Al Sinodo per l'Africa la bozza del Messaggio finale. Il vescovo di Abuja: diamo voce
a chi non ha voce
Alla presenza di Benedetto XVI, si è svolta stamani la sedicesima Congregazione generale
del Sinodo dei Vescovi per l’Africa, in corso in Vaticano sui temi della riconciliazione,
la giustizia e la pace. A chiudere la seconda settimana di lavori è stata la presentazione
della bozza del Messaggio finale dell’Assemblea. Il documento provvisorio verrà poi
rivisto, sottoposto al voto dell’Aula e presentato ufficialmente venerdì prossimo.
Ce ne parla Isabella Piro: Ricco,
pieno di speranza, che colpisce al cuore e potrà essere cibo per la fede di molti
africani. I Padri Sinodali hanno definito così il Messaggio provvisorio presentato
stamani in Aula. Un testo letto da quattro voci diverse in quattro lingue diverse:
inglese, italiano, francese e portoghese. Quattro lingue e quattro voci, dunque, ma
per un unico contenuto cruciale: il tema della riconciliazione, della giustizia e
della pace è della massima urgenza in Africa e deve permeare tutto il continente.
Il Messaggio provvisorio del Sinodo parte da qui e le linee
tracciate finora, e in attesa della versione definitiva, fanno riferimento all’importanza
di pace e giustizia nella famiglia, nei confronti delle donne, in un mondo politico
che deve essere al servizio del bene comune; fanno riferimento al bisogno di tutelare
i bambini e l’ambiente, alla necessità di sviluppare la comunicazione sociale della
Chiesa e di cambiare i principi che regolano la finanza mondiale. La
bozza di Messaggio guarda anche alla preparazione culturale dei fedeli laici, alla
necessità di sostegno e di formazione per i giovani, che rappresentano più del 60%
delle popolazione africana, e alla cooperazione in tutto il sud del mondo. Nel testo
provvisorio, i Padri Sinodali pensano, poi, ai tanti migranti africani nel globo,
riflettono su una maggiore diffusione della Dottrina Sociale della Chiesa, rendono
omaggio ai tanti missionari, in Africa e nel resto del mondo, che si prodigano per
il cristianesimo. Il Messaggio ancora in bozza, inoltre, si
sofferma sulla povertà, grande ostacolo alla pace, sulla pandemia di Aids e sull’importanza
del dialogo interreligioso ed ecumenico, da coltivare sempre, perché l’unità è fonte
di grande forza. Infine, i Padri Sinodali invitano l’Africa
a non disperarsi perché il continente è ricco delle benedizioni di Dio e ribadiscono
che il destino del Paese è nelle mani degli africani stessi e che tocca soprattutto
a loro dare nuovo slancio al continente. Con la presentazione
della bozza del Messaggio finale, dunque, si è chiusa questa mattina la seconda settimana
di lavori del Sinodo dei Vescovi. Sui contenuti e le finalità di questo documento,
la cui versione definitiva sarà votata e illustrata venerdì prossimo, Paolo Ondarza
ha intervistato il presidente della commissione per il messaggio, mons. John Onaiyekan,
arcivescovo di Abuja in Nigeria:
R. – Nel
messaggio non c’è nessuna intenzione di riassumere tutto il lavoro del Sinodo. La
seconda cosa è il linguaggio che abbiamo cercato di adottare: il linguaggio di un
Messaggio che viene indirizzato alla nostra gente. Il Messaggio, inoltre, è stato
indirizzato a diverse categorie della comunità africana non soltanto della Chiesa.
Spero che ciò che abbiamo da dire riguardo ai responsabili delle cose pubbliche africane
venga da loro ascoltato perché così siano veramente responsabili della situazione
in Africa adesso e allora si assumano la responsabilità. D.
– Quindi c’è un’esortazione in questo senso… R. – Sì, l’esortazione
è dire: guardate ciò che l’Africa è, certamente non è qualcosa di cui possiamo essere
fieri. Non possiamo continuare a scaricare le colpe altrove. Sì, ci sono delle ingerenze
esterne, delle responsabilità politiche dei grandi poteri, però questo non può essere
il pretesto per non fare qualcosa. Poi abbiamo dovuto parlare fortemente contro tutto
un modo di fare degli uomini politici. Ci sono strutture democratiche che vengono
completamente sovvertite. D. – I cosiddetti colpi di Stato silenziosi… R.
– Esattamente. I dittatori che stanno lì e che organizzano le elezioni ogni quattro
anni e che non dicono niente: la comunità internazionale continua a far finta di non
vedere niente. D. – Tutto apparentemente sembra svolgersi democraticamente… R.
– Ma la gente stessa che subisce le conseguenze di questo sa bene di non aver scelto
il proprio governo. Nel Paese dove qualche tentativo modesto è stato fatto per avere
un sistema democratico decente si vede già il risultato positivo, sia per quanto riguarda
la pace nel Paese sia anche nei risvolti economici per il popolo. Se un Paese è ben
organizzato gli altri lo tratteranno con dignità. D. – Dunque
il messaggio è uno strumento da offrire sia alla Chiesa ma anche alle società africane… R.
– Addirittura alla comunità internazionale perché non si deve dimenticare che questa
non è una riunione di vescovi africani che si tiene a Roma, questo è il Sinodo dei
Vescovi. D. – Come formulare un messaggio che sia adattabile
alle variegate situazioni in Africa? Come rivolgersi a tutte le singole realtà in
un unico messaggio? R. – Certamente è possibile. Tutto il discorso
su cosa vogliono dire riconciliazione, pace, giustizia, è universale per tutti, non
soltanto per l’Africa. Quando un Sinodo come questo si riunisce, i problemi di una
parte sono i problemi di tutti. Questo vuol dire Sinodo. D.
– Si cammina insieme… R. – Insieme, camminiamo insieme. La cosa
bella nel Sinodo è che può anche succedere che la Chiesa in determinate situazioni
non possa parlare ma tutti noi possiamo parlare per loro. Le cose che i vescovi non
possono dire a casa, il Sinodo le può dire per loro. Diciamo in inglese: giving voice
to the voiceless, dare voce a chi non ha voce.