Da immigrato a sacerdote: intervista con don Bangaly Marra, della Costa d'Avorio
Da islamico a cattolico, da immigrato irregolare a sacerdote, da operaio in fabbrica
a parroco in una chiesa del milanese: la vita di don Bangaly Marra, 38 anni,
si può riassumere così. Originario della Costa d’Avorio, questo religioso africano
è arrivato in Italia 16 anni fa come immigrato irregolare ed è rimasto per due anni
nella clandestinità. Poi, l’incontro con Cristo e la scelta di dedicare la propria
vita al Signore. Ordinato sacerdote nel giugno scorso, oggi don Bangaly opera come
vicario nella Comunità pastorale “Regina degli Apostoli” a Bernareggio, in provincia
di Milano. Al microfono di Isabella Piro, il racconto di com'è nata la sua
vocazione:
R. - La mia
vocazione è stata un lungo percorso: fin dall’infanzia sono stato sempre in cerca
di un Dio che potesse darmi una risposta alle tante domande che avevo dentro. Ho sentito
così la chiamata. Una chiamata intima, profonda, che mi ha portato a rispondere e
a dire di sì. Posso dire che l’ho fatto sotto la mano di Dio: è stato il suo Spirito
che mi ha guidato fin quando non l’ho trovato e ho detto di sì. D. - Lei viene
da una famiglia islamica osservante. Da cosa nasce la sua necessità di convertirsi
al cattolicesimo? R. - E’ vero, sono nato in un contesto islamico. Diciamo che
non ero soddisfatto, cercavo qualcosa che andasse oltre a quello che i miei genitori
mi avevano insegnato. Ho trovato così la risposta. Cercavo qualcosa di più grande
e questa ricerca mi ha portato a ritrovare il Signore nella lettura del Vangelo. Nella
Parola di Dio ho trovato quello che cercavo. Questo mi ha spinto ad aprirmi e ad accogliere
quel dono che ho trovato nel Vangelo, a mettermi a servizio di Dio e degli altri.
Anche per questo ho scelto di diventare sacerdote. D. - I suoi familiari come hanno
accolto questa scelta? R. - Hanno cercato di sapere perché avessi fatto questa
scelta ed ho dovuto spiegare loro le mie motivazioni: gli ho detto di come siamo tutti
liberi, anche nelle vicende della fede e della religione, ed allora non hanno insistito
più di tanto. Hanno capito che dicevo sul serio e che non era uno scherzo. Io sentivo
veramente dentro di me questa strada. Loro l’hanno capito e mi hanno lasciato proseguire
lungo questo cammino. D. - Lei è giunto in Italia sedici anni fa. Com’è stato l’impatto
con questo Paese, si è scontrato con la diffidenza e i pregiudizi? R. - Nel 1993,
non c’era ancora tutto questo. Sono arrivato e non esisteva ancora il visto tra la
Costa d’Avorio e l’Italia, perciò sono rimasto in una situazione di clandestinità.
Il problema vero era soltanto la lingua. Ho trovato delle brave persone, che non mi
hanno creato problemi. D. - Prima di scegliere la vita sacerdotale ha lavorato
in fabbrica. Cos’ha imparato da quest’esperienza? R. - E’ stata un’esperienza davvero
bella. Ho faticato, ho conosciuto la vita degli operai e quando adesso mi trovo a
parlare con qualcuno che lavora so veramente qual è la fatica che si fa. E’ stato
un momento difficile, ma anche un momento in cui ho incontrato il Signore. D. -
I suoi parrocchiani come l’hanno accolta? R. - Sono stato accolto bene. I parrocchiani
mi manifestano sempre l’amore di Cristo, l’amore di Dio, l’amore fraterno. D. -
L’accoglienza e l’integrazione, secondo lei, su quali principi devono basarsi? R.
- Nella Parola di Dio troviamo tutto: per il prossimo, per il povero, quello che arriva
e che non conosciamo, che bussa alla nostra porta. Il Signore ci insegna ad accogliere
quelle persone che magari sono sfiduciate, che sfuggono dalla fame e dalla miseria.
Quando bussano alla nostra porta siamo chiamati a non avere paura del prossimo, dell’altro,
e ad accoglierlo, ad ascoltarlo e a cercare di aiutarlo. D. - Lei è stato consacrato
sacerdote nel mese di giugno, mese in cui si è aperto ufficialmente l’Anno Sacerdotale.
Cosa rappresenta, per lei, quest’evento? R. - E’ un anno in cui devo tornare all’essenziale
della mia vita sacerdotale. Devo avvicinarmi, pregare, prendere i Sacramenti, ma anche
essere più disponibile verso gli altri, verso i miei parrocchiani. L’Anno Sacerdotale
non dev’essere soltanto per i sacerdoti, ma deve espandersi verso tutti i battezzati
che devono riscoprire la loro vocazione sacerdotale, perché ogni battezzato partecipa
alla missione di Cristo. D. - Il Sinodo dei vescovi per l’Africa quale aiuto potrà
portare al suo continente d’origine? R. - Il mio augurio per i vescovi è che possano
essere illuminati. Illuminati dallo Spirito per poter comprendere al meglio i veri
problemi dell’Africa e delle sue comunità ed affrontarli. L’Africa ha bisogno di masticare
bene la Parola di Dio, comprendere ed entrare nel mistero del Vangelo e nel mistero
di Cristo. L’inculturazione e la tradizione del Vangelo possono fare in modo che i
fedeli possano gustare e capire meglio la Parola di Dio. Il contatto con la Parola
dev’essere una cosa prioritaria.