Congresso a 30 anni dalla Redemptor hominis: intervista con il cardinale Caffarra
Alla Pontificia Università Lateranense, a Roma, è iniziato oggi un Congresso di due
giorni sul tema “Verso Cristo”, che riflette sull’attualità dell’Enciclica Redemptor
hominis di Giovanni Paolo II a 30 anni dalla sua pubblicazione. Valentina
Fizzotti ha intervistato il cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna,
che ha aperto i lavori del Congresso, organizzato dal Pontificio Istituto Giovanni
Paolo II per studi su Matrimonio e Famiglia insieme con i Cavalieri di Colombo.
R. - La Redemptor
hominis dice: l’uomo non conoscerà mai se stesso fino a quando non incontra una vera
esperienza di amore, e pertanto dobbiamo testimoniare all’uomo questo. Perché questa
risposta è attuale oggi? Perché l’uomo, di fatto, si trova come dentro ad una sorta
di condizione che gli fa dire: 'mi trovo dentro a una situazione da cui ormai non
posso più uscire, a un destino di tecnocrazia dentro al quale non conosco più me stesso'.
L’unico modo per far scoprire all’uomo chi è - e fargli vedere la via - è una sorta
di scossa, che fa dire: 'ma io non sono questo oggetto che mi vogliono far essere'.
Perché? 'Perché c’è qualcuno che mi ama'.
D. – Ma
in che modo concreto la testimonianza di amore è la via per la conoscenza dell’uomo
di sé?
R. - Io non vedo altra strada che questa:
di far sentire a questo uomo in carne ed ossa, come dice la Redemptor hominis, a questo
ragazzo che ho di fronte, che io gli voglio bene, perché Cristo lo ama. In quel momento
la persona, sentendosi amata, comincia ad avvertire l’importanza del suo esserci,
cioè il valore, cioè il "prezzo" della sua persona. In questo senso, secondo me, l’intuizione
di Giovanni Paolo II è formidabile, perché in sostanza dice: 'solo se tu incontri
un atto d’amore storicamente accaduto verso l’uomo, che è il dono che Cristo ha fatto
di se stesso, tu hai la giusta misura di te stesso'.
D.
– Su questo Benedetto XVI anche recentemente ha detto parole importanti…
R.
– Benedetto XVI in quel famoso Angelus dell’8 agosto, secondo me voleva dire questo:
dentro all’inferno della pura insignificanza che è il campo di concentramento nazista
e il gulag comunista, Edith Stein, Massimiliano Kolbe, sono riusciti a dire la verità
sull’uomo, prendendo il posto di un altro e morendo per lui - questo lo ha fatto Massimiliano
Kolbe; Edith Stein, invece, non tradendo la condivisione, il destino del suo popolo.
Questo incontro ha un eminente valore conoscitivo. All’interno di questo incontro
io, quindi, comincio ad avere una conoscenza di che cosa significa essere persona.
Dobbiamo andare alla scuola dei greci che in fondo avevano già detto, in sostanza,
cos’è che muove l’uomo: la conoscenza, un impatto con la realtà, cioè la realtà, e
questa mi stupisce.