Pax Christi: aiutiamo i cristiani a restare in Iraq
L’Iraq, di fronte alle altre emergenze internazionali, rischia di venire dimenticato.
Tensioni e violenze sono all’ordine del giorno. Tra ieri e oggi nuovi attentati a
Mosul e Baghdad hanno causato diverse vittime. La piccola comunità cristiana continua
ad essere vittima di attacchi indiscriminati ed è spesso costretta all’esodo. Una
realtà, questa, probabilmente destinata ad aggravarsi, come afferma un comunicato
di Pax Christi. Una delegazione del movimento cattolico internazionale per la pace
è rientrata da poco dall’Iraq. Ne faceva parte don Renato Sacco. Sentiamo la
sua testimonianza nell’intervista realizzata da Giancarlo La Vella:
R. – Qualche
anno fa Giovanni Paolo II diceva: “la guerra è un’avventura senza ritorno”. Oggi l’Iraq
è una terra un po’ ignorata. In quella terra dove le guerre si sono succedute con
un incalzare diabolico, le conseguenze le paga la gente e in particolare le minoranze
e i cristiani.
D. – Quali sono le testimonianze che
lei ha raccolto dalla gente irachena?
R. – Soprattutto
i profughi. A nord, chi è dovuto scappare, in particolare da Baghdad e da Mossul,
dice: “Non abbiamo lavoro, non abbiamo soldi per pagare l’affitto, non abbiamo neanche
benzina”. Paradossalmente, nel Paese del petrolio, qualcuno controlla il petrolio,
ma a noi non arrivano tutti questi benefici. Abbiamo incontrato alcuni esponenti della
società civile, per esempio, chi lavora per la non violenza. In quella terra c’è ancora
chi lavora per difendere non solo i diritti umani, ma anche chi crede che l’unica
possibilità sia quella del rifiuto della violenza. Quindi, testimonianze dolorose
spesso, ma anche cariche di grandi speranze, perché il futuro deve essere per forza
diverso, deve essere un futuro di vita.
D. – Una
situazione, dunque, grave nella quale la comunità cristiana si trova sempre più in
difficoltà…
R. – Sì, i cristiani sono in difficoltà
e molti hanno lasciato il Paese, ma tutti gli iracheni sono in difficoltà, perché
quando scoppia un’autobomba muoiono i cristiani e muoiono i musulmani, muoiono i turkmeni,
muoiono gli yazidi, i curdi, muoiono tutte le persone. Quindi, i cristiani, in quanto
minoranza, sono spesso vittime. Proprio in questi giorni era stato liberato un medico
a Kirkuk, torturato in modo barbaro. Il 3 ottobre scorso era stato rapito un infermiere
sempre a Kirkuk e qualche giorno fa è stato ritrovato il suo cadavere con segni di
tortura. Sicuramente questo spegne la speranza dei cristiani. Il sogno degli iracheni
è quello di andare via. Noi dobbiamo aiutarli invece a restare, a tener viva la speranza
nel loro Paese. Dobbiamo chiedere alla comunità internazionale che aiuti qui in questo
Paese a ritrovare la pace, la concordia. E’ significativo che i capi religiosi di
tutto l’Iraq siano andati in questi giorni a Kirkuk ad esprimere solidarietà per l’uccisione
di questo infermiere cristiano. Credo che bisogna investire sul dialogo, sull’essere
presenti, sul testimoniare che i cristiani sono iracheni e sono lì da sempre, perché
un Iraq senza cristiani è un Iraq sempre più povero culturalmente, umanamente e anche
religiosamente.