoli, dell’Ufficio comunicazione di “Un Ponte
Per…”:
R. – Attualmente,
la situazione rimane drammatica ed anche con conseguenze politiche importanti per
i Paesi che hanno subìto l’arrivo dei rifugiati iracheni, anche perché le loro economie
sono già deboli. Pensiamo alla Giordania, ma anche alla Siria. Internamente, l’esodo
di oltre 2 milioni di persone ha portato ad ulteriori sfasamenti politici all’interno
del territorio. Per quanto riguarda i rifugiati esterni, il grosso problema è che
non sono riconosciuti come rifugiati, ma sono considerati ospiti dalla Siria, dalla
Giordania, dal Libano, dall’Egitto, e sono pochissimi, se non inesistenti, le strutture
per dargli un appoggio e un aiuto. La stragrande maggioranza di loro non ha accesso
alle strutture sanitarie, non ha accesso alla scuola.
D.
– Tra questi due milioni e mezzo di iracheni fuggiti nei Paesi vicini ovviamente ci
sono anche centinaia di migliaia di cristiani, che vivevano soprattutto nel nord dell’Iraq.
Qual è la loro condizione?
R. – Personalmente ho
incontrato molti dei profughi cristiani, soprattutto nel nord del Paese, nell’area
del Kurdistan iracheno e in Siria, e la loro situazione è una situazione molto spaesata.
Lì ho incontrato cristiani che arrivavano da zone come Baghdad, per esempio, e che
abitavano in zone anche ricche culturalmente. La loro situazione è decisamente di
tristezza, di frustrazione, per un Paese nel quale prima vivevano serenamente, dove
sentivano un contatto religioso. Parlando, per esempio, con il vescovo di Kirkuk,
Louis Sako, diceva: “Noi eravamo distribuiti sul territorio. Questa nostra condizione
adesso può diventare un pericolo futuro per il dialogo e il rapporto tra di noi”.
Quindi, è veramente una condizione psicologica, umanitaria e anche per loro sanitaria,
che implica spesse volte un lavoro molto forte.
D.
– In questo contesto davvero drammatico nasce la campagna di "Un Ponte Per...", intitolata
“Emergenza profughi iracheni”. Come è possibile aiutare queste persone?
R.
– E’ partito un progetto di assistenza sanitaria sia con unità mobili sia con degli
ambulatori. L’assistenza sarà sia sanitaria, di pronto soccorso e distribuzione di
medicinali, sia socio-psicologica per i bambini e per le donne. Come si può aiutare?
Si può aiutare fino al 30 ottobre, mandando un messaggio sms al 48587. E tutta la
campagna, il progetto, le testimonianze dei profughi e dei rifugiati possono essere
lette sul sito del Ponte, www.unponteper.it.