Dal Sinodo per l'Africa l'appello all'abolizione della pena di morte e la denuncia
dei golpe silenziosi. Intervista con mons. Biguzzi
I colpi di Stato “silenziosi” e l’esigenza di un “buon governo” hanno dominato, stamani,
l’undicesima Congregazione generale del secondo Sinodo dei Vescovi per l’Africa, in
corso in Vaticano sui temi della riconciliazione, la giustizia e la pace. Alla presenza
di Benedetto XVI, i presuli hanno riflettuto anche sui temi della migrazione interna
e sui rapporti con le religioni tradizionali africane. In chiusura dei lavori, poi,
l’Aula del Sinodo ha ribadito l’appello per l’abolizione totale della pena di morte.
Il servizio di Isabella Piro:
Un appello
inequivocabile per l’abolizione, totale e universale, della pena di morte: l’Aula
del Sinodo lo ribadisce e ricorda che la voce della Chiesa è quanto mai necessaria
di fronte a crimini come i trattamenti brutali dei prigionieri di guerra, l’uccisione
di civili nei conflitti, il reclutamento dei bambini-soldato. La strada della riconciliazione,
dicono i Padri Sinodali, passa attraverso il rifiuto di simili violenze perché la
guerra non è una giustificazione per i crimini contro l’umanità.
Partendo
poi dal caso del Sud Africa, il Sinodo riflette sui colpi di Stato “silenziosi”, quelli
perpetrati da partiti magari eletti regolarmente dal popolo, ma che poi non ne ascoltano
la voce, si identificano totalmente con lo Stato, non vogliono un’alternanza democratica
al potere. Per questo, viene ribadita l’urgenza di riforme per un sistema di giustizia
equo, perché il “buon governo” non è solo una priorità, ma una necessità.
E
in quest’ambito, la Chiesa ha il diritto di far sentire la propria voce: non si tratta
di interferenza nel campo politico, dicono i Padri Sinodali, perché la Chiesa parla
in difesa dei diritti degli uomini, figli di Dio. I pastori non vogliono prendere
il posto degli economisti o dei politici, ma solo aiutare tutti i fedeli a vivere
una vita più autenticamente cristiana.
Quindi, il
Sinodo per l’Africa guarda alle migrazioni interne che coinvolgono almeno 40 milioni
di persone e auspica che tutte le Conferenze episcopali africane si dotino di una
pastorale per la mobilità umana, coinvolgendo anche chi è migrato all’estero, ha trovato
un lavoro ed ora può aiutare il proprio Paese d’origine. Centrale anche l’attenzione
alle religioni tradizionali africane, che costituiscono la matrice per forgiare una
cultura di riconciliazione.
Poi, dai Padri Sinodali
arrivano alcuni suggerimenti: istituire un fondo di solidarietà diocesano, regionale
e continentale, gestito dalla Caritas, che aiuti l’Africa svincolandola dagli aiuti
dell’Occidente; creare Facoltà universitarie per la pace e la riconciliazione; promuovere
la devozione alla Divina Misericordia che può favorire il dialogo con l’Islam.
E
ancora: i presuli chiedono una riflessione attenta sul drammatico fenomeno della stregoneria,
che vede molte persone discriminate, isolate, vittime di violenze perché accusate
di poteri sovrannaturali. E attenzione viene richiesta anche per i giovani così che,
attraverso una maggiore diffusione della Dottrina Sociale della Chiesa, imparino a
lavorare per la pace. I piani pastorali, inoltre, dovrebbero assegnare un posto più
importante al sacramento della riconciliazione.
Spazio,
poi, a donne e bambini: per le prime si richiede un maggior coinvolgimento nelle Commissioni
Giustizia e Pace, mentre per i secondi, soprattutto per gli orfani di guerra, si auspica
una sempre maggiore accoglienza in tutte le strutture ecclesiastiche, poiché troppo
spesso questi piccoli hanno soltanto la Chiesa da chiamare “Madre”.
Infine,
i Padri Sinodali guardano avanti e suggeriscono che l’Assemblea Speciale per l’Africa
si concentri sulla formazione dei sacerdoti perché il futuro di questo continente
dipende anche da loro.
E come abbiamo sentito stamani
è stato lanciato un appello per l’abolizione della pena di morte. La proposta è partita
dal vescovo di Makeni, in Sierra Leone, e presidente della conferenza episcopale nel
paese, mons. Giorgio Biguzzi. Ascoltiamolo al microfono di Paolo Ondarza.
R. – In Serria
Leone c’è nella legge la possibilità della pena di morte. Il guaio è che è stata usata
da regimi passati, spesso come un sistema per eliminare gli avversari politici. Mai
la dottrina della Chiesa ha voluto questo: la pena di morte non è ammissibile. Io
– ma non solo io – ho lanciato qui nel Sinodo, anche qualche giorno fa, nella discussione
libera, questo tema perché il Sinodo ne faccia un punto fermo per tutto il continente.
D.
– Come viene recepito il no della Chiesa alla pena di morte nel suo Paese?
R.
– Io penso che la gran parte dei nostri cattolici lo accettano e lo vogliono. C’è
però – devo riconoscerlo – un certo gruppo che pensa, ritiene che per i crimini più
gravi sia una “giusta retribuzione”, per così dire.
D.
– Anche tra i cattolici?
R. – Anche tra i cattolici
c’è chi la pensa così. La Commissione Giustizia e Pace, nelle proprie raccomandazioni
fatte al governo della Sierra Leone, ha chiesto l’abolizione della pena di morte.
Però, appena è stato pubblicato il rapporto della Commissione, c’è stata una risposta
dal governo in carica all’epoca che diceva: “No, non possiamo accettare l’abolizione
della pena di morte per tutti i crimini. Per alcuni, molto gravi, la conserviamo”.
Quindi non c’è ricezione generale di questo messaggio, che venga abolita in maniera
completa.
D. – Nel suo intervento, lei ha formulato
una proposta che ha ricevuto anche molti consensi …
R.
– Sì: una proposta rivolta alle Chiese dell’Europa e del Nord America. Questo lo sento
molto. Ho visto che gli altri vescovi sono d’accordo, e sono loro molto grato. Perché
l’evangelizzazione e la crescita della Chiesa nell’Africa sub-sahariana la si deve
all’aiuto in personale e in mezzi da parte delle Chiese dell’Occidente. Oggigiorno,
però, queste Chiese intervengono e fanno progetti di sviluppo con i loro uffici. Questo
è l’appello che voglio rivolgere, proprio cordialmente, umilmente. Io dico: perché
fare questi progetti di sviluppo creando altre organizzazioni parallele a noi, e non
invece attraverso le nostre Caritas o attraverso i nostri uffici diocesani di sviluppo,
attraverso le nostre Commissioni di Giustizia e Pace?
D.
– Dall’Aula del Sinodo lei ha rivolto un appello: che il Papa venga a visitare la
Sierra Leone.
R. – Noi abbiamo già fatto domanda
ufficiale attraverso i canali propri, cioè attraverso il nunzio e abbiamo ricevuto
risposta che la domanda è arrivata a Roma. Noi speriamo che venga a confermarci nella
fede e a gioire, anche, dell’ospitalità e della cordialità e della vitalità della
nostra piccola Chiesa.