I vescovi inglesi e gallesi chiedono norme più chiare e precise contro l’eutanasia
I vescovi inglesi e gallesi chiedono norme più chiare e precise contro l’eutanasia,
per evitare il ripetersi di casi come quello di Kerrie Wooltorton, la ragazza morta
suicida nel 2007 avvalendosi della legge sulla capacità mentale (Mental Capacity Act).
La giovane donna, da tempo depressa, aveva tentato di togliersi la vita nove volte,
ma era sempre stata soccorsa dai medici ed aveva quindi deciso di stipulare un testamento
biologico (il cosiddetto living will). Il caso - come è noto - è tornato alla ribalta
in questi giorni dopo la sentenza che ha dato ragione ai medici che non avevano cercato
di salvarla, perché temevano di essere incriminati per violenza, in quanto la donna
sapeva cosa stava facendo ed aveva le capacità mentali di rifiutare le cure. Una posizione
non condivisa dai familiari della ragazza e che divide l’opinione pubblica. Secondo
i vescovi britannici il caso evidenzia i limiti dell’attuale normativa. La “Mental
Capacity Act” , infatti, non specifica che le dichiarazioni anticipate di trattamento
non dovrebbero essere valide nel caso di persone che abbiano manifestato intenti suicidi
e non siano nel pieno delle proprie facoltà mentali. Un rilievo mosso a suo tempo
già durante la discussione del provvedimento e al quale il governo inglese aveva risposto
impegnandosi a introdurre le necessarie modifiche nel Codice di Deontologia Medica.
La morte Wooltorton – affermano i presuli inglesi e gallesi in una dichiarazione all'agenzia
CNS - dimostra che il Codice non è ancora abbastanza chiaro e netto e che i medici
non lo interpretano allo stesso modo. Di qui la richiesta di una normativa che dica
“in modo inequivocabile che la volontà anticipata di trattamento non è valida ed applicabile
nel caso esprima un intento suicida e che le cure mediche devono essere garantite
in ogni caso se ciò è nell’interesse del paziente”. (L.Z.)