Nella Giornata Missionaria Mondiale, la testimonianza di padre Pettenuzzo, sacerdote
"fidei donum" in Honduras
“La missione della Chiesa … è quella di chiamare tutti i popoli alla salvezza operata
da Dio tramite il Figlio suo incarnato. È necessario pertanto rinnovare l’impegno
di annunciare il Vangelo che è fermento di libertà e di progresso, di fraternità,
di unità e di pace”: è quanto scrive Benedetto XVI, nel suo messaggio per l'odierna
Giornata Missionaria Mondiale, che invita a riflettere sulle difficili realtà di alcune
Chiese locali e sul lavoro di tanti missionari che, come ha ribadito anche oggi all'Angelus,
hanno consacrato totalmente la loro vita per l'evangelizzazione. È il caso di padre
Severino Pettenuzzo, sacerdote fidei donum in missione in Honduras, che
- raggiunto telefonicamente da Tiziana Campisi - racconta ai nostri microfoni
la sua esperienza in alcuni Paesi in via di sviluppo:
R.
– Ho fatto il missionario in Africa, sono stato a Portorico sette anni, ho una relazione
con la gente molto diretta e ho visto la realtà dell’importanza del Vangelo, della
Parola, per salvare l’uomo integralmente. Ho dovuto ridimensionare molte cose nella
mia vita. Pensavo fossero importanti molte attività sociali nella scuola, negli ospedali
e altre cose, però la più importante è curare il cuore dell’uomo ponendolo direttamente
in contatto con il Signore. Ho visto in questo senso un cambio nella gente che umanamente
e socialmente viveva una miseria umana nella propria vita. Il fattore necessario per
lo sviluppo totale dell’uomo è veramente l’incontro con Gesù Cristo morto e risorto
per noi.
D. – Nelle terre più difficili, nei luoghi
più poveri, cosa può dare un sacerdote?
R. – La presenza
è importantissima. E’ sempre un segno sacramentale dell’amore di Dio. Quando la gente
si sente amata e perdonata, si sente elevata nella propria dignità di persona. Anche
in mezzo alla perversione umana, alla povertà, la presenza del sacerdote, la presenza
della Chiesa è importantissima e aiuta la gente a recuperare la stima di se stessi,
a recuperare una dimensione nuova che è la dimensione eterna; la dimensione della
relazione con la persona, per sentirsi come persona e non come oggetto. E’ fondamentale
poter trasmettere questo: l’autostima, l’amore verso se stessi e verso Dio e i fratelli.
D.
– Lei si è donato per le missioni, che cosa ha ricevuto nei vari Paesi in cui è stato?
R.
– La cosa fondamentale che ho ricevuto è imparare a donarmi, che non è una cosa facile
e ancora non ho imparato a offrirmi totalmente. Vedo che ho molte riserve, però vedo
che il Signore con molta pazienza mi sta trasmettendo il suo spirito in modo che io
possa darmi totalmente, per potere essere strumento e alimento per la gente che incontro
tutti i giorni. Non potrei stare qui se il Signore non mi desse la forza di offrirmi,
dovendo lottare tutti i giorni con la mia debolezza, con il mio egoismo, con la mia
povertà umana che però vedo che il Signore utilizza.
D.
– Nei Paesi più agiati non sempre è facile ricordarsi delle terre difficili e delle
terre di missione ma la Giornata Mondiale per le missioni ci ricorda che esistono
delle realtà in cui ci sono delle necessità particolari…
R.
- L’uomo moderno non è felice, sta scappando dalla relazione con se stesso e poi deve
imparare a donarsi, che è la cosa per la quale siamo stati creati ed è la cosa che
ci dà anche il senso di realizzazione e di felicità profonda. Ci sono un sacco di
bisogni da queste parti. Penso che la sofferenza umana sia diversa a volte però l’inferno
lo possiamo incontrare qua, nei nostri Paesi molto poveri, ma anche in Italia, in
Europa, dove ci sono molte cose dal punto di vista materiale, però c’è un vuoto esistenziale
profondo nel cuore dell’uomo.