Si celebra oggi la settima edizione della Giornata mondiale contro la pena di morte,
l’iniziativa promossa da Amnesty International e da altre organizzazioni abolizioniste.
Incoraggiando dibattiti e incontri nelle scuole, quest’anno Amnesty mette al centro
il percorso educativo dei giovani verso la cancellazione della condanna capitale.
Ma qual è il significato di questo appuntamento? Giuseppe Petrocelli lo ha
chiesto a Riccardo Noury, portavoce della sezione italiana di Amnesty International:
R. – Oltre
ad essere la settima edizione della Giornata mondiale contro la pena di morte, quest’anno
ricorre anche il 20.mo anniversario della Convenzione sui diritti dell’infanzia. E’
un patto internazionale estremamente importante che prevede una serie di garanzie,
tra le quali il divieto assoluto della pena di morte nei confronti dei minorenni al
momento del reato. E quello che Amnesty International vuole mettere in luce quest’anno
è che ci sono quattro Paesi che ancora continuano ad emettere e ad eseguire condanne
a morte nei confronti di persone che avevano meno di 18 anni al momento del reato:
Arabia Saudita, Iran, Sudan e Yemen.
D. – In generale,
qual è la situazione?
R. – Al di là di questo aspetto
particolarmente terrificante, di mettere a morte ragazzini, oggi il mondo in realtà
è sempre più libero dalla pena di morte. I Paesi che l’hanno abolita sono 139: questo
numero è aumentato anche quest’anno con il Burundi e il Togo entrati nella lista dei
Paesi abolizionisti per tutti i reati. Negli Stati Uniti ci sono timidi passi avanti;
in Paesi che mantengono la pena capitale si diminuisce il numero dei reati punibili
con la pena di morte, come il Vietnam. Insomma, si può dire che, se la pena di morte
è ancora prevista in una cinquantina di Paesi, una vera e propria emergenza c’è in
Cina, Iran, Arabia Saudita. E c’è purtroppo anche una questione che riguarda il nostro
continente, dove la Bielorussia continua ad emettere e ad eseguire condanne a morte,
e ce n’è una prevista addirittura all’inizio della prossima settimana.
D.
– Che bilancio si può fare a due anni dalla moratoria delle Nazioni Unite?
R.
– E’ importante, questa moratoria; è importante dare continuità. Quindi, in ogni occasione,
in primo luogo nell’Assemblea generale dell’Onu in corso, ribadirla e aumentare il
consenso intorno all’idea che si debbano sospendere tutte le esecuzioni in vista dell’abolizione.
Occorre lavorare sugli Stati che ancora mantengono la pena capitale e naturalmente
bisogna salvare vite umane. Da qui, gli appelli che le organizzazioni abolizioniste
promuovono ogni giorno … Insomma, è un mix di lavoro sulle istituzioni e lavoro sui
singoli governi e quest’anno, in particolare, anche lavoro sui giovani perché poi
siano loro a poter parlare di pena di morte e a spiegare ai loro genitori e ai loro
amici, essere attivisti dei diritti umani – in poche parole – e raccontare le buone
ragioni abolizioniste.