Violenze continue in Afghanistan e Pakistan orchestrate dai talebani
Una serie inarrestabile di violenze sta colpendo Pakistan e Afghanistan. L’ultimo
episodio, ieri, in un bazar di Alpuri, cittadina al confine tra i due Paesi, dove
un kamikaze si è fatto esplodere tra la gente, causando almeno 45 morti. Alla base
degli attacchi sempre i talebani, che - secondo molti analisti internazionali - avrebbero
ripreso il controllo di tutta l’area. Salvatore Sabatino ne ha parlato con
Elisa Giunchi, docente di Storia ed Istituzione dei Paesi Islamici presso l’Università
Statale di Milano:
R. - Si tratta
di azioni che sono volte innanzitutto a vendicare la morte di Beitullah Masud, il
leader del Ttp che è stato ucciso ad agosto dagli americani. Poi, si tratta di una
reazione alle operazioni militari nello Swat, iniziate a maggio e concluse a luglio
e, probabilmente, si tratta anche di un avvertimento alle autorità pakistane, in una
fase in cui è imminente - così per lo meno sostengono le autorità pakistane - una
nuova offensiva nelle agenzie tribali di confine, che sono poi quelle nelle quali
è più forte, più consolidata, la presenza dei cosiddetti talebani pakistani. Credo
che sia importante, comunque, tenere presente che siamo davanti ad una convergenza
di gruppi diversi, quindi gruppi non tradizionalisti, presenti da decenni nell’area,
che sono riusciti ad avanzare e a consolidare la propria presenza proprio perché,
all’esterno e a livello regionale e internazionale, vi sono stati degli eventi che
hanno creato o rafforzato movimenti di natura diversa: movimenti islamisti con respiro
regionale assieme a un’agenda globale.
D. - Le forze
internazionali presenti nell’area sembrano indebolirsi sempre di più. Quali sono stati
gli errori che hanno portato a questa situazione?
R.
- Direi che da parte delle autorità pakistane l’errore è stato alternare repressione
e negoziato, senza rendersi conto che per decenni questa strategia non ha funzionato.
In parte, il governo pakistano ha fatto degli accordi di cessate-il-fuoco, che hanno
implicato anche delle concessioni, lasciando così spazio a questi movimenti di allargarsi
e consolidare il proprio controllo sulla popolazione. Quindi, queste aree già tradizionalmente
autonome dal governo centrale si sono staccate ulteriormente dal governo centrale.
D.
- La politica e la diplomazia possono ancora fare qualcosa? Come si può uscire da
questa situazione?
R. - Con un coinvolgimento di
ampio respiro. La crisi è una crisi regionale che coinvolge l’Afghanistan e il Pakistan,
come si è reso conto Obama, ma non solo: coinvolge anche l’Iran, la Cina, l’Arabia
Saudita - di cui si parla molto poco, ma che ha chiare responsabilità in ciò che sta
accadendo - e l’India. Ed è risolvendo i contenziosi che esistono tra questi Paesi,
gli interessi divergenti nell’area, che si può sicuramente risolvere la crisi afghana.
In secondo luogo, io credo personalmente che le strategie militari non solo siano
state poco efficaci fino ad oggi, ma anche controproducenti, perché i raid aerei non
hanno fatto che creare ostilità da parte della popolazione, sia pakistana, sia afghana,
nei confronti delle truppe straniere e di riflesso nei confronti dei governi. Io credo
che la soluzione possa trovarsi in entrambi i Paesi nello sviluppo e nell’integrazione
delle aree pashtun all’interno dello Stato.